Se uno vuol essere il primo…

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PAROLA DI DIO – Letture: Sap 2,2.17-20; Salmo 53; Gc 3,16-4,3; Mc 9,30-37

Se uno vuol essere il primo…

Sap 2,2.17-20. “Tendiamo insidie al giusto, per noi è incomodo e si oppone alle nostre azioni”.

Questa pagina è stata utilizzata nei racconti della Passione, specie negli insulti rivolti dai sacerdoti e dai passanti a Gesù morente sulla croce. L’autore del libro della Sapienza, prendendo atto del forte contrasto tra “i giusti” (“pii”, “saggi”) e gli “empi” (“malvagi”, “stolti”), cerca di leggere i pensieri e i progetti che albergano nel cuore degli “empi”. Se nel primo capitolo l’autore esponeva il disegno sapiente di Dio per un vita di giustizia e di saggezza degli uomini, il secondo capitolo rappresenta invece la filosofia di vita di chi sta dalla parte della stoltezza, dell’ingiustizia e della morte. Oggi ci vengono proposte poche righe di questo capitolo. Una serie di imperativi dicono i progetti che gli empi mettono contro i giusti e le motivazioni del loro agire. “Tendiamo insidie al giusto…”: è il 4° degli imperativi di persecuzione (tre erano al v. 10: ‘opprimiamo il giusto povero, non risparmiamo le vedove, non rispettiamo la longeva canizie del vecchio’). Si tratta dell’oppressione dei più deboli. La motivazione di questo 4° imperativo è: “Per noi è d’incomodo, si oppone alle nostre azioni, ci rimprovera le colpe contro la legge, ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta”. Il ‘giusto’ dunque, con la vita e le parole, condanna la vita degli ‘empi’. Dopo il ritratto del ‘giusto’ che dichiara di appartenere al Signore (‘figlio del Signore’) seguono altri quattro imperativi che espongono i disegni degli empi contro i giusti, per smentire che il giusto abbia quell’aiuto divino in cui egli dice di confidare: “Vediamo se…consideriamo ciò che…mettiamolo alla prova…condanniamolo ad una morte infame…”. In quelle grandi prove il giusto trestimonierà la sua fiducia in Dio. Il giusto per eccellenza in cui tutto questo si è realizzato è stato Gesù che ha sostenuto con mitezza tutte queste prove confidando e affidandosi a Dio. Nella sua risurrezione e glorificazione Gesù ha sperimentato e mostrato che la sua fiducia in Dio non è stata vana.

Salmo 53. “Il Signore sostiene la mia vita”.

Il salmo 53 (54), è la supplica di chi vive una situazione di pericolo causata da “prepotenti e arroganti”. Ma nello stesso tempo è confessione di fiducia nell’aiuto del Signore e ringraziamento per la liberazione esperimentata. Ecco l’appello a Dio: “Per il tuo nome, salvami, per la tua potenza redimi giustizia”. Col nome di ‘JHWH’ il Dio d’Israele (tradotto sempre con “Signore”), si era rivelato come ‘colui che è presente per salvare e liberare’, e si era manifestato ‘giudice giusto e capace di far valere la sua giustizia’. Ora l’invocazione scaturisce proprio dalla fiducia in Dio salvatore e giusto, che ancora può salvare e fare giustizia, che si china sul povero e ne ascolta le suppliche. Di fronte all’aggressione da parte di chi non fa nessun conto di Dio e di ogni sua legge l’orante proclama (letteralmente): “Dio è il mio aiutante, sostenitore della mia vita”; ecco perché lo si può invocare con fiducia nel pericolo. La certezza dell’intervento liberatorio del Signore apre spontaneamente il cuore del fedele a rendere grazie al suo Dio.   

  

Gc 3,16-4,3. “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace”.

Tralasciando la descrizione che l’apostolo Giacomo fa della la sapienza terrestre (3,13-18), la scelta liturgica ci propone la sapienza celeste. Con il termine sapienza l’autore intende il criterio che ispira le proprie scelte di vita e i propri comportamenti. Gli atteggiamenti di gelosia, disordini e cattive azioni, gelosie e contese, non si ispirano all’insegnamento del Signore ma a criteri terreni, di egoismo umano o addirittura diabolici. Sono altri i comportamenti di chi si regola in base alla “sapienza che viene dall’alto”. L’autore, indica otto comportamenti, molto simili a quelli elencati nelle otto ‘Beatitudini’ di Matteo, mostrando così che il riferimento non è a falsi maestri ma al Maestro che ci ha portato la rivelazione dall’alto, da Dio. Riassuntivamente: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace”. La giustizia è la vita secondo la parola del Signore il cui annuncio avviene nella pace della comunità e non nelle liti o invidie. Il Maestro Risorto infatti ha dato ai suoi discepoli il dono della ‘pace’ inviandoli come ‘costruttori di pace’. Sarà portatore di pace chi ha imparato prima a dominare le proprie passioni egoistiche e violente, a dominare le proprie brame di interesse, di dominio o di gloria personale. La preghiera non deve essere finalizzata ad ottenere ciò che soddisfa individualmente o peggio ancora egoisticamente!

 

Mc 9,30-37. “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.

Ascoltiamo il secondo dei tre annunci della Passione, morte e risurrezione nel vangelo di Marco. L’evangelista attraverso questi annunci introduce progressivamente il lettore al senso della passione e morte di Gesù. Globalmente nei tre annunci viene detto che la passione e morte di Gesù è il dono totale della sua vita a servizio degli uomini, per la loro salvezza. Dopo ognuno dei tre annunci, Marco inserisce detti e fatti di Gesù che illustrano in che cosa consiste la passione dei discepoli, il loro seguire e imitare il Maestro, il fare della loro vita un dono ai fratelli, come Gesù ha fatto. Chi ha iniziato a seguire il Maestro, ha necessità di convertirsi continuamente alla logica di Gesù. Anch’essi, che pur lo stanno seguendo sulla via di Gerusalemme, devono passare dai loro pensieri e progetti a quelli di Gesù. “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà”. In contrasto con quest’annuncio i discepoli “avevano discusso tra loro chi fosse il più grande”. Ecco emergere il contrasto e la distanza: mentre Gesù sta consegnando la sua vita alla totale obbedienza al Padre, perdendo la sua vita nel tempo presente per gli altri, i discepoli stanno seguendo Gesù perché si aspettano successo e gloria nel tempo presente. C’è in loro ancora sete di potere e di grandezza agli occhi degli uomini. “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. In questo spendere totalmente la sua vita a servizio della salvezza dei fratelli il discepolo vivrà la sua ‘passione e morte’ imitando così il Maestro. Sarà sua preoccupazione servire tutti, specialmente quei piccoli e poveri dai quali non può aspettarsi un immediato vantaggio terreno; li accoglie e li serve nel nome del suo Maestro e Signore, che non fa preferenza di persone e desidera che tutti siano salvi: “Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.

Un domanda: alla luce di questa pagina del vangelo dove e come accogliamo Colui che il Padre ci ha mandato?    

+ Adriano Tessarollo