Gesù è la nostra pace

Facebooktwitterpinterestmail

PAROLA DI DIO – Gesù è la nostra pace

Letture: Ger 23,1-6; Sal 22; Ef 2,13-18; Mc 6,30-34.

Ger 23,1-6: “Susciterò a David un germoglio giusto che regnerà da vero re…”.

Il profeta Geremia ha accompagnato il suo popolo prima in uno dei momenti di maggiore speranza come profeta di ‘salvezza’ in un tempo di fervore religioso e poi di maggiore sventura come profeta di ‘giudizio’ annunciando la distruzione di Gerusalemme. Infine, dopo la catastrofe, eccolo nuovamente ad incoraggiare ciò che rimaneva del suo popolo disperso in Babilonia e in Egitto o disastrato e disorientato nel territorio di Israele e Giuda. Non gli mancò il coraggio di denunciare le cause dell’immane catastrofe, anche se ciò gli è costato persecuzione, isolamento, disprezzo e derisione. “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo”. Guide ambiziose e di scarsa intelligenza politica, per nulla disposte ad ascoltare la voce dei profeti portatori della Parola di Dio, che avevano smarrito il senso religioso del loro essere popolo dell’alleanza con Dio, avevano portato alla distruzione del loro Stato e alla catastrofe dell’esilio: “Voi avete disperso le mie pecore…”. Ma il Dio fedele e misericordioso, di cui Geremia sempre aveva parlato, ora era di nuovo in azione per offrire la nuova e definitiva possibilità di salvezza: “Radunerò io stesso il resto delle mie pecore… Costituirò… pastori che le faranno pascolare… Susciterò a David un germoglio giusto che regnerà da vero re… Giuda sarà salvato… e Israele starà sicuro…”. Dunque nuove prospettive e nuove opportunità. Nell’annunciare “un germoglio giusto che regnerà da vero re…” Geremia ha posto le basi per l’attesa di Colui che Dio avrebbe inviato a prendersi cura del suo popolo, nutrendolo della Parola e del Pane e realizzando l’Alleanza fondata su di un rinnovamento interiore operato da Dio stesso per mezzo di Colui che avrebbe offerto la sua vita per ristabilire la comunione di Dio col suo popolo.

Sal 22: “Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla”.

Israele aveva vissuto la sua esperienza iniziale e costitutiva di popolo dell’alleanza nel deserto, un lungo tempo e un lungo cammino in luoghi pericolosi ed inospitali, dove spesso era difficile sapere dove si andava e dove il cibo era scarso e incerto. Chi ha guidato e condotto fuori dal deserto questo gruppo di Israeliti così numeroso? “Il Signore è il mio pastore” acclamerà il pio israelita di fronte alla nuova generazione che lo interroga incerta e dubbiosa se sarà in grado di sussistere in mezzo a tante nuove necessità, pericoli e minacce. Dalla storia passata si giunge così a proclamare nell’oggi la propria fede in Dio e a dischiudere nuovi orizzonti impensati. Il Signore viene dunque presentato con l’immagine del pastore e il popolo con quella del gregge (vv.2-3). Tale pastore sa condurre ai pascoli migliori, dove l’acqua scorre abbondante, portando il gregge su vie sicure. Un pastore che con il bastone sa proteggere il suo gregge da animali feroci e battendo il vincastro sulla roccia fa sentire al gregge, che cammina anche di notte, la sua presenza rassicurante. Dall’esperienza del gregge a quella del popolo, il passaggio ora diventa possibile: manna e quaglie sono state il cibo offerto da Dio, l’acqua scaturita dalla roccia è stata la bevanda che ha accompagnato il cammino del popolo. Non solo il pane ma anche la Parola ha donato Dio nel deserto: questa è la figura di Dio ‘Pastore’. Un giorno Gesù parlerà di sé come ‘pastore’ che guida, nutre e accompagna il suo popolo, specie con la Parola e il Pane. Ma il viaggio degli Israeliti si è concluso nella “Terra Promessa” dove ha trovato cibo e bevanda in abbondanza. Con Gesù la “Terra Promessa” assumerà il suo significato più vero e più pieno: la comunione definitiva dell’uomo con Dio, quale punto di arrivo del cammino terreno: “Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni”. San Paolo direbbe: “E così saremo sempre con il Signore” (1Tes 4,17b).

Ef 2,13-18: “Egli è la nostra pace…”.

La logica della contrapposizione, specie quella fondata sulla diversità di religione, è risolta da Paolo nell’unità dell’unico progetto di Dio realizzato attraverso tappe storiche. Chi si trova a vivere l’ultima tappa crede di dover affermare la sua novità cancellando chi aveva vissuto la tappa precedente. E chi ha vissuto quella precedente ritiene di dover condannare chi vive la tappa successiva. Storicamente così è avvenuto nel rapporto tra giudaismo e cristianesimo, ma Cristo “ha fatto dei due un solo popolo”. Questa pagina ci offre altri criteri di comprensione. “Voi” (pagani) e “Noi” (ebrei), siamo chiamati a formare un solo popolo, ad essere insieme salvati. La croce di Cristo, cioè il suo donarsi amorevolmente per tutti, è stata la causa e il segno di una umanità riconciliata nell’amore dell’unico Dio che ci è stato rivelato in Cristo. E nel dono del suo Spirito, cioè il suo Amore riversato su tutti, tutti gli uomini devono sentire che stanno davanti allo stesso ‘Padre’ dal quale sono chiamati a condividere la sua stessa vita: “…possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”.

Mc 6,30-34: “Vide molta folla e si commosse per loro”.

Gli apostoli ritornano dalla missione e riferiscono a Gesù tutto quello che hanno fatto e insegnato. Sembra loro di meritarsi un momento di dovuto riposo. Gesù si mostra comprensivo e li invita a ritirarsi in un luogo appartato, per riposare lontano dalla gente. Il successo della missione aveva richiamato attorno a Gesù e agli apostoli un via vai ininterrotto di gente che continuava a chiedere e a interrogare. Mancava perfino il tempo per fermarsi a mangiare con calma il pasto. Gesù e gli apostoli allora partono con le barche per andare in un luogo tranquillo a riprendere fiato, senza dire alla gente dove sarebbero andati. Ma cosa capita? Quando arrivano in questo luogo vi trovano già una folla numerosa. Il fatto è certamente curioso dal punto di vista della realtà: con la barca si fa certamente prima a percorrere il tragitto che non a piedi. Infatti, mentre a piedi si deve percorre la strada tortuosa della sponda del lago, con la barca si taglia più corto, puntando dritti al luogo prescelto! Ma guardiamo che cosa succede e così comprenderemo meglio dove il racconto ci vuole portare. L’attenzione del racconto ora si concentra su Gesù che diventa il modello dell’apostolo. Egli non caccia via la gente, dicendo che hanno ben diritto, lui e gli apostoli, di prendersi un po’ di riposo, ma il testo dice: “Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose”. Il testo di Marco poi prosegue dicendo che, dopo avere insegnato, Gesù dirà agli apostoli: “Date voi stessi da mangiare a loro”. Di fronte all’uomo autenticamente affamato e assetato di Dio, della sua parola e della sua forza, l’apostolo, se ama veramente di quell’amore che sa commuoversi, come quello Gesù, si fa prontamente ministro della Parola e del Pane di vita. Del riposo di Gesù e degli apostoli nel brano evangelico non si fa più menzione. È sull’amore dell’apostolo e sulla sua disponibilità a farsi servitore dei fratelli affamati della Parola e del Pane che verte l’insegnamento del racconto evangelico.

+ Adriano Tessarollo