Fatiche e forza del profeta

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PAROLA DI DIO

Letture: Ez 2,2-5; Salmo 122; 2 Cor 12,7-10; Mc 6,1-6

Fatiche e forza del profeta

Ez 2,2-5: “Ascoltino o non ascoltino sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro”.

Il profeta Ezechiele, al momento della chiamata, ha la netta consapevolezza di una missione particolarmente dura nei confronti di un popolo infedele e dal cuore duro. La parola del Signore lo invita a non scoraggiarsi per la dura situazione in cui si troverà a svolgere la sua missione. L’irruzione della parola di Dio è per il giovane Ezechiele l’esperienza di una forza esterna che entra in lui e crea la disponibilità ad ascoltare: simbolicamente egli è in piedi, in ascolto di colui che gli parla. Anche gli esuli a cui è inviato sono responsabili della grave situazione attuale di Gerusalemme: sono pure essi tra coloro che non hanno voluto ascoltare le ammonizioni dei profeti che li richiamavano al loro Dio. Egli, giovane appartenente alla famiglia sacerdotale, si trova deportato con loro, ma inviato ad essere profeta proprio tra di loro e ha già intuito che il suo messaggio non potrà essere per ora messaggio di speranza e di liberazione; dovrà denunciare le conseguenze sulla loro città che sarà distrutta, compreso il Tempio, e sulle loro famiglie che subiranno ancora morte e deportazione: “Hanno peccato contro di me… figli testardi e dal cuore indurito”. Il giovane sacerdote sente forte la ritrosia per questa missione che, oltre ad essere difficile, sembra essere inutile perché non ascoltata. Ma egli sarà comunque il segno che Dio continua a rivolgere la sua parola al suo popolo, nella speranza che qualcuno apra il cuore a quella Parola e si ricordi, al momento opportuno, che Dio li aveva ammoniti in tempo, non li ha mai abbandonati, benché essi non abbiano voluto ascoltare. Dovranno alla fine riconoscere che devono a loro stessi e non all’abbandono di Dio la loro rovina.

Salmo 122. “I nostri occhi sono rivolti al Signore”.

Un salmo breve, insieme supplica individuale (vv. 12a) e collettiva (2b4). La preghiera personale e di tutta la comunità è rivolta al Signore, con insistenza e piena fiducia. Quegli occhi levati verso il cielo dicono l’umiltà di chi riconosce la sua dipendenza da Dio (“come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni”), e la certezza che quello sguardo che incontrano si muove a compassione per loro: “così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio, finché di noi abbia pietà”. La pietà è il sentimento che in Dio prevale sulla legge e lo muove a tenerezza, lo fa commuovere per l’uomo tribolato, schernito e disprezzato: “Pietà, Signore, pietà di noi”.

2 Cor 12,7-10. “Ti basta la mia grazia”.

Paolo aveva lavorato a Corinto più che in ogni altra comunità. Ora c’è chi lo vorrebbe screditare, denigrandolo di fonte alla comunità stessa. Eccolo allora ad elencare tutte le prerogative apostoliche di cui è stato fatto dono nel suo ministero apostolico: sono questi doni le sue credenziali da far valere. La foga dell’autodifesa lo porta ad un certo vanto, che lui stesso sente il bisogno di correggere: “la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” che anche lui ha sperimentato. Da quella debolezza e tribolazione egli ha chiesto con preghiera insistente di essere liberato, poiché costituivano un ostacolo al ministero apostolico. Ma dal Signore si sente dare una illuminante risposta: “Ti basta la mia grazia”. Ora dunque non ha più paura di mettere sul piatto sia i suoi successi e doni sia le sue debolezze e difficoltà. Questo renderà evidente a tutti che l’efficacia del suo ministero non è dovuta ai doni tanto desiderati da tutti, ma alla “potenza di Cristo”. Allora Paolo cambia registro: “Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.

Mc 6,1-6. “Era per loro motivo di scandalo… Gesù si meravigliava della loro incredulità”

Cosa è richiesto al discepolo di Gesù? Innanzitutto bisogna avere ‘occhi aperti’ per vedere i segni dell’agire di Dio e della sua presenza. L’evento più straordinario in cui si è manifestato l’agire salvifico di Dio in favore dell’uomo è stata la presenza di Gesù, il Figlio di Dio, nella storia umana. Come Gesù è stato presente e ha agito tra i suoi? Ascoltiamo un primo racconto. Gesù dunque partecipa un sabato alla preghiera della sua città natale e prende anche la parola per spiegare la Parola di Dio proclamata a tutti. I suoi compaesani di Nazareth erano a conoscenza anche del fatto che la predicazione di Gesù era spesso accompagnata da guarigioni, sia per mezzo della parola come anche con l’imposizione delle sue mani. Tutto questo poneva degli interrogativi alla sua gente, ma le risposte erano diverse: a fronte di qualcuno dalla mente più pensosa e dal cuore più libero, che si lasciava provocare dalla novità del messaggio che ascoltava e dalla potenza dei gesti straordinari di Gesù che vedeva con i propri occhi, la gran parte delle persone restava indifferente e incredula, anzi reagiva addirittura ostilmente rifiutando e negando tutto. Proprio la sapienza del suo insegnamento e la potenza manifestata dai “prodigi compiuti dalle sue mani”, diventavano ostacolo al credere: “era per loro motivo di scandalo”. Cioè la loro pretesa di conoscere già Gesù perché credevano di conoscerne le origini (era il falegname del villaggio insieme a suo padre, e lì c’era anche tutta la sua famiglia) impediva loro di guardare effettivamente ciò che operava e ciò che insegnava. Il risultato è stato che Gesù ha lasciato la sua città per andare per altre città e villaggi a continuare la sua opera evangelizzatrice in parole sapienti e gesti di guarigione. L’evangelista Marco ci manifesta anche il sentimento di Gesù di fronte all’atteggiamento dell’incredulità: “Gesù si meravigliava della loro incredulità”. Si rimane ‘increduli’, per disinteresse, per predeterminato rifiuto, per ostinata chiusura, per incapacità a interrogarsi e comprendere, per incapacità di uscire dai propri dubbi di fronte a ciò che sta succedendo pur chiedendosi come sia possibile tutto questo. Passare dall’incredulità alla fede è il cammino del discepolo di Gesù. Chi si è aperto alla parola e alla salvezza concreta, che sperimenta al suo seguito, è liberato dalla paura, dal male psichico e fisico, dal torpore spirituale, dal disordine morale e si apre alla speranza e alla gioia della fede.

Questa pagina del vangelo, come tutte le altre, è vera anche oggi: il Dio di Gesù Cristo opera anche oggi, offre salvezza anche oggi, illumina anche oggi! La pretesa orgogliosa però di escludere Dio dalla propria vita, di non dipendere in niente dal Signore della vita, lascia o rende anche oggi molti, in vario modo, ‘increduli’, che si autoescludono così dalla gioia della fede e dalla condivisione della salvezza del Signore.

+ Adriano Tessarollo