PAROLA DI DIO – Padre, Figlio e Spirito Santo

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PAROLA DI DIO – Padre, Figlio e Spirito Santo

Letture: Dt 4, 32-34.39-40; Salmo 32; Rom 8, 14-17; Mt 28,16-20.

Dt 4, 32-34.39-40. “Conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra”.

Il libro del Deuteronomio ha come tema centrale il ‘mistero di Dio’. Alcune affermazioni sparse per l’intero libro mettono a fuoco gli elementi essenziali dell’autorivelazione divina e della professione di fede del popolo: “Il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo” (6,4). Israele ha esperimentato Dio come ‘Iahweh’ (tradotto sempre con Signore), come Colui che è presente per salvare. Ha esperimentato la salvezza nella sua storia, perciò ha pure potuto aggiungere anche l’aggettivo ‘nostro’. Parlare di Dio per il predicatore del Deuteronomio non è più un parlare astratto e generico ma è dare testimonianza di Dio esperimentato (nostro) come presenza salvifica (Iahweh-Signore). Progressivamente Israele ha scoperto che l’azione e l’amore di quel Dio di cui ha fatto esperienza riguarda tutto quanto esiste (cose, popoli e persone) e allora la sua confessione di fede ha raggiunto il suo culmine: “il Signore è l’unico”.

Il politeismo (vi sono molti dei) e l’etnoteismo (ogni popolo ha il suo o i suoi dei) diventa allora confessione di fede monoteista: “Sappi dunque oggi e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra; e non ve n’è altro”. Dio è proclamato essere all’origine dell’umanità e di ogni essere creato (Creatore). Ma ciò che è oggetto di più grande stupore è che Israele ha potuto udire la sua voce, cioè fare esperienza della sua presenza misteriosa e restare in vita. L’espressione ‘voce di Dio’ curiosamente percepita ‘nel fuoco’ è simbolo privilegiato, nell’Antico Testamento, per testimoniare la percezione della presenza forte di Dio nel suo rivelarsi all’uomo (si veda Dt 5,23-27). Nella sua storia Israele ha fatto la scoperta che Dio ha preso l’iniziativa d’amore di scegliere un popolo fra molti, non perché più grande, non perché più meritevole, non per interesse o utilità propria, ma per il bene dello stesso popolo scelto: “Ha mai tentato un dio di andare a scegliersi una nazione in mezzo ad un’altra… Perché ha amato i tuoi padri, ha scelto la loro posterità… perché sii felice tu e i tuoi figli…”. La conclusione del predicatore deuteronomista è: Non dimenticarti mai del Signore tuo Dio e non trascurare mai quella sua Parola con la quale egli ti ha parlato, ti si è rivelato per la tua felicità; osservala e mettila in pratica. Così non romperai il tuo legame d’amore con Lui, apparterrai sempre a Lui!

Salmo 32. “Beato il popolo che appartiene al Signore”.

          

Il salmo 32 è un inno che canta Dio creatore e il suo disegno di salvezza: “della sua grazia è piena la terra”. I versetti scelti mettono in evidenza tre elementi del rapporto di Dio con il creato e con gli uomini: la sua parola, il suo cuore ed il suo sguardo. La Parola del Signore produce opere frutto dell’amore e la giustizia riversa sulla terra la sua misericordia. E’ una visione positiva del creato e dell’umanità uscita da Dio, dalla sua parola e dal suo cuore: “Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama il diritto e la giustizia, della grazia è piena la terra”. Dio si prende cura del creato, specie degli uomini. Molto bella l’immagine del suo occhio che vigila continuamente non per giudicare ma per salvare e mai si chiude su coloro che in lui confidano: egli offre soccorso quando la loro vita è minacciata: “Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame”. Con i versetti finali il salmista coinvolge la comunità ad attendere il Signore, comunità che in Lui trova rifugio e in Lui spera e che ha scoperto la sua grande benevolenza e misericordia.

Rom 8, 14-17. “Lo Spirito attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio”.  

La pericope di Rm 8, 14-17 è al centro del capitolo che proclama la nuova condizione dell’uomo che mediante la fede in Cristo ha ricevuto il dono dello Spirito Santo, grazie al quale è fatto partecipe della vita divina. Grazie allo Spirito il credente è coinvolto nella comunione della Trinità e  condivide l’intimità divina così da poter rivolgersi a Dio con tale confidenza e familiarità da poterlo chiamare ‘Papà’. La consapevolezza della filiazione divina, libera la sua vita dalla paura della morte e dalla schiavitù del peccato. Dio si dà a noi come Padre (vv. 15-17a), attraverso la nostra comunione con lo Spirito Santo (v. 14) e con Cristo Gesù (v. 17b). Viviamo da figli di Dio se ci lasciamo guidare dallo Spirito, obbedienti ai suoi insegnamenti e alla sua Parola scritta e vivente nella Chiesa per l’azione stessa dello Spirito, attenti ai segni che lo Spirito stesso di Dio opera in ogni tempo. Con Cristo sappiamo di essere “partecipi alle sue sofferenze” come opportunità per “partecipare alla sua gloria”, cioè di condividere la sua condizione di Figlio di Dio risorto e glorificato. Vivere come lui è vissuto, obbediente al Padre fino alla morte e fatto servo dei propri fratelli è condizione per partecipare alla sua gloria.

 

Mt 28,16-20. “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.

Nella conclusione del vangelo di Matteo troviamo la formula trinitaria divenuta ormai la tradizionale formula battesimale e la base della confessione di fede dei cristiani. Tutto è collocato da Matteo “sul monte che Gesù aveva loro fissato”. Sul monte delle tentazioni il diavolo aveva proposto a Gesù il potere sui regni del mondo (Mt 4,9-10). Ora, sul monte, Gesù è associato all’autorità e signoria universale di Dio Padre: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”. La reazione dei discepoli che “gli si prostrarono innanzi” rimanda all’altra esperienza sul monte della Galilea nella quale tre discepoli percepirono la presenza divina in Gesù: “caddero con la faccia a terra” (Mt 17, 2-7). E’ l’atto tipico del credente della Bibbia di fronte all’esperienza della presenza di Dio: è questo anche il senso della nostra genuflessione. Ora Gesù affida ai discepoli la missione che era stata la sua: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato”. La missione è definita da due ambiti d’azione che s’influenzano reciprocamente: ‘ammaestrare insegnando ad osservare tutto ciò che Gesù ha comandato’ e ‘battezzare nel nome di…’. Ammaestrare significa fare discepoli, cioè indurre ogni uomo, senza distinzione (tutte le nazioni), a mettersi alla scuola di Gesù e del suo insegnamento. L’espressione ‘battezzare nel nome di…’ significa porre in essere una relazione personale tra il battezzato e colui nel cui nome si è battezzati. Attraverso il battesimo si stabilisce una relazione personale del battezzato con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Da questa relazione prende avvio un apprendistato a vivere effettivamente tutto ciò che Gesù ha comandato. La fede del cristiano ha il suo centro nel riconoscere e nel vivere la relazione personale col Signore del quale si può confessare ciò che Lui stesso ha voluto manifestare. Non una teoria dunque, ma una vita. L’apostolo Paolo annuncia la nostra relazione con Dio con queste parole: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio Padre, e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2Cor 13,13). E’ questa relazione di grazia, d’amore e di comunione con il Signore che ci è dato di vivere, oggi e sempre.

+ Adriano Tessarollo