PAROLA DI DIO – Rimanete in me e io in voi

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PAROLA DI DIO

Letture: At 9,26-31; Salmo 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Rimanete in me e io in voi

At 9,26-31. “La chiesa… si consolidava e camminava… con il conforto dello Spirito Santo”.

Saulo, il persecutore del Cristianesimo nascente, divenuto discepolo del Nazareno, a Gerusalemme trova la diffidenza dei cristiani e l’ostilità degli ebrei di lingua greca. Trova in Barnaba un amico che lo presenta agli Apostoli, raccontando loro l’esperienza della sua conversione e della sua predicazione a Damasco. Con questa descrizione Luca inserisce Paolo nella comunità madre di Gerusalemme, ma per la crescente ostilità dei giudei ellenisti Paolo lascia Gerusalemme per Tarso, sua città natale. La diffidenza della Comunità di Gerusalemme segnerà tutta l’attività missionaria di Paolo, che diventerà l’apostolo dei ‘gentili’. Voglio portare l’attenzione sul sommario del v. 31: “La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero”. In Luca la pace non è assenza di contrasti o persecuzioni: la pace è piuttosto la situazione di salvezza e di pienezza di vita inaugurata dal Messia e ora proclamata attraverso la predicazione del vangelo. La Chiesa, al singolare, solitamente indica una comunità locale, qui invece indica già l’insieme delle comunità locali. La sua crescita viene descritta con quattro verbi: “essere in pace, consolidarsi, camminare, crescere di numero”. La pace dice la nuova qualità delle relazioni tra i discepoli dell’unico Signore, il consolidarsi rimanda all’idea che la Chiesa, nuovo tempio di Dio in costruzione, si consolida, il camminare nel timore del Signore implica l’idea di progresso nella santità di vita e nel conformarsi alla volontà del Signore, e infine il crescere di numero è attribuito alla forza dello Spirito di Dio che accompagna l’azione degli apostoli. E le nostre Comunità?

Salmo 21. “A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea”.

Viene proposta la parte finale del Salmo 21 (22) utilizzata in questa domenica del tempo di Pasqua. In essa l’attenzione è posta sulla liberazione venuta proprio quando non sembrava più esserci una via d’uscita: Dio ha liberato definitivamente il Figlio dalla morte. Per questo la preghiera si trasforma da lamentazione (prima parte del Salmo) a supplica di fiducia, fino a diventare lode e ringraziamento. Dentro a questa esperienza di Cristo è adombrata anche l’esperienza di ogni orante che quindi la può pregare come propria.

1Gv 3,18-24. “Dio è più grande del nostro cuore”.

I destinatari del brano giovanneo sono definiti ‘figlioli’ e ‘amati (carissimi)’, termini da non intendersi come semplici modi di dire affettivi o formali, ma nel loro profondo significato che assumono in rapporto a Cristo, ‘il figlio amato”. Infatti il credente, grazie all’unione con Cristo per mezzo della fede e al dono dello Spirito, è entrato in una nuova relazione con Dio: figlio suo e amato da Lui. Il brano si apre con la distinzione di due modi di amare: “a parole e con la lingua” o “coi fatti e nella verità” cui conseguono due condizioni del nostro cuore: “ci rimprovera” o “non ci rimprovera”. Ama coi fatti e nella verità chi è “nato dalla verità”. La verità è la parola rivelata manifestatasi pienamente in Cristo ‘Parola e Rivelazione’ di Dio. Tale Rivelazione si riassume nel “suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che egli ci ha dato”. L’osservanza dei comandamenti, verificabile anche esteriormente, è il criterio in base al quale si può valutare la nostra condizione interiore di comunione o meno con Dio, cioè del suo essere in noi e del nostro ‘essere nati’ da lui. Il riferimento allo “Spirito che ci ha dato”, quale segno della nostra comunione col Padre, è un segno sì interiore, ma che sempre si accompagna ai suoi frutti visibili che sono l’osservanza dei comandamenti, la fede in Cristo e la pratica dell’amore fraterno. Quando il nostro cuore fa queste scelte e accoglie questi doni non ci deve essere alcun timore davanti a Dio perché “Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa”, cioè Egli ci giudica con verità e misericordia.

Gv 15,1-8. “Rimanete in me e io in voi”.

Gesù usa una parabola per invitarci a vivere la comunione con Lui. È la parabola de “la vite e i tralci”. Gesù aveva paragonato se stesso alla fonte d’acqua viva (4,14; 7,3738) e al pane che dà vita (6,4858). Sulla stessa linea, la vite è vista come fonte di vita e di nutrimento per il tralcio. Ma c’è anche un progresso: nel paragone dell’acqua e del pane il ricevere la vita era legato ad azioni esterne e puntuali quali il bere ed il mangiare, attraverso le quali si attinge il nutrimento per la vita; il paragone della vite rimanda invece ad una relazione interiore e costante: bisogna rimanere stabilmente uniti a Gesù, come un tralcio alla vite, per avere vita e portare frutto. Gesù si definisce ‘vite vera’, che merita cioè tale nome, in quanto capace di portare i frutti attesi dal “vignaiolo”. Vignaiolo è il ‘Padre’: è Lui che pianta e cura la vite (12) e che viene “glorificato” dall’abbondanza dei suoi frutti. La cura del Padre è espressa in due tipi di azione, desunti dall’effettiva coltivazione della vite: si tratta della potatura invernale che consiste nel recidere i rami che non portano frutto e della potatura cosiddetta ‘verde’ che si fa in primavera avanzata ed in estate e che consiste nel ripulire i tralci principali, destinati a portare frutto, cosa che permetterà una qualità migliore dei frutti. Un duplice ammonimento quindi ai discepoli: quelli che danno cattiva prova nel loro essere membri della chiesa saranno “recisi e gettati nel fuoco”, invece i membri che portano frutto, pure loro vengono potati, ma perché il loro frutto sia più abbondante. L’idea di potare/mondare introduce per associazione di immagini l’affermazione: “Voi siete già puri per la parola che vi ho annunziato”. La parola di rivelazione di Gesù accolta con fede e obbedienza, grazie allo Spirito (6,63) ha forza purificatrice. L’espressione “Rimanete in me ed io in voi” è l’invito centrale di tutto il brano: si tratta di non interrompere la profonda comunione vitale e operativa che si è creata tra Cristo ed il discepolo per mezzo della fede: si badi a conservarla, perché è condizione di vita e di opere nuove. “Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me”. I discepoli non saranno in grado di portare frutto con la sola loro forza: il fondamento di un agire fecondo è il legame con Cristo nel quale essi devono perseverare. Senza questo legame con Lui “non potete fare nulla”. Chi accoglie le parole di Gesù e vive in comunione con Lui produce gli abbondanti frutti dell’amore dai quali ‘il Vignaiolo’ è glorificato.

+ Adriano Tessarollo