OSSERVATORIO Ricordando un prete eroico

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OSSERVATORIO

Ricordando un prete eroico

Ricordo che,su queste colonne (e precisamente il 26 ottobre 1990) avevo commemorato un patriota,che aveva segnato la storia della nostra città. Con padre Carisi se n’era andato l’ultimo dei “ragazzi” del filippino padre Soravia. In verità, quello era stato un bel gruppo, formato da preti dimostratisi preziosi nel corso degli anni. Ricordiamo i fratelli Luigi e Arturo Doria,Giuseppe Ravagnan, Ernesto Chiereghin e padre Aldo Perini, che seguiva con padre Sergio Penzo soprattutto i più giovani. Formavano un gruppo di ottimi sacerdoti, che hanno lasciato un segno profondo nella vita religiosa e civile della nostra città. Fra tutti, la figura scattante e singolare di p.Carisi spiccava per dinamismo e per esuberanza di carattere.Solo i Filippini, in realtà, potevano accogliere quell’anima così assetata di libertà; quei Filippini che si definiscono “comunità di preti che, vivendo insieme, senza voti, mettono la loro vita nella libertà, a servizio della Chiesa”.

In p. Antonio Carisi possiamo vedere una figura esemplare di prete, di uomo di cultura, di cittadino. Come prete, qui a Chioggia lo ricordiamo per il suo modo particolare di essere prete.

Le sue messe erano brevi (ma partecipate), le prediche corte (ma incisive e caratterizzate da una pronuncia maschia senza inflessioni dialettali). Io era colpito dalla benedizione finale, quando il Segno di Croce veniva da lui disegnato nell’aria con due colpi netti, simili a fendenti. E l’”Ite missa est” veniva pronunciato in modo secco, come se egli volesse impartire questo ordine: ”andate sulle strade, ai crocicchi a portare la buona novella. Non dimenticatelo!”.

Confessava; ma il confessionale più frequentato era la sua stanza, dove convenivano soprattutto giovani (spesso non praticanti, ma affascinati da quel prete sempre allegro, dalla risata schietta ed inconfondibile, sempre pronto a dare una mano, a confortare, a risolvere questioni delicate (come, ad esempio, l’unire in matrimonio giovani ostacolati dalle famiglie).

E molti giovani – attraverso padre Carisi – si sono riavvicinati a Dio! Un concetto, questo, che è stato bene evidenziato da p.Gontrano Tesserin nell’ultima “Nuova Scintilla” che ho letto di recente.

Come uomo di cultura fu pure eccezionale. Laureatosi a Padova in Lettere, mise il suo sapere al servizio del prossimo (e questo lo fece spesso gratuitamente). Penso che p. Carisi abbia fatto ripetizione a mezza Chioggia.

Chi non ricorda la sua camera stracolma di libri, al punto che era problematico trovare una sedia libera? Quante ore ha passato p. Antonio ad impartire lezioni, a ripassare aoristi e perifrastiche, a correggere versioni? Se ne stava disteso su una vecchia poltrona a sdraio, con la testa stretta fra le mani, come se non volesse distrarsi. Ma era sempre pronto ad intervenire ad ogni minimo errore!

Ogni pomeriggio la sua camera era un vero porto di mare, animato da tanti studenti. Alla sera, invece, si trasformava in un salotto letterario, dove si affollavano tanti studenti universitari, coi quali s’intratteneva sino ad ora tarda.Possiamo veramente dire che p. Carisi è stato il cappellano degli universitari! E, ad ogni manifestazione goliardica, egli non mancava mai!

Come cittadino ha amato con tutte le sue forze la libertà e la patria, al punto da non esitare nella scelta di campo, quando è crollato il fascismo. Egli rappresentò la componente cristiana nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale), che, dopo l’otto settembre 1943, si riunì più volte – di nascosto – nel Convento dei Padri Filippini, sotto lo sguardo indulgente di quei buoni Padri.

Il comandante Aldo Varisco, nell’intervista raccolta da Angelo Padoan (e riportata nel prezioso libro di Gianni Scarpa e Sergio Ravagnan), ricorda che il convento era divenuto “il nostro centro di smistamento. Fu là che conobbi un altro valoroso sacerdote di Padova,impegnato nella Resistenza: padre Artero”. Il Varisco ricorda l’arresto di p. Carisi (8 febbraio 1945), le torture durissime cui fu sottoposto a Conetta (ove gli fratturarono i polsi), la sua nomina (dopo la Liberazione) a presidente del CLN per il suo grande equilibrio.

Ma il Varisco (che non era certo un clericale) lo ricorda così, in tempo di pace: ”Era molto stimato; aveva un grande seguito di studenti, molti dei quali si recavano da lui per ascoltare dei dischi (allora pochi li possedevano) di musica classica… Era un uomo di vasta cultura (una cultura che direi enciclopedica), con il quale si stava bene in compagnia…”.

Questo prete così intelligente e così benemerito non trovò poi molto ascolto nella classe politica degli anni Cinquanta.Fu la sorte che, in fondo, ebbe un altro prete patriota: don Galileo Bernaldinello, il mio Assistente di Azione Cattolica,che è andato a morire, missionario, in Argentina. Padre Carisi si trasferì a Verona, cioè in una Casa Filippina molto legata a Chioggia e fatta rifiorire proprio da un chioggiotto, p. Raimondo Calcagno, che ritornò a Chioggia appunto in quell’anno: 1957.

Da allora, P. Antonio ritornerà a Chioggia solo rare volte; ormai in carrozzella, amorevolmente assistito da fratel Giovanni, essendo stato colpito, da qualche anno, da un’emiparesi destra, con conseguente  perdita della parola.

Lo rividi ancora a Verona (ove con p. Antonio Dario, con p. Ottorino Chiavegato e con gli altri confratelli aveva trovato una nuova famiglia): assorto in preghiera nella bella chiesa dei Filippini o seduto davanti al televisore nella sua camera.

Era straziante vedere così immobilizzato e senza voce un uomo che, un tempo, sprizzava vitalità da tutti i pori, che aveva tessuto tante amicizie, che aveva dato filo da torcere alle polizie fascista e tedesca. Ma i suoi occhi, così azzurri e così penetranti, parlavano per lui; ed il suono lamentoso, che usciva dalla sua gola, ti segnalava che aveva capito perfettamente il tuo discorso. Poi, a 85 anni, in un venerdì, Padre Antonio Carisi terminò il suo calvario terreno, segnato da sofferenze fisiche e morali: sì, anche morali, soprattutto perché non vide realizzato il sogno per cui aveva tanto lavorato e sofferto; il sogno, cioè di un’Italia migliore, ove, accanto alla libertà, regnassero l’onestà e la giustizia.

P. Carisi, però, vivrà nel nostri cuori!

Sull’onda dei ricordi e confortati dall’esempio di cristiani come p. Carisi “ribelle per amore”, dovrebbe nascere in noi l’impegno a continuare, a non mollare, a fare argine al fango morale, all’egoismo ed al Nulla che ci vorrebbero sommergere, perché – se non per noi, ormai al tramonto, ma almeno per i nostri figli – abbia a realizzarsi il sogno di un’Italia finalmente rinnovata sulla base di quei principi cristiani, di cui P. Carisi è stato fedele servitore.

Anton Maria Scarpa