PAROLA DI DIO – Mosso a compassione tese la mano

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PAROLA DI DIO – Mosso a compassione tese la mano

Letture: Lv 13,1-2.45-46; Sl 31: Tu sei il mio rifugio, mi liberi dall’angoscia; 1Cor10,31-11,1; Mc 1,40-45

Il terzo malato singolo che Gesù guarisce nel racconto di Marco è un lebbroso. Nel libro del Levitico col termine ‘lebbra’ si intendono diverse malattie della pelle, considerate infettive: ci si difendeva dal suo contagio isolando il contagiato per tutto il periodo nel quale permanevano i segni esterni della malattia. Tale isolamento comportava l’esclusione dalle diverse manifestazioni della vita sociale, anche dal culto. Ora quindi avviene qualcosa che non corrisponde appieno a queste disposizioni, per sottolineare ciò che sta a cuore a Gesù.

Il lebbroso infatti avrebbe dovuto evitare qualsiasi forma di contatto fisico per non diffondere il contagio sia fisico che morale, perché la lebbra era considerata anche condizione d’impurità causata dal peccato del malato, e il malato, anche se guarito, non poteva essere riammesso alla vita sociale e religiosa se non dopo che un sacerdote lo avesse dichiarato puro e si fossero compiuti i riti prescritti.

Invece Gesù permette che un malato del genere si rivolga a lui e addirittura egli lo tocca, gesto con il quale non solo Gesù guarisce ma anche ripristina la comunicazione e il contatto sociale.

Il malato, con la sua supplica, lascia intendere che egli riconosce a Gesù una speciale dignità e il potere di guarire. L’atteggiamento di Gesù invece sottolinea in prima battuta il profondo sentimento interiore della sua partecipazione alla sofferenza dell’uomo, partecipazione per la quale si muove a compassione fino a non riuscire a trattenere i segni esterni di questa partecipazione (la sua commozione).

E’ dunque il riconoscere in Gesù quell’amore e quella partecipazione alla sofferenza, unitamente al riconoscimento dell’unica ‘autorità e forza’, che incoraggia tutti i malati e anche questo lebbroso ad avvicinarsi e a supplicare in ginocchio: “Se vuoi, puoi guarirmi”. La guarigione avviene in parte per contatto con il malato, in parte con la sua stessa parola. La guarigione è risposta consapevole di Gesù a quella preghiera: “Lo voglio”.

Nel brevissimo racconto marciano abbiamo una sequenza quasi pittorica nella quale l’evangelista rivela l’animo di Gesù: la richiesta del lebbroso mette in primo piano “se vuoi”, cui fa seguito la reazione di Gesù di fronte a quella persona in preghiera. Gesù si commuove e immediatamente segue l’azione di stendere la mano e di confermare con la parola la sua intenzione “lo voglio”.

Tutto il resto è descrizione dell’effetto di questa volontà: l’immediata guarigione, l’ordine dato da Gesù di tacere, di fronte all’impossibilità di impedire ai testimoni e ai diretti interessati di raccontare tali prodigi e l’accorrere a Gesù di gente da ogni parte.

Un’ultima annotazione: l’evangelista Marco all’inizio del suo vangelo ha scritto che Gesù è venuto ad annunciare il Regno di Dio. Eppure, finora, Dio non è mai stato nominato da Gesù; egli si è occupato degli uomini e dei loro problemi. Con ciò egli insegna ai suoi seguaci di ogni tempo che Dio è il Dio della compassione a cui affidarsi e che Lui servono quando si prendono cura dell’uomo e della sua liberazione da ogni male, fisico, sociale, morale.

Abbiamo ascoltato anche l’apostolo Paolo fare suo questo stile di Gesù e raccomandarlo anche ai suoi discepoli: “Fatevi miei imitatori come io lo sono di Cristo”.

La preghiera del Salmo che abbiamo ascoltato e ripetuto è invocazione di essere liberati, guariti dal peccato, facendoci passare dal gemito e dall’inaridimento alla gioia e all’esultanza.

Il peccato è definito con quattro parole, ognuna delle quali ci mostra un suo aspetto. Esso è “colpa” perché rifiuto di sottomettersi a Dio; è  “peccato” in quanto fallimento del bersaglio del fine dell’agire dell’uomo;  è “male” come peso che rimane nella coscienza e la opprime; infine è “inganno” cioè un nascondere a se stessi la verità di quell’azione.

Come il lebbroso, guarito e perdonato,  anche il peccatore è invitato a gioire del perdono: “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato…Beato l’uomo a cui Dio non imputa alcun male e nel cui spirito non è inganno”. Colpa e peccato sono rimossi e il male è condonato, non registrato da Dio come un debito da pagare, e l’uomo che lo ha commesso viene riabilitato riconoscendo la verità e la responsabilità della sua azione, non nascondendola a se stesso.

+ Adriano Tessarollo

“da Nuova Scintilla n.7 del 15 febbraio 2015”