“Va’ e anche tu fa’ così”

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APERTURA DELL’ANNO PASTORALE. La parabola del “Buon Samaritano”

“Va’ e anche tu fa’ così” – Il discorso integrale del vescovo

Convocati dal vescovo oggi alle 16 in cattedrale gli operatori pastorali

Per la presentazione del programma pastorale che viene fatta questa domenica in Cattedrale alle ore 16 il vescovo Adriano ha scelto l’icona biblica del “Buon Samaritano”.

«La parabola – scrive nel testo che verrà distribuito al termine dell’incontro di preghiera – risponde alla domanda essenziale per ogni credente: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Per Gesù la risposta è ovvia, le Scritture parlano chiaro: praticare il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Per l’interlocutore di Gesù (e forse anche per noi) è chiaro cosa significa amare Dio, cioè osservare tutte le norme cultuali e rituali; ma non è altrettanto chiaro come va applicato il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Al suo tempo si era, e forse anche oggi si è creata non solo una distinzione ma addirittura una separazione tra i due comandamenti, preoccupandosi di quale dei due sia il più importante (il primo), quello dal quale poi dipendono o vanno interpretati tutti gli altri. Gesù (basta leggere Mt 22,34-40, Mc 12,28-33, Lc 10,28) unisce inseparabilmente i due comandamenti, facendone un’unica regola da cui dipende la salvezza (Mt 7,12; Rom 13,8-10). Ma era pure dibattuta la questione di chi dovesse essere considerato come “prossimo”. Con la sua parabola Gesù sposta l’attenzione dall’oggetto dell’amore al soggetto dell’amore, cioè sulla responsabilità di chi intende obbedire al Signore ed aver parte alla vita eterna. Ecco la risposta di Gesù data in forma narrativa, perché l’ascoltatore possa egli stesso trarne le conclusioni. Di fronte ad un uomo qualsiasi (spogliato e mezzo morto), che ha subito violenza e si trova in necessità di aiuto per sopravvivere, sfilano tre personaggi, ben classificati: un sacerdote, un levita, un samaritano. Solo quest’ultimo si prende cura di quello “sconosciuto sventurato”: gli presta le prime cure, lo consegna ad una locanda perché lo curi fino a guarigione, anticipando per questo primo servizio due denari ma assicurando che al suo ritorno salderà il conto. Ecco chi ha messo in pratica il comando divino, comportandosi da prossimo».

A partire da questa lettura della Parola il vescovo sollecita la verifica con una serie di domande molto stimolanti. Nel cuore delle provocazioni scrive: «La parola chiave dunque è la “compassione”. Se Gesù ha identificato se stesso con gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, gli ammalati, i carcerati e i fratelli più piccoli (cfr Mt 25,31-46), in questa parabola Egli si identifica anche nel samaritano (nell’icona di Rupnik sembra di vedere il medesimo volto in entrambi i personaggi). (…) La consegna di Gesù al “dottore della legge” che ben ha risposto “Chi ha avuto compassione di lui” è “Va’ e anche tu fa’ così”». (f. z.)

da NUOVA SCINTILLA 36 del 28 settembre 2014

 

 

APERTURA ANNO PASTORALE 2014-2015

Domenica 28 Settembre 2014 – Testo integrale dell’intervento del vescovo Adriano

Proposta pastorale 2014-15

“Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”

 

Ancora un saluto e ringraziamento a voi tutti, nuovi e vecchi, qui convenuti anche quest’anno, non senza qualche sacrificio, per dare avvio nella preghiera e nella comunione all’anno pastorale nella nostra Chiesa diocesana. Con quest’anno 2014/15 si conclude il triennio nel quale alla Chiesa diocesana ho prospettato il tema della fede (1° anno, in coincidenza con l’anno della fede proposto da papa Benedetto XVI), della partecipazione attiva e responsabile al cammino della Chiesa diocesana (2° anno), e quest’anno (3° anno) dell’attenzione alla testimonianza di vita che scaturisce dalla fede.

 

Può essere utile richiamare il cammino proposto in questi 2 trienni.

Primo triennio:

–         2009/10 : “CORRESPONSABILI NELLA CHIESA”

(Lc 10,1: “Il Signore designò altri 72 discepoli e li inviò a due a due…”)

–         2010/11: “SALE DELLA TERRA E LUCE DEL MONDO”

(Mt 5,13-16:  “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone”)

–         2011/12: “CORRESPONSABILI  NELL’ «EDUCARE ALLA VITA BUONA

            DEL  VANGELO»

(Lc 4,18: “Lo Spirito del Signore è sopra di me… per questo mi ha mandato a portare… il lieto annuncio ai poveri”)

Secondo triennio:

Tema unitario “ACCOGLIERE E TESTIMONIARE LA FEDE NELLA CHIESA”, così articolato:                                                              

–          2012/13: A. L’ATTO DELLA FEDE E I CONTENUTI DELLA FEDE

(Gv 4,1-2: “Signore, dammi quest’acqua”)

–         2013/14: B. APPARTENENZA ALLA CHIESA LOCALE E CORRESPONSABILITÀ

(Mt 11,25-30: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore”)

–         2014/15. C. TESTIMONIANZA E IMPEGNO

(Gc 2,18: “… io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”.)

 

Dall’insieme delle proposte emergono tre elementi di fondo:

–         Siamo Chiesa in quanto chiamati da Cristo alla comunione con Lui e da Lui inviati;

–         Questo dono e questa missione fonda la comunione tra di noi attorno a Lui. Questo significa diventare ed essere Chiesa ed esige la responsabilità di tutti (corresponsabilità), ciascuno secondo i doni e i ministeri, nell’annuncio del vangelo;

–         È la nostra vita di amore verso il prossimo, conforme all’amore e allo stile di Gesù (vita cristiana come imitazione di Gesù e attraverso di Lui conoscenza e relazione col Padre per mezzo del dono dello Spirito) la manifestazione del suo amore per tutti e del nostro amore per lui.

 

È questo terzo aspetto della nostra fede che vogliamo privilegiare in quest’anno pastorale, promuovendo la nascita o il potenziamento di iniziative “caritative” non “saltuarie” ma costitutive   del nostro “essere” Chiesa, alla luce di quanto leggiamo in Lumen Gentium 306: «Come Cristo (…) così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende servire a Cristo”. Leggiamo pure in Gv 15,9.12: «Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi (…). Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». Il Figlio ci ama dell’amore del Padre, ma noi amiamo i nostri fratelli dell’amore di Cristo, e come Lui ci comanda, e come condizione per rimanere nel suo amore? «Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore…» (Gv 15,10). È facile e logico dedurre che se non amiamo i fratelli come Lui ci ha amati non rimaniamo nel suo amore, siamo cioè come il tralcio staccato dalla vite.

 

Propongo come titolo per il nostro programma pastorale di quest’anno le parole dell’apostolo Giacomo: “…IO CON LE MIE OPERE TI MOSTRERÒ LA MIA FEDE” e come icona biblica la figura del “Buon Samaritano” di p. Marko Ivan Rupnik sj, richiamo della omonima straordinaria parabola evangelica.

Certo sono tanti gli stimoli che ci vengono da documenti ed eventi ecclesiali: la imminente prima sessione del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e la celebrazione dell’anno dedicato alla Vi­ta consacrata, proposti da Papa Francesco. Anche dalla Chiesa Italiana abbiamo altri stimoli: il Convegno Ecclesiale di Firenze dal tema “In Gesù Cristo il nuo­vo umanesimo” che si terrà nel prossimo anno, a metà del decennio dedicato all’educazione alla vita buona del Vangelo, e gli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi dal titolo “In­contriamo Gesù”,che offre buoni spunti anche al cammino che la nostra Diocesi sta facendo nel rinnovamento dell’iniziazione cristiana dei fanciulli e ragazzi dentro l’orizzonte della nuova evangelizzazione. Compito del Vescovo è di delineare un cammino comune per la nostra Chiesa di Chioggia, dentro la quantità di stimoli offerti, perché ciascuna comunità non cammini da sola con scelte eccessivamente frammentate, ma possa camminare “insieme” in unità di intenti e di proposte nel nostro territorio. Intendo fare riferimento principalmente allo spirito e alle indicazioni dell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, di Papa Francesco che propone una prospettiva di continuità con grandi documenti come Evangelii Nuntiandi di Paolo VI, Deus Caritas est e Caritas in Veritate di Benedetto XVI, per citarne alcuni.

 

Il “Buon Samaritano”

La parabola risponde alla domanda essenziale per ogni credente: “Cosa devo fare per ereditare la vita eterna”.Per Gesù la risposta è ovvia, le Scritture parlano chiaro: praticare il comandamento dell’amore verso Dio e verso il prossimo. Per l’interlocutore di Gesù (e forse anche per noi) è chiaro cosa significa amare Dio, cioè osservare tutte le norme cultuali e rituali; ma non è altrettanto chiaro come va applicato il comandamento “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Al suo tempo si era, e forse anche oggi si è creata non solo una distinzione ma addirittura una separazione tra i due comandamenti, preoccupandosi di quale dei due sia il più importante (il primo) quello dal quale poi dipendono o vanno interpretati tutti gli altri. Gesù (basta leggere Mt 22,34-40, Mc 12,28-33, Lc 10,28) unisce inseparabilmente i due comandamenti, facendone un’unica regola da cui dipende la salvezza (Mt 7,12; Rom 13,8-10). Ma era pure dibattuta la questione di chi dovesse essere considerato come “prossimo”. Con la sua parabola Gesù sposta l’attenzione dall’oggetto dell’amore al soggetto dell’amore, cioè sulla responsabilità di chi intende obbedire al Signore ed aver parte alla vita eterna. Ecco la risposta di Gesù data in forma narrativa, perché l’ascoltatore possa egli stesso trarne le conclusioni. Di fronte ad un uomo qualsiasi (spogliato e mezzo morto), che ha subito violenza e si trova in necessità di aiuto per sopravvivere, sfilano tre personaggi, ben classificati, un sacerdote, un levita, un samaritano. Solo quest’ultimo si prende cura di quello “sconosciuto sventurato”: gli presta le prime cure, lo consegna ad una locanda perché lo curi fino a guarigione, anticipando per questo primo servizio due denari ma assicurando che al suo ritorno salderà il conto. Ecco chi ha messo in pratica il comando divino, comportandosi da prossimo.

 

Qualche domanda:

  1. Chi sono oggi coloro che si trovano nella condizione dell’uomo “percosso, derubato e lasciato mezzo morto”? Riusciamo a vederli?
  2. Cosa fa la differenza nei tre personaggi? Tutti e tre vedono, due “passano oltre”, ma solo uno «vide e ne ebbe compassione». Punto qualificante è “provare compassione”.

(Ricordate l’interrogativo di Papa Francesco a Redipuglia: “Che mi importa di mio fratello?”.

  1. Quali azioni genera la compassione? «Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”».
  2. Alla fine Gesù impegna la sua persona nella valutazione finale che Egli fa scaturire dalla bocca di colui che lo aveva interrogato: “Chi ha avuto compassione di lui”  e conclude «Va e anche tu fa così».
  3. La parola chiave dunque è la compassione. Se Gesù ha identificato se stesso con gli affamati, gli assetati, i forestieri, gli ignudi, gli ammalati, i carcerati e i fratelli più piccoli (cfr Mt 25,31-46), in questa parabola Egli si identifica anche nel samaritano (nell’icona di Rupnik sembra di vedere il medesimo volto in entrambi i personaggi). Il verbo “aver compassione”, poi, attribuito qui al samaritano, in tutto il Nuovo Testamento si trova 12 volte solo nei vangeli sinottici, ed è sempre attribuito come sentimento di Gesù (o del Padre) nei confronti delle folle stanche e smarrite che lo seguono, dei malati, dei bisognosi, dei ciechi e dei peccatori, cui risponde insegnando e dando loro da mangiare, guarendo, rispondendo ai bisogni, risuscitando il figlio della madre vedova, accogliendo il figlio prodigo, condonando il debito al servo. Dunque è questa l’attitudine di Gesù verso tutti gli uomini. È questo il vangelo della misericordia che Gesù annuncia con la parola e con i suoi gesti. Nei capitoli 8 e 9 del Vangelo di Matteo, che seguono il grande discorso della Montagna (Insegnamenti), l’evangelista concentra il racconto di 10 miracoli con i quali egli rivela chi è Gesù attraverso i suoi gesti concreti di compassione: prima che la dimensione miracolistica, Matteo sottolinea l’attitudine e l’azione misericordiosa di Gesù verso tutti. La consegna di Gesù al “dottore della legge” che ben ha risposto «Chi ha avuto compassione di lui»  è «Va e anche tu fa così».

 

Vorrei che notassimo la successione delle azioni che la compassione mette in moto:

– farsi vicino, – fasciare le ferite, versando il proprio olio e vino, – caricare sul proprio mezzo di trasporto, – affidarlo all’albergatore, – prendersi cura di lui, – tirar fuori due denari, -garantire il costo fino alla guarigione.

Mi piace anche identificare la Chiesa, ogni nostra Comunità, come la locanda cui Gesù (samaritano che raccoglie il povero) affida i poveri, le da i “due denari” per il tempo presente e le promette il resto “al suo ritorno” («Venite, benedetti…. nel regno preparato per voi»).

 

Come possiamo prendere l’iniziativa di portare il primo soccorso, ma poi nel territorio stimolare le strutture pubbliche perché diventino a loro volta “locanda” per rispondere alle necessità degli uomini, offrendo anche tutto il nostro contributo?

Non è di questa “misericordia di Dio” agli uomini che Papa Francesco si fa continuamente annunciatore, invitando la Chiesa a diventarne strumento e icona, e compiendo gesti personali che la mostrano possibile e realizzata?

Nella nostra iniziazione cristiana, c’è spazio per un annuncio che non si esaurisca nelle parole ma accompagni con la mistagogia i ragazzi e i giovani a diventare interpreti della carità e della compassione?

 

Papa Francesco dedica il capitolo quarto della sua Esortazione apostolica Evangelii Gaudium a “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”. Invitando a fare oggetto di studio e di preghiera tutto questo capitolo, mi limito a richiamare qualche tratto citando alcuni numeri:

186. “Dalla nostra fede in Cristo fattosi povero, e sempre vicino ai poveri e agli esclusi, deriva la preoccupazione per lo sviluppo integrale dei più abbandonati della società”.

187. “Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società; questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo. (…) Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e dal suo progetto… E la mancanza di solidarietà verso le sue necessità influisce direttamente sul nostro rapporto con Dio”.

188. “…In questo quadro si comprende la richiesta di Gesù ai suoi discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mc 6,37), e ciò implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo. La parola “solidarietà” si è un po’ logorata, e a volte la si interpreta male, ma indica molto di più di qualche atto sporadico di generosità. Richiede di creare una nuova mentalità che pensi in termini di comunità, di priorità della vita di tutti rispetto all’appropriazione dei beni da parte di alcuni”.

198. “Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Dio concede loro «la sua prima misericordia»…. Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei, con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro. La nuova evangelizzazione è un invito a riconoscere la forza salvifica delle loro esistenze e a porle al centro del cammino della Chiesa. Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro”.

200. “Dal momento che questa Esortazione è rivolta ai membri della Chiesa Cattolica, desidero affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale. L’immensa maggioranza dei poveri possiede una speciale apertura alla fede; hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede. L’opzione preferenziale per i poveri deve tradursi principalmente in un’attenzione religiosa privilegiata e prioritaria”.

201. “Nessuno dovrebbe dire che si mantiene lontano dai poveri perché le sue scelte di vita comportano di prestare più attenzione ad altre incombenze. Questa è una scusa frequente negli ambienti accademici, imprenditoriali o professionali, e persino ecclesiali. Sebbene si possa dire in generale che la vocazione e la missione propria dei fedeli laici è la trasformazione delle varie realtà terrene affinché ogni attività umana sia trasformata dal Vangelo, nessuno può sentirsi esonerato dalla preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale: «La conversione spirituale, l’intensità dell’amore a Dio e al prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il significato evangelico dei poveri e della povertà sono richiesti a tutti». Temo che anche queste parole siano solamente oggetto di qualche commento senza una vera incidenza pratica. Nonostante ciò, confido nell’apertura e nelle buone disposizioni dei cristiani, e vi chiedo di cercare comunitariamente nuove strade per accogliere questa rinnovata proposta”.

207. “Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti”.

208. “Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiugano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra”.

 

Dopo quanto abbiamo ascoltato cosa significano oggi per noi le parole di Gesù: «Vai e fa anche tu lo stesso», o quelle dell’apostolo Giacomo: «Così anche la fede: se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta. Al contrario uno potrebbe dire: “Tu hai la fede e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, e io con le mie opere ti mostrerò la mia fede”. Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?».

 

Rimando per proposte concrete all’articolo del Direttore Caritas Italiana in “L’amico del Clero” n. 9, settembre 2014, pp.508-511, dal titolo: “La Caritas parrocchiale anima la parrocchia”, che inizia con questa affermazione: “Lo specifico della Chiesa in un territorio è la Diocesi, e in questa, la parrocchia”.

La via della carità potrebbe essere la via per fare rivivere anche le parrocchie che, come dice Papa Francesco, corrono anche il rischio della dissoluzione.

+ Adriano Tessarollo