Presbitero, 60 anni dopo!

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Le risposte durante l’Ordinazione “Lo voglio… lo prometto” sono ancora gioiose di spirito giovanile e di fede solida

Presbitero, 60 anni dopo!

Nel sorgere e tramontare del sole di questi giorni di “Nozze sacerdotali di diamante” (29 giugno 1954 – 2014; 5 gli ordinati: don Livio Ballarin, don Fabio Calore, don Rino De Marchi, don Umberto Pavan, don Umberto Marcato, defunto) molti sono stati i messaggi augurali inviatimi, con commoventi attestazioni. Grato al direttore del nostro settimanale diocesano, nell’impossibilità di rispondere personalmente, come sarebbe mio desiderio, esprimo, mediante il mezzo di comunicazione, i sentimenti di gratitudine alle comunità parrocchiali della B. V. Maria della Navicella, in Sottomarina, e di S. Mauro di Cavarzere, in primis al parroco don Alfonso Boscolo e all’arciprete don Achille De Benetti, alle autorità civili di Cavarzere con il Sindaco, e alle diverse Associazioni, al Coro “T. Serafin” diretto dal M° Renzo Banzato, per il familiare, affettuoso, e nel contempo solenne, rendimento di grazie al Signore per i 60 anni di vita e ministero sacerdotale.

In simile contesto festoso, può spuntare una domanda di curiosità. Dopo 60 anni di vita e ministero presbiterale quali sentimenti e pensieri s’annidano nel cuore di don Umberto? Durante il lungo percorso si sono verificati sconvolgimenti storici epocali, a carattere sociale, morale, etico, ecclesiale. Oscurità di fughe, di fatti impensabili anche da parte di sacerdoti, o religiosi, manifestando tanta fragilità umana. Nel contempo però, per chi ha buona vista morale, sana, sfolgora la luce di santità di tanti, veramente tanti sacerdoti, missionari, suore, persone laiche di vita consacrata. Ancor oggi presbiteri martiri per la fede. La luce pentecostale del Concilio Vaticano II. Nella mia esperienza bella, lieta, entusiasta, di presbitero, non sono mancate le prove, le difficoltà; periodi faticosi per far cogliere lo spirito di rinnovamento, di corresponsabilità nel cammino pastorale tra laici e presbiteri. La sofferenza negli spostamenti da una comunità parrocchiale ad un’altra, nella conoscenza delle nuove persone, o come si dice, del nuovo territorio. L’avvicendarsi dei vari vescovi: nei miei anni ne ho esperimentati 6. Ognuno, è naturale, ha uno stile proprio, una sensibilità diversa, un approccio relazionale con le persone diverso, con aperture pastorali ad orizzonti ampi, continentali anche diversi, pur nella linea costante tracciata dalla Cei e dai predecessori, alla luce del Concilio Vaticano II. Eppure con semplicità trasparente ed umiltà, posso affermare di essere tutt’oggi contento della chiamata vocazionale e della risposta. Sono contento di aver “perso” come afferma il vangelo, ossia donato, speso, consumato la mia vita per il Signore, per la Chiesa, e pure per fratelli o sorelle di religiosità diversa. Quando rifletto: mediante le parole della consacrazione, Gesù scende sulle mie mani, e lo comunico ai fedeli; al confessionale per accogliere, capire ciò che pesa nel cuore dei penitenti, donare il perdono e ridare il sorriso smarrito a causa del peccato. Ai ragazzi, agli adolescenti e giovani riconsegnare la bussola dell’esistenza, rasserenando mente e cuore. Non ho nulla da rimpiangere. Sono contento. Sicuramente bisogna battagliare con la propria vita interiore guardando e puntando sempre su di lui, Gesù nostro amore. La letizia d’animo per la preghiera, la meditazione, la contemplazione dinnanzi al tabernacolo, la liturgia. L’incontro con le persone, la visita alle famiglie, l’accostare gli ammalati; l’ascolto dei poveri, la carezza per loro. Con serenità posso dire di essermi realizzato, non sprecato, come forse tanti giovani possono pensare. La realizzazione avviene nell’amore, inteso come donazione, a somiglianza di Cristo che, nel fallimento apparente della Croce, diventa dono pieno e totale nell’amore che salva e rende veramente liberi. L’arcivescovo e teologo Bruno Forte scrive in una lettera sulla bellezza di essere preti: “Perché è bello essere preti? Proviamo a capirlo assieme. Essere preti non è un impiego burocratico, ma il frutto di un dono che viene da Dio e rende la persona capace di agire come segno efficace di Cristo, capo del suo corpo che è la Chiesa, al servizio del Vangelo, della riconciliazione e della carità fraterna. È la missione che potrà rendere felici non solo quanti ad essa sono chiamati, ma anche tutti coloro al cui servizio spenderanno la loro vita, seguendo con fedeltà ed amore il Sacerdote della nuova ed eterna alleanza”. A 60 anni di sacerdozio ci si avvia per lasciare il posto. Occuparlo richiede di essere toccati, raggiunti, e lasciarsi toccare e raggiungere dalla chiamata della vocazione. Genitori, educatori, nonni, parlate del sacerdote; favorite chi volesse intraprendere la strada del presbiterato. È strada straordinaria dell’amore nella sponsalità. Com’è gioioso aver detto “Lo voglio! Lo prometto!”. (Chioggia, 22 luglio 2014 – Pavan don Umberto)

 

da NUOVA SCINTILLA 30 del 27 luglio 2014