SPECIALE ORDINAZIONI

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SPECIALE ORDINAZIONI

-Due nuovi sacerdoti

-A chi il “testimone”?

-“Sacerdote in eterno”

-“Un padre nella fede”

-Chiamati alla relazione

 

 

 

 

 

Due nuovi sacerdoti

Nella Domenica della “Divina Misericordia”. Oggi alle 15.30 in cattedrale

È con gioia ma anche con trepidazione che un vescovo ‘consacra’ i sacerdoti. Gioia per il dono del Signore alla sua Chiesa e al presbitero stesso, chiamato a partecipare alla missione di Cristo pastore ‘sacerdote misericordioso e fedele”; misericordioso verso i fratelli e fedele al suo Maestro e Signore. Trepidazione per il difficile contesto in cui oggi i presbiteri si trovano a vivere la loro missione. Mi piace comunque ricordare, facendone un augurio e un impegno, alcune righe della ‘Pastores dabo vobis”, che al n.74 afferma: “La fisionomia del presbiterio è, dunque, quella di una vera famiglia, di una fraternità, i cui legami non sono dalla carne e dal sangue, ma sono dalla grazia dell’ordine; una grazia che assume ed eleva i rapporti umani, psicologici, affettivi, amicali e spirituali tra i sacerdoti; una grazia che si espande, penetra e si rivela e si concretizza nelle più varie forme di aiuto reciproco, non solo in quelle spirituali, ma anche in quelle materiali”.

Con l’ordinazione il presbitero entra in un gruppo che gli preesiste, entra a far parte di una fraternità che non dipende anzitutto da una decisione dei membri di accogliersi e di volersi bene. La fraternità presbiterale è un dono di Dio che precede la scelta dei singoli di viverla. Essa non va confusa con l’amicizia, esigenza per altro molto sentita, sia nella chiesa, nel suo insieme, come nel presbiterio. Ma l’amicizia si sceglie, la fraternità no: la fraternità è la scoperta di essere stati scelti. L’amicizia ci segue; la fraternità ci precede come evento generativo. La fraternità è il dono che fonda l’amicizia, la responsabilità e il compito, anche se poi è l’accoglienza effettiva che li rende possibili, per cui l’unità del presbiterio è tanto dono di Dio quanto compito dell’uomo. La fraternità è anche condizione senza la quale non è possibile vivere la spiritualità del sacerdote diocesano, non solo condizione favorevole per svolgere al meglio le sue attività pastorali. Il termine “presbiterio” allora, più che indicare un insieme di persone che svolgono la stessa funzione (come può essere un corpo sociale, ad es. il corpo della polizia municipale o altro…), indica soprattutto il fatto che i presbiteri sono uniti tra loro da speciali vincoli di natura sacramentale, prima ancora che di natura pastorale. Il punto alto di questa fraternità sacerdotale è costituito dall’Eucaristia.

Cari Simone e Yacopo, vi auguro che possiate trovare un presbiterio accogliente, aperto, fraterno, non competitivo e selettivo. Voi entratevi con la più grande apertura, senza pregiudizi o esclusioni.               (+ vescovo Adriano)

SEMINARIO. Interrogativo spontaneo e necessario in questa fase storica

 

A chi il “testimone”?

Il mio animo è grato al Signore per aver avuto in questi due anni, in cui sono alla guida del Seminario diocesano, la gioia di aver accompagnato don Yacopo e don Simone a raggiungere quella meta da loro tanto desiderata e attesa. Le parole di Maria nel Magnificat: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore” esprimono veramente il mio stato d’animo nel vedere oggi don Yacopo e don Simone presbiteri per sempre nella nostra chiesa diocesana. Ma se da una parte come Chiesa locale, come Seminario, è un momento di festa, dall’altra mi martella la mente una domanda: a chi questi due giovani passeranno il “testimone”? Allora la gioia nel vedere due nuovi preti che vanno ad arricchire e ringiovanire il nostro presbiterio si vela di non poche preoccupazioni, di attese, di speranze che mi portano a pensare: la nostra chiesa locale sarà ancora in grado di rispondere al desiderio di tante persone di avere ancora un prete nelle loro comunità parrocchiali?

Sono certo, però, che è proprio nelle fasi più difficili e nelle difficoltà più grandi che si riesce a trovare quel supplemento di energie, di idee che aiutano ad affrontare e a superare anche i momenti in cui prevale la delusione o lo scoraggiamento e, se poi questo impegno è sostenuto dalla grazia del Signore che non fa mai mancare il suo sostegno, allora tutto diventa anche più facile. Qualcuno ha definito e, giustamente, il Seminario il “cuore della diocesi”. Che sia proprio così? C’è una sensazione strana che da quando ho iniziato questo servizio in Seminario alberga abitualmente dentro di me. Temo che questo “cuore”, per quanto ci riguarda, stia cessando di battere: giovani disposti a mettersi in gioco, fatico ad incontrarli, la voglia di sentire il Seminario come qualcosa di nostro, di più caro della diocesi, non lo riscontro tanto facilmente nelle persone che incontro. Non avverto cioè un gareggiare da parte di tutti per far sì che questo “cuore” non solo continui a pulsare limitandosi a sopravvivere, ma che riprenda vita, che si animi a tal punto da scoppiare di salute.

La Pasqua che stiamo celebrando e vivendo ci parla di speranza, di vita, di amore, di gratuità, di dono, di servizio… Come vorrei che tutto ciò sprigionasse in me, nei confratelli, nel popolo di Dio che ancora ama e desidera il prete, quella forza che ci porta a spenderci perché la chiamata del Signore, che certamente non manca, possa trovare giovani persone come Yacopo e Simone capaci, pur in mezzo a tanti dubbi e difficoltà, di dire un “sì” grande e generoso! (don Danilo Marin, rettore)

 

“Sacerdote in eterno”

Don Simone: Pregate perché diventi un “santo” sacerdote

Mancano pochi giorni alla mia ordinazione sacerdotale! Qualcuno potrebbe domandarmi: cosa senti in questi giorni, alla vigilia della tua ordinazione? Rispondo che quando ci penso (e vi garantisco che di questi tempi ci sto pensando abbastanza spesso) mi tremano le gambe come se dovessi attraversare un burrone camminando su una fune nel bel mezzo di una tempesta! Sembra siano passati solo pochi giorni dal primo ottobre del 2006, il mio primo giorno di seminario, eppure sono già trascorsi quasi otto anni e più vado avanti più mi rendo conto di quanta strada devo ancora fare. Sono tante le cose da imparare, tanti gli aspetti del mio carattere e della mia personalità che ancora devo cambiare e mettere a servizio di questa mia scelta. Ma ormai il giorno che ho tanto desiderato è arrivato. Mi ritornano sempre alla mente le parole di alcuni amici sacerdoti che in questi anni di formazione più volte mi hanno ripetuto: “Tu es sacerdos in aeternum” (tu sei sacerdote in eterno). Questo mi ricorda che io sarò ordinato prete e sarò prete a tutti gli effetti ma quel giorno mi verrà dato tutto il tempo della mia vita per diventare prete! Giorno per giorno, minuto per minuto, appunto, in eterno. Che non vuol dire “una volta per sempre” ma “sempre, ogni volta!”. Sarà come quando uno diventa papà. Il giorno della nascita di suo figlio lui è papà a tutti gli effetti, eppure avrà una vita per “lavorarci sopra” e diventare, giorno per giorno, veramente padre di suo figlio. Domando la preghiera di tutti per diventare un “santo” sacerdote! (Simone)

 

 

Don Yacopo: Senza paura, con tanto coraggio e gioia

“Un padre nella fede”

Quante volte in questi giorni, in questi mesi, mi sono sentito dire: “Yacopo, manca poco; siamo agli sgoccioli…”. Sono passati sette mesi da quando il vescovo Adriano aveva dato un primo annuncio circa la nostra ordinazione sacerdotale. Nei primi tempi ci pensavo ogni giorno, ma quanti eventi mi hanno portato ad occuparmi di altro: l’inizio del nuovo anno pastorale e formativo, l’Avvento, il Natale, la Quaresima, la Settimana Santa… Ogni volta mi dicevo: “Ci penserò dopo!”. Ma ora è giunto il momento. Alla vigilia delle Palme un amico sacerdote mi dice: “Ciao, confratello: fra poco lo sarai veramente!”. È stato come sbattere la faccia su una porta di vetro che non si è vista! Ho capito in quell’istante che il tempo è giunto, è arrivata la mia ora, quella di vivere l’ultimo tratto di cammino diaconale, per poi proseguirlo mettendo in pratica per tutta la vita lo spirito di servizio che caratterizza il ministero sacerdotale.

Quante emozioni dentro di me! Anche se devo riconoscere di avere una certa serenità, una certa tranquillità, frutto di un attento esame di coscienza. Sono contento di diventare prete, sono contento della scelta che ho fatto. Certamente una scelta controcorrente, ma una scelta che può e deve coinvolgere altri, una scelta che dimostra la vitalità della nostra Chiesa diocesana, una Chiesa che è Madre. A me viene chiesto di diventare un padre nella fede. Come? Attraverso quei gesti che il sacerdote compie nella Liturgia (la celebrazione della Messa, la Confessione, l’Unzione degli infermi e gli altri sacramenti), ma soprattutto stando in mezzo alla gente, andando a visitare le famiglie, chi è solo. Questo vorrei essere, come recentemente qualcuno mi ha ricordato: “Il sacerdote deve camminare a testa alta, non deve avere paura di nessuno, anzi deve essere un compagno di viaggio, essere vicino nei momenti più belli e più tristi della vita”.       Non so se sono propositi troppo alti, ma la mia vocazione è nata perché incontravo persone che non sempre avevano una meta verso cui andare nel cammino della vita. La bussola del mio cuore cerca di tendere sempre verso un punto di riferimento preciso: Gesù! In una recente testimonianza ho sentito che un sacerdote il giorno della sua ordinazione aveva detto: “Io non mi appartengo più”. Anche un giovane seminarista ucciso martire nel 1945 a 14 anni, nella sua semplicità disarmante, diceva: “Sono di Gesù!”. Spero di iniziare il mio ministero con questa consapevolezza. Lo Spirito che il vescovo invocherà su di noi ci faccia essere come gli apostoli, senza paura, con tanto coraggio, tanta gioia, e tutto il desiderio possibile di adempiere a questa grande missione. (Yacopo)

 

 

Vocazione e compito per ogni presbitero

Chiamati alla relazione

Con Dio, con il vescovo, nell’apostolato, con tutta la gente

Il presbitero diocesano non è chiamato alla solitudine ma alla relazione, anzi egli struttura la sua persona e il suo ministero con la cifra della relazione, in termini di vita interiore, di apostolato, di obbedienza, di verginità.

La relazione dice il costante e fondamentale riferimento del presbitero a Dio, a cui ha donato la vita, con cui si intrattiene in quella dimensione orante che non si esaurisce nel dovere ma respira confidenza, comunione, pacificante abbandono. Non dobbiamo dimenticare che la vocazione è un dono di Dio e ha la sua espressione più alta nell’incarnazione del Verbo, nel vivere concreto di Gesù, nel mistero della sua morte e risurrezione. L’unico modo per poter vivere la nostra vocazione è quindi di vivere in, con e come Cristo Gesù. Nel dialogo con il giovane ricco Gesù stesso indica la via della vita in termini di relazione con lui; invita a passare dall’osservanza dei comandamenti allo spirito delle beatitudini e alla sequela esigente.

La relazione diventa via nuova di apostolato perché oltrepassa le forme anonime delle proposte di massa per privilegiare il contatto personale con il conseguente coinvolgimento anche nel vissuto concreto delle persone. Oggi il presbitero è chiamato a coltivare la “qualità” nel rapporto con le persone, la capacità di ascolto, di dialogo, di attenzione e, insieme, di discernimento. Vi è necessità che il prete, esercitando il suo compito di guida nel cammino di fede, si faccia sempre più compagno di viaggio e prossimo alle condizioni di vita della gente, con un’attenzione rivolta indistintamente a tutti coloro che vivono nel territorio del proprio servizio ministeriale, anche ai battezzati che abitualmente non frequentano, con un approccio sapiente alle nuove occasioni di incontro.

La relazione interpreta in tutta la sua portata positiva il necessario riferimento al vescovo, in modo da farlo diventare obbedienza feconda a quel progetto di Chiesa che siamo chiamati a servire. Il vescovo mons. Monari così relazionava all’assemblea della CEI del maggio 2006: “Un vescovo e i preti del suo presbiterio sono una cosa sola. Lo deve sapere il vescovo che può compiere la sua missione solo attraverso i presbiteri; lo devono sapere i presbiteri che operano in modo ecclesiale solo in comunione con il loro vescovo. Vescovo e preti sono insieme segno e strumento di Gesù pastore. La legge del loro rapporto e del loro servizio è quella della comunione. È una legge che comprende oltre l’obbedienza un’adesione di affetto, di fraternità, di corresponsabilità”.

La relazione libera le energie della propria carica umana ed affettiva e rende anche la scelta verginale non una rinuncia all’amore ma una delle sue forme più mature e feconde. Essa infatti istituisce una relazione libera e totalizzante, immediata, senza mediazioni se non quella che passa attraverso il cuore di Dio che dobbiamo saper costantemente interpretare. Solo la relazione verginale sa essere misericordiosa, consolante, e nello stesso tempo esigente e feconda di bene. A partire da quella che instauriamo con i nostri confratelli nel presbiterio. Incontriamoci, parliamo, correggiamoci reciprocamente, accogliamo le osservazioni, amiamoci e stimiamoci reciprocamente, e la spalla di ciascuno di noi sarà prestata a Cristo perché chi ne ha bisogno possa appoggiarvi serenamente il capo.

Lascio questi pensieri ai giovani presbiteri che entrano a pieno titolo nella nostra famiglia e a tutti i confratelli che li accolgono con gioia e speranza. (don Francesco Zenna, vicario generale)

 

da NUOVA SCINTILLA 17 del 27 aprile 2014