Pedagogia della carità

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Intervista a tutto campo al direttore della Caritas diocesana don Marino Callegari

Pedagogia della carità

Il ruolo della Caritas diocesana e di quelle parrocchiali e vicariali – Il radicamento nel territorio anche attraverso i Centri di Ascolto – I rapporti con gli Enti pubblici – Uno sguardo alla Caritas locale di Porto Tolle ed uno più globale alla Caritas nazionale – I rapporti con la Regione Veneto

Don Marino Callegari (al centro nella foto) è nato a Chioggia il 30 aprile 1958. Ordinato sacerdote il 1° maggio 1982, è responsabile della Caritas diocesana dal 1989 (direttore dal 1999). È inoltre delegato per la pastorale della famiglia dal 2001 e Coordinatore della Commissione formazione permanente del clero dal 2005; cooperatore festivo di Volto di

Rosolina dal 1997. Dall’anno scorso è delegato per le Caritas del Triveneto nel quinquennio corrente e quindi fa parte del Consiglio nazionale di Caritas Italiana.

Un focus sulla Caritas nella nostra Diocesi e nel Delta.

La Caritas è presente un po’ in tutto il territorio della nostra non grandissima Diocesi. Il principale soggetto che rende presente la Caritas sono le Caritas parrocchiali, che oggi alla luce della nuova impostazione ecclesiale sono modulate anche come Caritas vicariali, dentro una geografia più ecclesiale, o Caritas zonali con una geografia più ‘civile’. Su questo punto si sta discutendo anche in Caritas Italiana se la Caritas parrocchiale possa ancora essere l’unica forma di presenza Caritas o se non dobbiamo pensare a modalità plurali di presenze Caritas nel territorio ecclesiale e civile. Dalla Caritas parrocchiale o vicariale deriva la prima fondamentale presenza identitaria di servizio alla comunità cristiana e al territorio civile che è il Centro d’Ascolto, luogo e spazio dove i credenti esercitano la prima forma di carità che è l’ascolto, cioè quella forma particolare di relazione di aiuto con chi chiede di essere accolto. Abbiamo presenze di Caritas – Centri di Ascolto con varie gradualità di strutturazione a Chioggia, Sottomarina, Cavarzere, Rosolina, Porto Viro, Loreo, Taglio di Po e Porto Tolle. Sono modalità che non sempre vedono coincidenti le Caritas parrocchiali e i Centri di Ascolto. Ci possono essere dei Centri di Ascolto che non hanno alle spalle una Caritas e specularmente vi sono Caritas senza Centro di Ascolto. È in questo mix di contesti che negli ultimi anni abbiamo fatto la scelta di investire molto nella formazione. Formazione che si presenta aperta a tutti con una serie di proposte che all’inizio di ogni anno pastorale rendiamo note. Quasi ogni anno qualche operatore Caritas viene mandato a Roma per un percorso formativo che dura tutto l’anno pastorale oltre che ad incontri più specialistici. Ultimamente Mattia De Bei ha portato in Caritas Italiana l’esperienza della Comunità Familiare.

Come sono i vostri rapporti con le istituzioni, vedi le difficoltà del momento nelle pubbliche amministrazioni…

I rapporti sono buoni, oserei dire molto buoni, sia per la collaborazione nella prassi quasi quotidiana di progettazione di interventi per le persone che chiedono aiuto, sia – anzi ancor di più – per i percorsi di accompagnamento con le persone, da costruire insieme alle Municipalità o ai Servizi Socio-sanitari delle due Aziende Sanitarie Locali competenti nel nostro territorio diocesano. Il tentativo che abbiamo fatto e che continuiamo a fare – in genere con gli assessorati alle politiche sociali dei Comuni, oltre che, ovviamente, con le parrocchie – è il passaggio dall’idea dell’assistenza/beneficenza all’accompagnamento/progettualità. È un passaggio non semplice perché è innanzitutto una trasformazione culturale, nel considerare la povertà e il disagio non un evento fatalistico ma come un processo cronicizzato di mancati interventi o di interventi mal posti. Certo la crisi economica sta giocando un ruolo purtroppo importante: ma anche dalla crisi s’impara a lavorare in maniera nuova, più progettuale. Così insieme le Caritas e i Comuni stanno costruendo percorsi di inclusione che necessitano di uno o più progetti. Imparare a lavorare insieme per progetti sta facendo maturare anche le Caritas parrocchiali, abituate nel passato alla distribuzione di generi alimentari e vestiario o al massimo al pagamento delle bollette. Mi rendo conto che bisogna superare quella che a volte mi viene da chiamare la ‘sindrome del redentore’, la convinzione cioè che i problemi li risolviamo con l’intervento emergenziale che – se non è collegato ad un sistema di pensiero – è importante, ma rischia di cronicizzare la domanda e non generare percorsi di autonomia personale.

A Porto Tolle come si è inserita l’organizzazione?

A Porto Tolle siamo in fase di ripensamento della presenza Caritas parrocchiale e del Centro di Ascolto. La Caritas di Porto Tolle è stata una delle prime a nascere in Diocesi – grazie anche alla presenza negli anni ‘90 degli obiettori di coscienza che lì hanno svolto il loro Sevizio Civile – ma è stata anche una delle prime che ha sentito il bisogno di rivedere prassi e modalità legate all’assistenza. Ora, anche grazie alla presenza di don Fabrizio, stiamo rivedendo il senso e le collaborazioni al Centro d’Ascolto. Sono passaggi che vedono anche cambiamenti di persone e di stili… non sempre facilissimi da capire.

Al di là della volontarietà e della carità di molti benefattori e degli stessi cittadini, come vedresti il lavoro delle varie Associazioni? La Caritas fa parte della squadra: non crede ci debba essere più visibilità del vostro lavoro?

Una delle osservazioni che spesso mi è stata fatta è proprio questa: ci si accorge del “lavoro Caritas” solo in determinate occasioni e poi si scopre una presenza molto discreta (per non dire nascosta) delle Caritas vicariali e della Caritas diocesana quando le persone si trovano all’ultima sponda. Per indole personale e per formazione non ho mai desiderato – forse sbagliando – fare troppa pubblicità all’attività carsica che si sta facendo in Diocesi, ad esempio sul tema del lavoro e dell’housing sociale dove ci stiamo sperimentando in progetti non facilissimi nella ridefinizione di due accoglienze, una a Cavarzere (Centro Bakhita) e una a Sottomarina (Buon Pastore), dove per ciascun ospite stiamo intessendo una rete di convergenze con i servizi territoriali (Sert, servizi sociali, Comune, Volontariato, Centri per l’Impiego, Fondo di Solidarietà…): tutto ciò richiede accanto a risorse economiche (progetti 8 x mille ad esempio) nuove figure di educatori/accompagnatori: sarebbe interessante che queste nuove professionalità diventassero proposta ecclesiale ai giovani vicini al nostro mondo parrocchiale e associativo. Non abbiamo più lo strumento potente che è stato il Servizio Civile sostitutivo a quello di Leva e anche il lavoro sociale-cooperativo ha qualche difficoltà, ma non possiamo esimerci da fare anche proposte lavorative e professionali a giovani, coniugate a percorsi spirituali. Su questo credo ci sia molto da lavorare! Penso – ad esempio – che pur nella crisi di vocazioni al sacerdozio non ci si possa esimere da progettualità che diventino luoghi di esperienze di alterità e quindi ‘vocazionabili’ per i nostri giovani. Con la Pastorale Giovanile si inizia a parlare un linguaggio comune e questo è già un dato positivo. Credo fondamentale che la Caritas possa essere non l’ente gestore di progetti ma possa dare corso alla sua prevalente funzione pedagogica, che vuol dire anche di crescita culturale sui temi del disagio e della marginalità. Io vedrei la Caritas come colei che coordina la Consulta degli Organismi Socio Assistenziali, cioè di tutti quei soggetti di chiara ispirazione cristiana che lavorano con rapporti convenzionati con gli Enti Territoriali. Ma qui stiamo vivendo delle difficoltà anche a livello di Tavolo di Coordinamento degli Organismi socio assistenziali (che non c’è) nella regione conciliare Nord Est.

Progetti per il futuro e il ruolo della Regione Veneto nei vostri confronti?

Da settembre ho iniziato il lavoro come Delegato per le Caritas del Nord Est e, in virtù di questo ruolo, partecipo al Consiglio Nazionale di Caritas Italiana. Devo dire che è per me molto stimolante passare dalle problematiche del micro a quelle nazionali. In questo ruolo ho il compito di tenere i rapporti con la Regione del Veneto – su questa mi è posta la domanda – e in particolare con gli assessorati competenti come servizi sociali, mobilità, famiglia, progetti europei, ecc…; anche qui ci sono molte realtà estremamente stimolanti culturalmente ed ecclesialmente. La linea che stiamo tentando di dare alle Caritas del Nord Est è una linea che, radicandosi nel tessuto ecclesiale – Caritas parrocchiali e centri di ascolto, con la strumentazione degli Osservatori Caritas –, sia presente, anzi presenzi ai Tavoli di lavoro regionali, sul Welfare, sui Minori, sui Progetti Europei per essere fedeli al mandato Caritas che all’inizio della sua storia le ha dato Paolo VI: essere segno di una Chiesa aperta al mondo. Credo che un forte aggancio con il Territorio, con le Amministrazioni, con le persone deputate alla pubblica amministrazione sia imprescindibile anche per una pastorale che si apra a nuove possibilità e opportunità. D’altra parte la Caritas ha sempre avuto questo ruolo di avamposto e di capacità di leggere i segnali di novità che il tempo ci proponeva e ci propone; penso al Volontariato negli anni ‘80, al Servizio Civile negli anni ‘90, alla Cooperazione sociale nel primo decennio del duemila e oggi l’apertura ai progetti europei e alla globalizzazione. Si tratta di tradurre questi input, che arrivano dall’esterno e ridefinirli in termini pastorali accessibili alle nostre comunità. Qui sta la nostra sfida a 360° gradi. Paradossalmente, ma non più di tanto, in tempi di crisi come il nostro, è investendo ancora di più che sapremo superare la crisi stessa. Ho letto poco tempo fa un’affermazione di Nicolaj Berdjaev che bene illustra il senso della carità della Chiesa “Il pane che devo ogni giorno procurare a me stesso, è una questione economica. Il pane dell’altro è questione spirituale.” Coniugare insieme vita spirituale e carità è il nostro compito. (a cura di L. Zanetti)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 7 del 16 febbraio 2014