Vorrei che il mondo dello spettacolo fosse migliore…

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“Il mio nome è Pietro”. A colloquio con Pietro Sarubbi

Vorrei che il mondo dello spettacolo fosse migliore…

Venerdì 15 novembre scorso, il teatro don Bosco di Chioggia ha ospitato lo spettacolo dell’attore Pietro Sarubbi dal titolo “Il mio nome è Pietro”, un monologo sui testi scritti per lui da Giampietro Pizzol con la regia di Otello Cenci. E’ la storia dell’uomo che Gesù ha scelto per guidare la prima comunità cristiana. Nella rappresentazione, Pietro è interrogato dai sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, dove rivive i tre indimenticabili anni trascorsi con il Maestro che gli aveva cambiato la vita e dato un nuovo nome. Uno spettacolo che ha riscosso un buon successo visto che ha quasi riempito l’intero teatro. Alla maggior parte delle persone Sarubbi è noto per aver interpretato il ruolo di Barabba nel film di Mel Gibson “The Passion” nel 2003. A quel tempo – ci racconta

l’attore – non è stato molto difficile interpretare il ruolo di Barabba vista la sua condizione interiore: “Interpretare Barabba non è stato poi così difficile, perché allora non ero l’uomo che sono ora. Ero arrabbiato col mondo intero e quando Mel Gibson mi consigliò di comportarmi come un “mad dog”, un cane pazzo, non ho avuto nessun problema ad accontentarlo. Ero già un po’ Barabba. Nel caso invece della mia ultima rappresentazione riguardante l’apostolo Pietro, il regista mi ha aiutato molto a vestire i panni del Santo. Un San Pietro scritto in modo molto rispettoso, anche divertente ma allo stesso tempo profondo e religioso. È un san Pietro scritto per Pietro Sarubbi”. Ma oltre ad essere stato per lui un ruolo importante quello di Barabba, sul set di “The Passion” Pietro ha veramente incontrato Gesù, e da quel giorno la sua vita è cambiata. Uno sguardo, un semplice ma intenso sguardo che ha portato Sarubbi ad avvicinarsi alla fede cattolica. In quel periodo l’attore era alla ricerca di una felicità che gli sfuggiva, ma quello sguardo pieno d’amore tra lui e Caviezel (l’attore che interpretò il ruolo di Gesù) gli cambiò la vita. “Da quel giorno – dice Sarubbi – è iniziata la mia conversione, e Gesù da quel momento in avanti è diventato un amico, una presenza quotidiana nelle mie giornate. In seguito ho deciso di sposare mia moglie, la donna con la quale convivevo da 15 anni e con la quale avevo avuto tre splendidi figli. Dopo questa conversione ho girato parecchio raccontando a chi aveva piacere di ascoltarla, la mia storia, anche se devo dire che non è stato tutto rose e fiori. A “causa” di questa mia conversione ho disdetto qualche contratto, sono stato emarginato da molti circuiti artistici, una specie di mobbing lavorativo di cui non ho mai capito il perché”. Sarubbi ha più volte sottolineato il cambiamento radicale che ha fatto, da attore che pensava solo alla fama e alla paga, a uomo semplice di un’umiltà enorme, anzi per noi che l’abbiamo intervistato è difficile immaginarlo com’era prima. A chi ha già avuto l’occasione di ascoltare qualche sua intervista in cui parla della sua esperienza nel mondo dello spettacolo può sembrare che voglia parlarne male, ma non è così, anzi ne parla in quel modo con grande dispiacere. “Io racconto il mondo dello spettacolo così com’è, e con dolore. Come qualcuno che ha piantato un albero e vorrebbe che producesse frutti, fiori, invece quest’albero produce poche cose “buone”. Mi piacerebbe che il mondo dello spettacolo fosse più bello nel nostro paese. Noi siamo vittime della televisione, ma questa non è altro che la parte più esteriore, come se uno vedesse solo la punta dell’iceberg, dove alla base ci sono soldi, successo, ambiguità, ricatti e altre cose sgradevoli. Il mondo della televisione, del teatro, dello spettacolo in generale non è solo questo, ma è anche studiare tantissimo, e fare dei sacrifici. Io per esempio per inscenare i miei spettacoli mi ritrovo molto spesso a viaggiare da solo e a stare lontano dalla mia famiglia. Ovviamente si hanno anche grandi soddisfazioni, gli applausi, i sorrisi delle persone, il guadagno. È giusto che ci sia un bilancio tra cose negative e positive”. In questa ultima rappresentazione Sarubbi si è cimentato in un’esperienza teatrale non facilissima ma che parla anche un po’ di lui. “Il mio nome è Pietro” racconta l’eccezionale avventura di questo misero e umile pescatore, e il fascino dell’incontro con il Maestro che gli ha completamente sconvolto la vita nel momento in cui gli ha affidato un compito di cui egli non si sentiva degno. (Nicolò Signoretto)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 46 dell’8 dicembre 2013