Speciale enciclica

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Speciale enciclica

-Le riflessioni di mons. Marcello Semeraro sull’enciclica “Lumen fidei” (Intervista 1)

-LUMEN FIDEI – Francesco Botturi: oltre la ragione debole la forza della relazione (Intervista 2)

Un cerchio luminoso nel quale immergersi

Parla Marcello Semeraro, vescovo di Albano e presidente della Commissione Cei per la dottrina della fede. “Il Papa ricorda che fede, speranza e carità costituiscono un mirabile intreccio … non siamo all’ultimo tassello di un trittico, bensì alla proposta di una ‘vita teologale’”. Il riverbero profondo della “affidabilità di Dio”. La sintonia con il cammino pastorale della Chiesa in Italia. E infine: “Se l’Enciclica è ‘a quattro mani’, direi che questa è ‘musica’ per la nuova evangelizzazione”

“Lumen fidei”, “La luce della fede”: s’intitola così la prima Enciclica di Papa Francesco, pubblicata venerdì 5 luglio. Obiettivo del documento è “recuperare il carattere di luce proprio della fede” (n.4). Il Sir ha raccolto le prime impressioni e riflessioni di mons. Marcello Semeraro (nella foto piccola in alto a destra), vescovo di Albano e presidente della Commissione episcopale

della Cei per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi.

Questa Enciclica completa il trittico sulle virtù avviato da Benedetto XVI, autore di due documenti, rispettivamente, sulla carità e sulla speranza. Incontrando recentemente la segreteria generale del Sinodo dei vescovi, Papa Francesco ha ricordato che è stato il suo predecessore a cominciarla – “un’enciclica a quattro mani, dicono” ha commentato sorridendo – e poi a consegnargliela perché la portasse a termine.

“L’immagine delle ‘quattro mani’ è simpatica! Ma non si tratta delle ‘mani’ del papà che si aggiungono a quelle del figlio per… preparare i compiti a casa! Quando udii l’immagine, mi venne spontaneamente da pensare al fatto che Benedetto XVI sia un pianista provetto. Se n’è parlato molto e una volta – se ben ricordo – apparve anche una foto nella quale si vede Papa Benedetto suonare il pianoforte ‘a quattro mani’ con il fratello. Ora, io direi che suonare un pianoforte a ‘quattro mani’ produce una musica molto suggestiva e bella. Ed è il caso, eventualmente di questa Enciclica. Papa Francesco lo aveva preannunciato e qui lo dice così: ‘Assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi’ (n.7). Qualcuno potrà applicarsi a eventualmente distinguere le ‘mani’ che hanno suonato la ‘musica’ di questa Enciclica. È lo stesso Papa Francesco, però, che dissuade (a me pare) da simili operazioni. Il Papa rimanda chiaramente a un unico ‘soggetto’: il Papa, appunto! Scrive, difatti: ‘Il Successore di Pietro, ieri e oggi e domani, è infatti sempre chiamato a ‘confermare i fratelli’ in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo’. Per altro verso, è vero – come lei dice – che con questa Enciclica si compone il trittico sulle virtù avviate da Benedetto XVI. Anche in questo caso, però, nel testo del documento troverei qualcosa di più. Il Papa ricorda che ‘fede, speranza e carità costituiscono in un mirabile intreccio, il dinamismo dell’esistenza cristiana verso la comunione piena con Dio’. Ciò vuol dire che non siamo semplicemente a un ultimo tassello di un trittico, bensì alla proposta di una ‘vita teologale’. Le virtù teologali non vivono isolate e isolabili fra loro, ma sono una ‘vita’, cioè un tutto vitale. È bello, ad esempio, che il Papa ricordi il nesso tra conoscenza e amore ricorrendo alla frase di san Gregorio Magno: ‘Amor ipse notitia est’, indicando le radici agostiniane della formula e le sue risonanze medievali in Guglielmo di Saint Thierry che commenta il Cantico (cfr n.27). Ma sono cose che meritano una lettura più approfondita. Ora siamo ancora a un primo sguardo”.

Quali sono i principali spunti di riflessione contenuti nel documento?

“Al momento mi limiterei a cogliere l’architettura del testo nella successione dei suoi capitoli. A me pare che nelle quattro tappe l’Enciclica ci permette di osservare la fede in quattro distinte, convergenti e inseparabili prospettive. Anzitutto quella che in teologia è chiamata la ‘fides qua’: quel dinamismo vitale per cui credere vuol dire muoversi camminando verso Dio! È la fede che dice Amen! ‘L’uomo fedele riceve la sua forza dall’affidarsi nelle mani del Dio fedele’ (n.10). Il primo capitolo, dunque, è la storia della vita di fede, da Abramo – nostro padre nella fede – alla Chiesa che oggi ripete e acclama: Amen! Il secondo aspetto è quello veritativo della fede, diremmo, ossia il suo intimo rapporto con la verità – così ripetutamente richiamato da Benedetto XVI – e perciò anche il rimando al rapporto fede-ragione, su cui insistette Giovanni Paolo II con la sua Enciclica sul tema. Anche in questo caso il punto di partenza è un testo biblico: quello di Isaia 7,9 che è stato ed è molto importante per la riflessione teologica. Il terzo aspetto riguarda la trasmissione della fede e, per ora, mi limiterei a portare l’attenzione sul rimando implicito all’esordio della costituzione ‘Lumen Gentium’. Nell’Enciclica Francesco scrive: ‘La luce di Gesù brilla, come in uno specchio, sul volto dei cristiani e così si diffonde, così arriva fino a noi, perché anche noi possiamo partecipare a questa visione e riflettere ad altri la sua luce, come nella liturgia di Pasqua la luce del cero accende tante altre candele. La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma…’ (n.37). È davvero molto bello. Lo stesso Papa Francesco, in una delle sue omelie a Santa Marta, fece ricorso, qualche tempo fa, al tema patristico del ‘mysterium lunae’. C’è, poi, l’ultimo capitolo, che esordisce col tema molto suggestivo del ‘Dio affidabile’. Scrive il Papa: ‘Il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile’ (n.50). Il quarto capitolo indica alcuni luoghi specifici per una città degli uomini che sia davvero affidabile: il bene comune, la famiglia, la vita sociale, la forza consolante nella sofferenza. ‘Il cristiano sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può diventare un atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell’amore’ (n.56)”.

C’è un brano particolare dell’Enciclica che desidera sottolineare?

“Siamo ancora a un primo sguardo, evidentemente. In tale condizione di prima accoglienza ha attirato la mia attenzione un passaggio iniziale riguardo a quella ‘affidabilità’ di Dio, cui ho appena accennato. Mi è tornata alla memoria (mi è parso di cogliere che molte volte il Papa ricorre al termine ‘memoria’ e al verbo ‘ricordare’ e ciò si trova anche in altri suoi precedenti testi) un assioma fondamentale per la spiritualità di un gesuita ed è l’affermazione – riferita a sant’Ignazio di Loyola – per cui occorre ‘cercare Dio in tutte le cose e in tutte le cose trovare Dio’. È un principio altissimo, che ispira molti autori spirituali e teologi provenienti dalle fila della Compagnia di Gesù. Anche p. Antonio Spadaro, presentando il nuovo look della rivista ‘La Civiltà Cattolica’ ne fece cenno. Ora a me pare di ritrovarlo in diversi passaggi dell’Enciclica. Ne cito qui uno solo: ‘La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, separato dai nostri rapporti concreti. Ma se fosse così, se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale, e non sarebbe quindi neanche vero amore, capace di compiere quella felicità che promette’ (n.17). Penso che questa affermazione potrebbe essere assunta quale un principio per la nuova evangelizzazione, di cui si parla oggi”.

Quali, allora, le richieste e le implicazioni per la comunità cristiana? Anche pensando alla nuova evangelizzazione, cui ha fatto riferimento?

“Sotto questo profilo ritengo che il terzo capitolo dell’Enciclica sarà di grande ed efficace aiuto. Il Papa qui richiama il tema della Chiesa ‘madre della nostra fede’ e prima, citando Romano Guardini, scrive che la Chiesa ‘è la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo’ (n.22). Il principio è fondamentale. Anche in questo capitolo il punto d’avvio è biblico: ‘Ho creduto, perciò ho parlato’ (2Cor 4,13) e lo sviluppo sottolinea l’importanza della ‘trasmissione della fede’. Essa, scrive il Papa (anche qui richiamando il leit motiv della luce) ‘brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù’ (n.37). Leggere queste parole durante un primo, veloce sguardo sul testo, mi ha confortato molto, perché ho visto che tutto il cammino pastorale della Chiesa in Italia in questi primi due decenni del Terzo Millennio si muovono in questa direzione. Penso al documento Cei ‘Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia’; penso al Convegno di Verona e, in particolare, all’ambito della ‘tradizione’ e non soltanto; penso al documento per l’attuale decennio ‘Educare alla vita buona del Vangelo’ con la scelta prioritaria dell’iniziazione cristiana e dell’annuncio del Vangelo agli adulti; penso anche all’attività in questi anni della Commissione episcopale per l’annuncio della fede e alla grande opera di sostegno del nostro Ufficio catechistico nazionale. Credo che noi vescovi italiani, i catechisti, le catechiste e tutti gli operatori pastorali, potranno attingere da questa Enciclica davvero una grande ‘luce’ per la fede e per la crescita delle comunità ecclesiali”.

 

 

 

 

LUMEN FIDEI – Intervista 2

Oltre la ragione debole la forza della relazione

Francesco Botturi: “La modernità, nella sua contrapposizione tra fede e ragione, presuppone che la fede sia un puro assenso dottrinale: se la fede, invece, viene ricondotta al gioco del rapporto di persona umana e Persona divina, allora è il significato antropologico della fede che assume un ruolo primario”

 

 

La Chiesa è “la portatrice storica dello sguardo plenario di Cristo sul mondo”. Francesco Botturi, pro-rettore dell’Università Cattolica di Milano e docente di Filofosia morale, parte da questa frase di Romano Guardini, per rileggere la prima enciclica di Papa Francesco, in cui si parte dalla denuncia che “la nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo”. Lo abbiamo intervistato.

La fede non è un “salto nel vuoto”, ma una luce capace di dare all’uomo “occhi nuovi” per guardare l’esistenza. È un nuovo sguardo, quello che ci chiede il Papa?
“Direi piuttosto che il Papa ci chiede di recuperare quello è lo sguardo tradizionale della fede, dopo l’oscuramento dovuto al ‘grande oblìo’ del mondo moderno, che ha scomposto le capacità conoscitive e di relazione dell’uomo. La modernità configura una contrapposizione tra fede e ragione, credere e cercare, dove la fede è assenso senza ragione, puro sentimento, semplice opzione. Per il mondo moderno la fede comincia dove la ragione smette di cercare. La fede cristiana è invece una ‘ragione credente’, che presuppone una comunicazione intima tra ragione e fede: c’è un credere che è inerente alla ragione stessa, e c’è un rendere ragione che è insito nella fede”.

Al centro della Lumen fidei c’è la questione della “crisi di verità”. La “grande verità”, sostiene Papa Francesco, è messa in crisi, da una parte, dal primato della ragione tecnologica, dall’altra dalla pretesa della “verità” del singolo di valere come criterio assoluto…
“Oggi esiste una frattura profonda tra verità soggettiva e verità oggettiva: non c’è più un’idea di ragione forte, che si contrappone alla fede, perché la ragione stessa è diventata debole. Scienza e tecnica sono sempre più consapevoli dei loro limiti e della transitorietà dei loro risultati. Se non si può più parlare nei termini di un’idea forte di ragione, la ragione debole diventa relativista e soggettivista. D’altra parte, se non c’è più una ragione ‘esclusiva’ che presume di sé, pur nella crisi del senso della verità, si apre paradossalmente un varco per la fede: la strategia dell’enciclica consiste proprio nel recuperare la fede a una certa esperienza dell’intero umano, all’interno di una ricerca dell’umano in cui domina la relazione con l’altro”.

Non a caso il primo capitolo dell’enciclica presenta come “modello” Abramo…
“Abramo è la figura originaria e permanente della fede, che ha la sua origine nell’incontro con Dio, il Dio personale che rivelandosi trasforma l’esistenza di Abramo – come dice l’enciclica – in un luogo di chiamata, di promessa, di memoria, di affidamento, di paternità e generazione. È Dio che parla ad Abramo, attraverso una chiamata che contiene la promessa della generazione e che è fondata nella memoria che proviene dal passato della rivelazione e si protende al futuro della sua promessa. Abramo si affida alla chiamata e alla promessa, ha fiducia nella memoria e nel dono della paternità, che gli è concessa da Dio. La modernità, nella sua contrapposizione tra fede e ragione, presuppone che la fede sia un puro assenso dottrinale: se la fede, invece, viene ricondotta al gioco del rapporto di persona umana e Persona divina, allora è il significato antropologico della fede che assume un ruolo primario. La fede biblica, insomma, è in profonda continuità con quella fede antropologica che è sempre in gioco nelle relazioni tra gli uomini. La fede rivelata, che nasce nell’uomo per opera di Dio, non valorizza dimensioni marginali o residuali dell’umano, ma esalta e approfondisce una struttura di credenza essenziale nella vita dell’uomo, proprio quella capacità di relazione e di fiducia che la modernità ha mortificato ed emarginato. Con il credere, secondo la pienezza della fede cristiana, l’uomo non trova solo Dio, ma anche il meglio delle sue capacità”.

“Con il cuore, si crede”, scrive il Papa, che spiega come l’amore sia indissolubilmente legato alla verità. È questo l’antidoto all’”idolatria” dell’io, al narcisismo oggi dominante?
“Il tema del cuore è un tema tipicamente biblico. Il cuore è al centro delle relazioni che ragione, verità, fiducia intrattengono con l’amore. La fede comunica la ‘grande verità’ che illumina tutta l’esistenza dell’uomo, ma la verità è, secondo la Rivelazione, la verità dell’amore: per Dio, per gli altri, per il mondo. La fede è connessa alla verità, ma la verità è connessa all’amore: c’è una continua circolazione tra fede, verità e amore, perché essa è essenzialmente relazione personale con Dio personale, e quindi ha la struttura della relazione tra persone. II vedere il mondo con gli occhi della fede è opposto all’idolatria, perché questa riduce il senso della verità e simula una relazione che non c’è; l’idolatria maggiore nel contemporaneo consegue a tale ripiegamento dell’uomo su se stesso, anche sino a un patologico narcisismo”. (M. Michela Nicolais)

 

Clicca sugli indirizzi sottostanti per sfogliare, scaricare o leggere l’edizione ufficiale dell’enciclica:

http://www.vatican.va/lumen-fidei/it/html/index.html

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei_it.pdf

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei_it.html

 

 

da NUOVA SCINTILLA 28 del 14 luglio 2013