Arte e liturgia. L’iconografia

Facebooktwitterpinterestmail

Finestra sulla liturgia

Arte e liturgia. L’iconografia

La costituzione 232 del Sinodo Diocesano 1988 auspica “la creazione di un museo diocesano” che sia in grado di “testimoniare la ricca tradizione religiosa del nostro popolo”. Provvidenza ha voluto che il museo sorgesse a cavallo del 2000, dietro la spinta dei vescovi Magarotto e Daniel, grazie anche alla collaborazione generosa dell’intera comunità diocesana. È un museo che testimonia appunto – secondo moduli culturali – la vita di fede della gente rivierasca negli ultimi nove secoli di storia, da quando cioè Chioggia è divenuta sede vescovile con il trasferimento da Malamocco. Ma anche le nostre chiese sono luoghi dove si conservano in forma vistosa apparati figurativi, nati per celebrare la gloria di

Dio e per essere cornice idonea ad accogliere l’atto celebrativo, teso alla fusione dei cuori. Tali apparati figurativi consistono in dipinti e sculture, che la tradizione cristiana ha sviluppato in chiave prevalentemente narrativa: poiché Gesù attraverso l’incarnazione è venuto a narrarci il Padre con parole e gesti della sua vita corporea, di conseguenza l’idioma narrativo si è imposto alla Chiesa anche sul piano iconografico. L’arte tuttavia serve alla Chiesa non solo come strumento catechistico (e come tale dev’essere leggibile ed eloquente!), ma ha pure la funzione di introdurre nel mistero insieme all’intera tessitura del rito. Oltre all’iconografia narrativa, c’è un altro tipo di iconografia che non va trascurato nelle nostre chiese: è l’iconografia allusiva. Gesù, Verbo incarnato, pur nella concretezza del corpo assunto da Maria, non ha esitato a presentarsi anche in termini lontani dalle possibilità figurative: si è definito ‘via’, ‘verità’, ‘vita’, ‘luce’ degli uomini. Nelle nostre chiese la luce ha una valenza simbolica irrinunciabile: nei Salmi si dice che Dio si ammanta di luce e di splendore; nel Vangelo di Giovanni Gesù è presentato come ‘luce vera che illumina ogni uomo’ (Gv 1, 9). Si tratta ovviamente di luce spirituale, di cui quella fisica è un segno; segno tuttavia che va usato con generosità nella celebrazione dei divini misteri. Con l’immagine della luce che attraversa il vetro lasciandolo intatto, la teologia medievale spiegava la verginità di Maria: perciò le grandi vetrate delle chiese gotiche, da cui filtra luce in abbondanza, alludono a Cristo nato dalla Vergine Maria. Anche i portali delle nostre chiese – soprattutto se monumentali, ornati o a grande arco – ricordano che l’ingresso dell’area sacra viene elevato a dignità nuova in base all’affermazione di Gesù “Io sono la porta; se uno entra attraverso di me, sarà salvo” (Gv 10, 9): egli è l’unico ‘mediatore’ (I Tim 2, 5), il vero ‘tempio’ (Gv 2, 18-22), la meta nel cammino del credente. Benché modernamente siamo diventati un po’ sordi al linguaggio dei segni, tuttavia restano segni irrinunciabili in tutte le nostre chiese il crocifisso, che sintetizza la redenzione e annuncia la risurrezione, e la figura di Maria. Il primo è presente come croce gloriosa sospesa sopra l’altare, o come figura retrostante, o anche in forma astile affiancata all’altare. La seconda è presente di solito in un altare laterale o sosta su un cippo, posto a mezza chiesa: non è unicamente immagine cara sotto il profilo affettivo, è soprattutto immagine della Chiesa, Madre di Dio, capolavoro di umanità riuscita, ispiratrice di pensieri nobili, modello di santità. D’altra parte gli edifici sacri e il patrimonio artistico delle nostre chiese non chiedono che ci si rapporti alle architetture, alle pitture e alle sculture in modo archeologico o da esteti, ma che – in virtù del loro esserci (e dobbiamo far di tutto perché rimangano) – meglio rifulga la gloria di Dio e cresca lo spirito di comunione. Così, la nobile fatica che è chiesta all’assemblea celebrante – di rispettare cioè il rituale in una cornice di splendore – può facilitare la traduzione di un mistero che tutti ci supera.                                                                           (G. Marangon)

 

 

daNUOVA SCINTILLA 18 del 5 maggio 2013