Hanno creduto nell’amore

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Ebola. Al via in Congo il processo di beatificazione per le sei suore morte nella trincea dei poveri

Hanno creduto nell’amore

Noi Suore delle Poverelle presenti nel Basso Polesine, e precisamente a Ca’ Venier e Scardovari, con gioia grande annunciamo l’inizio del processo di beatificazione delle sei suore morte a causa dell’epidemia di Ebola che nel 1995 aveva colpito la zona del Congo in cui si trovavano. La data dell’inizio della complessa procedura è stata fissata per il 28 aprile. Il tutto si svolgerà a Kikwit, popolosa diocesi che fa capo a quella della capitale Kinshasa, in cui le sei suore operavano. Le sei suore si erano rifiutate di tornare in Italia, nonostante l’infuriare dell’epidemia e l’invito della Madre Generale a rientrare, per restare a curare i malati e morirono fra il 25 aprile e il 28 maggio 1995. Una storia di morte e di amore, di sofferenza e di fede. La storia buia di un virus misterioso che, nel secolo scorso, ha

scatenato epidemie mortali in Africa. Una storia con dei nomi precisi, Sr Floralba fu infettata in sala operatoria, Sr Danielangela, Sr Clarangela e Sr Dinarosa contrassero il virus al capezzale della consorella. Sr Annelvira e Sr Vitarosa (che aveva raggiunto le consorelle dopo la morte di Sr Floralba con due valige di medicinali), a loro volta, rimasero contagiate assistendo le tre ammalate. Fra il 25 aprile e il 28 maggio 1995 la morte le falciò tutte sei in poco più d’un mese, accomunandole in una sorta di martirio della carità. La stessa carità che le aveva spinte in Africa, partendo giovanissime da Bergamo e Brescia. Una scelta determinata a vivere «avvolte tra i poveri» (come raccomandava il nostro fondatore, il Beato Luigi Maria Palazzolo nella Bergamo di metà Ottocento) e che le aveva fatte approdare a Kikwit (vicino a Kinshasa, 4 milioni di abitanti, dei quali circa 2 milioni e mezzo battezzati), là dove oggi sono sepolte. Sei donne che avrebbero potuto riparare in Italia finché fosse passato il rischio di contagio e che invece scelsero di restare, nonostante la consapevolezza della gravità della situazione, continuando a lavorare nel loro ospedale. Senza aver mai pensato di abbandonare la «trincea della carità».

Dal volume «L’Ultimo dono» (edito dalla Queriniana), preleviamo alcune espressioni: «Lui sa tutto ed è con noi anche in questa durissima prova» (Sr Annelvira); «La mia missione è quella di servire i poveri! Cosa ha fatto il mio fondatore? Io sono qui per seguire le sue orme» (Sr Dinarosa); e ancora: «Padre, ponimi accanto ai miei fratelli libera, accogliente, felice, povera tra i poveri» (Sr Clarangela). Vi scopriamo parole che specchiano l’operosità di chi vuole «seminare la misericordia del Signore» (Sr Floralba), nella certezza di riconoscere i doni di Dio comunque si manifestino: «Posso dire che ho ricevuto tanto da loro (i miei poveri), soprattutto la serenità e la capacità di sopportazione» (Sr Vitarosa). Mentre resta l’eco delle parole di Sr Danielangela sussurrate alle consorelle prima di spirare: «Non sappiamo né l’ora né il giorno in cui il Signore ci può chiamare», ma occorre sempre «restare nella gioia»… «perché amore chiama amore».

Da quel 1995 son passati 18 anni dalla morte di queste sei Poverelle, così “normali” per chi le ha conosciute e così ”straordinarie” nella loro morte che, senza che loro sapessero e volessero, hanno parlato; e continuano a parlare di Dio al cuore del mondo, perché testimoniano la forza della fede, la fedeltà del giorno dopo giorno, la bellezza dell’amore fraterno e la carità che nasce dal Signore. (Suore delle Poverelle di Ca’ Venier e Scardovari)

 

 

 

da NUOVA SCINTILLA 17 del 28 aprile 2013