Speciale Incontra Vocazioni

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Speciale Incontra Vocazioni

1. Vocazioni per la Chiesa di oggi

2. “Il Seminario è il cuore della diocesi”

3. La direzione spirituale

4. “Col Signore guadagniamo sempre”

5. Guardando al prete

6. Forme di ministerialità giovanili

7. Ministerialità e Parola di Dio

8. Laboratori educativi (gli oratori)

9. Siamo IO e TE e RIO

10. Crazy Mandy.

 

 

 

 

1. Vocazioni per la Chiesa di oggi

Riflessioni e invito del vescovo Adriano: “La vocazione è un eccomi, un ‘sono qui’ ”

Ogni vocazione personale partecipa alla vocazione della Chiesa e assume le caratteristiche della sua missione. Vocazione non significa progetto personale di ciascuno, ma risposta di ciascuno alla chiamata di un Altro. La vocazione non è una cattedrale che ciascuno costruisce nel deserto del proprio io da realizzare, non è rincorrere i propri progetti e realizzare le proprie idee e aspirazioni, ma è un eccomi, un “sono qui”, un voglio mettermi in gioco in un mondo che ha bisogno di essere salvato. Mi piace considerare che anche l’azione di Dio per l’uomo è risposta ad una chiamata, ad un vedere dei bisogni e ad un sentire un grido di disperazione: “Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…” (Es 3,7). Vocazione è sentire il grido del proprio mondo e del proprio tempo, decidere di esserci là dove c’è chi chiama e chi cerca. Avere la passione del liberatore per eccellenza che è Dio, avere la disponibilità del Servo per eccellenza che è Cristo, avere la forza dell’Amore di Colui che è la fonte dell’Amore, lo Spirito Santo. Anche Dio si è sentito interpellato, chiamato ad ascoltare il grido dell’uomo nel dolore, nella schiavitù, nell’ingiustizia. È l’uomo, infatti, a chiamare Dio, a gridare per primo verso il cielo, quando nessuno sulla terra lo ascolta. È consolante pensare che allora ci fu un Dio che aprì il Suo orecchio, che ascoltò la voce e scelse di coinvolgersi e di scendere, uscire da sé, dal suo paradiso per sposare la causa degli uomini, suo popolo. E non è questa anche la vocazione di Gesù? “Mi ha mandato per annunciare ai poveri un lieto messaggio, ad annunciare la libertà ai prigionieri e ai ciechi la vista … per proclamare un anno di grazia del Signore” (Lc 4,18). E nella lettera agli Ebrei, che ci presenta la missione di Cristo sacerdote dell’umanità, leggiamo in 2,14-16: “Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli infatti non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura”. Gesù rispose a quella vocazione uscendo pure dal suo cielo, facendosi carne, corpo, assumendo su di sé le fragilità, la debolezza, l’impotenza, della sua creatura. La vocazione degli apostoli e dei discepoli di Gesù, e quindi ogni vocazione nella chiesa, è partecipazione di quella di Gesù e di Dio. E la sua vocazione coinciderà con la precisa missione di farsi salvatore non di se stesso ma del mondo! Ci sarà anche oggi chi è disposto ad ascoltare le voci che vengono dal basso, a uscire da se stesso e dai suoi individuali progetti, come ha fatto e fa Dio, come ha fatto Gesù di Nazaret, come ha fatto Maria e anche Giuseppe, chiamati a seguire il disegno di Dio che li voleva genitori, ciascuno in modo proprio, del Salvatore Gesù?

La vocazione è una risposta al grido del mondo sommerso che è lo stesso grido di Dio che vuole salvare il suo mondo.

Ci sarà ancora chi è disposto a rispondere a questo grido, senza troppi calcoli, interessi e realizzazioni personali, disposto ad abbracciare la croce del Cristo che non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita per la salvezza degli altri?

È questo il suo atto di amore puro, senza altre finalità proprie.   (+ Adriano, vescovo)

 

 

 

2. “Il Seminario è il cuore della diocesi”

Un luogo dove poter maturare e conoscere la propria vocazione, sia essa al sacerdozio o in altro ambito. Una tappa del cammino, non il traguardo finale. L’importanza della preghiera da parte di tutti

C’è un’espressione che riguarda il Seminario che, sin da bambino, mi è stata suggerita e che continua ancora a risuonare nella mia mente: “Il Seminario è il cuore della diocesi”.

Quanto è vera questa espressione!

Nel seminario, infatti, si forma la nuova generazione di sacerdoti di una diocesi. Senso e obiettivo di un Seminario è proprio questo. Chi entra in Seminario crede di essere chiamato da Dio a seguirlo più da vicino e in Seminario questa vocazione viene curata come una pianta (seminarium significa vivaio).

Il Seminario è luogo di maturazione, una tappa del cammino, e non già il traguardo. Per questo motivo non tutti quelli che entrano in Seminario diventano sacerdoti. È compito di chi vi entra di cercare quella strada e quella vocazione che il Signore ha preparato per ognuno.

Ecco perché continuiamo a parlare ancora della realtà del Seminario anche oggi, in un tempo, cioè, di forte crisi, purtroppo anche per la nostra diocesi, di scarsità di vocazioni e di sacerdoti.

Mi sono chiesto, dopo che solo da pochi mesi ho assunto la responsabilità della guida del nostro Seminario diocesano: che dire di questa realtà?

Sono andato a rileggermi la Relazione della Congregazione per i Seminari, mandata al nostro Vescovo Adriano, al termine della Visita Apostolica che il Delegato, il vescovo di Foligno, Gualtiero Sigismondi, ha compiuto al nostro Seminario nei giorni 5 e 6 novembre 2012.

“Abbiamo preso atto – essa diceva – della particolare situazione del seminario che riflette la profonda crisi vocazionale che sta attraversando anche codesta diocesi, la quale non intende rinunciare a mantenere aperto il “presidio vocazionale” del seminario”. Per questo motivo il Delegato constatava dialogando con il nostro vescovo che la diocesi “non risparmia energie pur di non rinunciare al suo seminario”.

La Relazione, inoltre, non ha mancato di sottolineare l’intendimento da parte del vescovo Adriano di “assicurare in seminario la presenza dei formatori, benché siano impegnati su diversi fronti. Tale fatto positivo – concludeva – non può che risultare come ‘pungolo’ per la pastorale vocazionale”.

Queste espressioni dicono quanto sia importante per una Chiesa locale un Seminario e quanto sia urgente l’impegno da parte di tutti per continuare a mantenere in vita questo “cuore”, anche se i numeri, le difficoltà di ogni genere potrebbero indurci allo scoraggiamento, perché se cessasse di battere ne risentirebbe negativamente tutta la nostra diocesi.

Non ci resta che rimboccarci le maniche per cercare di mettere in atto tutto quanto è nelle nostre possibilità e quanto, a livello diocesano, ci verrà suggerito dall’Ufficio per la pastorale delle vocazioni per dare sempre più ossigeno a questo “cuore”.

Ci troviamo, sì, in una profonda crisi per quanto riguarda il campo vocazionale e i nostri seminari si spopolano, ma è anche vero che questa crisi, a mio parere, è tutta da interpretare.

È una crisi, come suggeriva qualcuno, “che induce la Vocazione a interrogare se stessa, il suo essere pienezza di senso per le persone che la accolgono, e profezia di futuro per un mondo da costruire. La crisi riconduce la Vocazione a ripensarsi per l’oggi, per la novità, per il futuro, magari contemplando anche la necessità di un cambiamento, da considerarsi come offerta di una nuova opportunità, e tenendo presente che difficilmente oggi i giovani si donano per tenere in vita qualcosa che sembra riguardare soprattutto una storia passata”.

Mentre, allora, ripensiamo alla realtà del nostro Seminario accogliendo anche i suggerimenti che in maniera costruttiva possono venire da tutti, preti e laici, accogliamo come uno stimolo forte e significativo e segno di speranza le parole di Papa Francesco che al “Regina coeli” di domenica scorsa, rivolgendosi in particolare ai giovani presenti in piazza San Pietro, diceva: “A volte Gesù ci chiama, ci invita a seguirlo, ma forse succede che non ci rendiamo conto che è Lui, proprio come è capitato al giovane Samuele. Ci sono molti giovani oggi, qui in piazza. Vorrei chiedervi: qualche volta avete sentito la voce del Signore che attraverso un desiderio, un’inquietudine, vi invitava a seguirlo più da vicino? L’avete sentito? Avete avuto voglia di essere apostoli di Gesù? La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo! Dietro e prima di ogni vocazione al sacerdozio o alla vita consacrata, c’è sempre la preghiera forte e intensa di qualcuno: di una nonna, di un nonno, di una madre, di un padre, di una comunità… Ecco perché Gesù ha detto: «Pregate il signore della messe – cioè Dio Padre – perché mandi operai nella sua messe!». Le vocazioni nascono nella preghiera e dalla preghiera; e solo nella preghiera possono perseverare e portare frutto”.

La preghiera assidua e l’impegno concreto di tutti permetterà al Seminario di continuare a dare accoglienza a chi, oggi, è disposto a mettere in gioco la propria vita e ad accettare di metterla nelle mani del Signore della messe per il bene dei fratelli. (don Danilo Marin, Rettore del Seminario diocesano)

 

 

3. La direzione spirituale

L’esperienza di don Francesco Zenna: la voglia di capire la propria vocazione e, successivamente, la voglia di aiutare altri giovani a trovare la loro vocazione. Guida “spirituale” perché lo Spirito Santo è il protagonista

Avevo una decina d’anni quando mi fu proposta. Ero già alla ricerca di quale orientamento dare alla mia vita, tenendo conto delle caratteristiche personali, del contesto familiare, delle attrattive provocate dalle persone incontrate e dalle esperienze fatte. Avevo già concluso il cammino di iniziazione cristiana con la Cresima e la Comunione, ma non si era spento il desiderio di camminare nella conoscenza e nell’amicizia del Signore, dentro la bella realtà della comunità parrocchiale.

Com’era tradizione, ogni sabato pomeriggio si interrompeva il gioco nel vicino campetto e ci si recava in chiesa. Un po’ accaldati, ma consapevoli del sacramento che si andava a celebrare, si accostava un sacerdote per la confessione. Al paese ce n’erano tre e io avevo scelto il mio, l’autorevole arciprete che mi sapeva dire sempre una parola di incoraggiamento molto appropriata e mi stimolava nella ricerca.

“Sì”, gli risposi un giorno, “verrò a trovarla lunedì pomeriggio dopo le lezioni”. Frequentavo il doposcuola dalle suore e mi fu facile passare in canonica dove mi attendeva. L’ambiente era diverso, ma l’approccio, la confidenza e la vastità dei temi trattati avrebbero esercitato in me un grande fascino. Fu all’interno di quei colloqui periodici, aperti anche sul mondo e sulla vita, che avvertii la chiamata del Signore e fu attraverso quelli che ebbi in seguito con il “padre spirituale” del seminario che sviluppai e portai a compimento la vocazione al sacerdozio.

Quando iniziai il servizio pastorale nella parrocchia della Cattedrale (avevo appena compiuto 24 anni) mi venne spontaneo fare ad altri, ragazzi e giovani in particolare, la stessa proposta. Fu impegnativo ma costituì, e costituisce tuttora, una delle esperienze più significative del mio sacerdozio, assieme alla celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti, e la riflessione sulla Parola di Dio.

Del resto è di questo che la direzione spirituale si nutre. Non è un’operazione psicologica, per quanto richieda un’empatia e uno sguardo nel profondo del proprio “io”, ma un evento di grazia che ha come protagonista lo Spirito del Signore. Con la sua guida, precedentemente invocata, si intravedono un progetto, una meta, un percorso attinenti alle peculiarità del soggetto e alle sue scelte; con la sua luce si interrogano la Scrittura e la storia per cogliere la concretezza della risposta nei diversi contesti umani, familiari e sociali; con la sua forza si individuano e si affrontano anche le difficoltà e le fatiche del cammino.

Il protagonista allora è lo Spirito Santo (da qui l’aggettivo “spirituale”) a cui va dedicato lo spazio dell’interiorità, dell’ascolto e della preghiera; il soggetto gode di tutti i doni di grazia che ne derivano per la sua verifica e propositività; il direttore spirituale, con tutta la sua carica di umanità e la sua maturità di fede, garantisce l’autenticità dell’esperienza di ricerca e la plausibilità delle conclusioni a cui si arriva. Non si tratta di sostituire il soggetto nella sua responsabilità ma di sostenerlo perché non si scoraggi, di orientarlo perché non si perda, di spronarlo perché non si accontenti della mediocrità ma punti sempre al massimo.

Il direttore spirituale rappresenta anche la comunità cristiana dalla quale ogni battezzato viene accompagnato con la preghiera e la testimonianza, e interpreta la comunità cristiana perché esprima in pienezza la sua natura materna di accoglienza, di perdono, di pazienza, di rispetto, di sincero affetto.

Attraverso questi colloqui spirituali ho visto nascere e crescere autentiche vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, così come al matrimonio, alla vita di coppia e di famiglia. Farei fatica ancor oggi a pensarmi senza una guida spirituale, come negli anni della giovinezza, ed è per questo che offro a mia volta con gioia la piena disponibilità a quanti la chiedono. (don Francesco Zenna)

 

 

4. La storia della vocazione di don Jean Clement Koumoue

“Col Signore guadagniamo sempre”

Mi chiamo don Koumoue Jean Clement, sacerdote africano originario della Costa D’Avorio in missione nella Diocesi di Chioggia dal 2013 come “Fidei donum”. Raccontare la storia della mia vocazione non è una cosa facile, ma faccio lo sforzo di andare alle cose essenziali. Sono nato in una famiglia cristiana di 7 figli con 3 maschi e 4 femmine, abbastanza praticante e educato secondo le norme della Chiesa Cattolica. Sono il penultimo. Da piccolo ho seguito il catechismo per ricevere il battesimo all’età di 11anni e la cresima a 12 anni.

Quando ero ragazzo amavo accompagnare il mio parroco, un sacerdote della SMA (Società Missioni Africane, ndr) nei villaggi per la messa e la catechesi e così pian piano ho cominciato a seguire i gesti durante le celebrazioni eucaristiche e ad amarli.

L’idea di farmi sacerdote e così poter imitare questo parroco è incominciata a crescere nella mia mente e quando giocavamo con gli altri compagni di classe, mi piaceva fare il sacerdote. Infatti amavamo prendere un po’ di acqua e un pezzo di pane per “celebrare la messa”.

Quando il mio parroco e i miei genitori hanno saputo il mio desidero e la mia voglia, mi hanno incoraggiato e sono entrato nel seminario minore nella Città di Katiola nel Nord della Costa d’Avario. Dopo ho seguito il seminario medio; per motivi di spostamento dei miei genitori, ho frequentato il collegio Cattolico della Congregazione dei frati di San Viatore. Dopo il mio baccellierato fui orientato all’Università Nazionale del mio paese nella capitale Abidjan per studiare la storia e la geografia. Ma, volendo diventare sacerdote, ho rinunciato a questo progetto per entrare nel seminario maggiore dopo un test di filosofia.

Dopo tre anni di studi di filosofia, coronati dalla presa dell’abito, fui ammesso a proseguire con la teologia, che durò quattro anni. Bisognerebbe sapere che da noi, dopo due anni di teologia, tutti i candidati fanno un anno di pratica per impregnarsi delle realtà future della vita di povertà, di obbedienza, di carità e di castità. Alla fine riprendiamo gli studi per finire il ciclo di teologia. Prima di essere ordinati ritorniamo sul terreno pastorale per ancora un anno in cui facciamo l’esperienza concreta della vita sacerdotale impegnandoci nella pastorale. Come ci rendiamo conto, la formazione è lunga e impegnativa per verificare la maturità e soprattutto la serietà della vocazione sacerdotale. Per conto mio, dopo tanti anni di prova, di gioia, ma anche di dubbio, di paura, ma di convinzione, sono stato ordinato diacono il 24 marzo 1999 e sacerdote il 25 settembre 1999 nel mio villaggio (paese) a maggioranza musulmana. In questa data eravamo in due candidati, un religioso della Congregazione Figli di Maria ed io. Alla data di oggi, nel mio villaggio, siamo 3 sacerdoti, ci sono più di 5 seminaristi e 4 religiose. Il cammino per diventare sacerdote è certo lungo, diciamo un po’ duro ma appassionato e affascinante. Oggi quando faccio il bilancio della mia vita di consacrato, sono più lieto e se dovessi ricominciare non esiterei a fare la stessa scelta perché con il Signore guadagniamo sempre e c’è più gioia nel dare che nel ricevere. (Jean Clement Koumoue)

 

 

5. Per fare il sacerdote ci vuole coraggio, e amore

Guardando al prete

«La giovinezza bisogna metterla in gioco per i grandi ideali. Pensate questo voi? Siete d’accordo? Domanda a Gesù che cosa vuole da te e sii coraggioso! Sii coraggiosa! Domandaglielo!» queste le parole di Papa Francesco al “Regina coeli” del 21 aprile, giornata mondiale della preghiera vocazionale. È da qui che parte la mia riflessione verso i sacerdoti di oggi, soprattutto quelli più giovani. Per fare il prete oggi ci vuole coraggio. Non solo amare Gesù e donarsi a lui, vivere il Vangelo e con esso nutrire la propria vita. Oggi il prete deve avere il coraggio di esprimersi con quel linguaggio che smuove gli animi, che cerca compromessi inusuali, che si scontra con la tradizione. Il prete di oggi non ha paura di mostrarsi per quello che è, un uomo, timorato di Dio, ma pur sempre un uomo. A mio avviso, questa è la strada migliore per ravvivare la fiamma della fede, arrivare ai cuori impuri e trasformarli, far loro conoscere l’Amore vero, quello universale di Gesù. Abbiamo bisogno di questo noi pecorelle! Nei sacerdoti che incontro io, nella mia quotidianità, vedo energia e desiderio. È una bella esperienza quella che vivo.

Quasi ogni giorno entro in Seminario, incontro i giovani seminaristi, i preti che vivono e lavorano in questo luogo di pace e gioia: sì, il Seminario è un luogo d’Amore! Lo consiglio a tutti i giovani che stanno per scegliere di accogliere la “chiamata a Gesù”, perché oggi donarsi a Lui può assumere un significato più coerente con i giorni in cui viviamo. Perché Gesù è sempre al passo coi tempi, e con Lui anche i pastori che ha scelto per noi.

Quanto è vero che guardando al prete di oggi lo puoi vedere che ti tende la mano, ti fa l’occhiolino e sorride con te! Nella confessione, non preoccupa più il timore di non esser perdonato, ma ci si avvicina ad essa con la gioia di poter condividere con Gesù le paure e le difficoltà, certi di ricevere un sorriso e un buon consiglio da chi ci sta davanti, quel pastore che ha detto “Sì” a Gesù per noi. (Alessandra Fidelfatti)

 

 

6. Forme di ministerialità giovanili

Costruire esperienze che qui ed ora dicano il vissuto, con pazienza…

Vi è oggi nella Chiesa una non piccola fatica “culturale” sul tema della ministerialità all’interno della prospettiva vocazionale. Si tratta di pensare oggi una Chiesa tutta ministeriale, compatibile con la struttura gerarchicamente ordinata; ciò significa mettere insieme la capacità di leggere i tempi attraverso forme di servizio (ministerialità) unitamente al riconoscimento che l’esercizio della ministerialità avviene con il carisma della sintesi (magistero).

Che tipo di proposta ministeriale/vocazionale la nostra Chiesa sa dare e proporre oggi ai giovani? Chi scrive è figlio di una stagione ecclesiale che aveva – tra mille contraddizioni – il senso delle esperienze ecclesiali che andavano a modificare e a criticare anche l’istituzione civile. Gli anni settanta sono stati per la comunità ecclesiale anni di grandi fermenti dove la Chiesa italiana si era aperta (grazie anche alla figura di un grande apostolo come don Giovanni Nervo, fondatore della Caritas, e non solo) all’accettazione dell’obiezione di coscienza e al conseguente Servizio Civile; inoltre furono gli anni della nascita del Volontariato e della Cooperazione Sociale. Tutti luoghi e spazi dove sono maturate vocazioni laicali ma anche chiamate al presbiterato e alla vita religiosa.

E oggi? Quali sono le esperienze che come Chiesa siamo in grado di proporre ad un mondo giovanile “disincantato”, figlio di una cultura mass mediale, digitale che naviga su internet, facebook e che vive una sorta di mondo parallelo? Ci accoderemo su proposte dove l’emozione, il sentimento, il grande evento ti carica per poi ritornare in una piatta quotidianità? Gli eventi – la GMG è uno di questi – sono di delicata gestione; ciò che avviene dopo è qualificante per ciò che l’evento è stato. Mi ha sorpreso, in un dialogo avuto quasi per caso con una giovane volontaria, sentire la sua passione per un cantante che personalmente consideravo abbastanza “leggero”: eppure questa volontaria si esercitava nel difficile ambito della multiculturalità e dell’accoglienza ai profughi. I giovani (ma un po’ anche i giovani/adulti) son fatti così: in loro convivono sentimenti, emozioni che a noi, figli di una cultura associazionistica dai confini molto chiari, danno il senso della contraddizione. Si partecipa ad una iniziativa di solidarietà, si dice di sì ad un incontro di preghiera e poi si passano le giornate a “chattare” con un mondo “altro”. Forse anche nel campo delle proposte vocazionali non sono ancora chiare le fondamenta teoriche (come lo erano state l’obiezione di coscienza e il volontariato nei decenni scorsi) e si fa una gran fatica a elaborare nuove forme culturali di prossimità. Ma in fondo cosa si vuole? I giovani sono già abbastanza preoccupati per il loro futuro incerto, per la ricerca di un lavoro che diventa una sfida contro il mondo, per cui diventa difficile a queste preoccupazioni aggiungerne altre, anche se… sante.

Per questo anche le esperienze di condivisione e di prossimità devono essere modulate sapendo che non hanno un valore assoluto (come lo è stato per noi) ma che convivono con una molteplicità di altri mondi. E anche per questo le esperienze da sole non bastano, non sono più sufficienti, come forse lo sono state un tempo per scoprire la vocazionabilità della nostra vita. Pensare che un giovane scelga il presbiterato perché gli piace il servizio alle persone più marginali, è pura illusione, allo stesso modo con cui oggi non è scontato che un giovane scelga il presbiterato o la vita religiosa per l’esempio che ha avuto da un prete o una suora santa: può essere, ma noi siamo chiamati a considerarlo un tassello di un mosaico tutto da costruire. Certo, per costruire il mosaico ci vogliono spazi, luoghi, persone, capacità di accompagnamento “nuove” che forse non abbiamo in mano. Forse non basta nemmeno il “buon senso”. La sfida della Chiesa non è trovare scorciatoie (c’è ancora qualcuno che si fa prete per salire i gradini dell’altare?), anzi è proporre le strade più impervie: esperienze strutturate di servizio, accompagnamenti personalizzati (come non riprendere in mano la direzione spirituale?), proposte interculturali per misurare la nostra capacità di progettazione anche con una società “altra” con la quale laici e presbiteri ci dovremo misurare. Ci vuol tempo e pazienza, ci vuole capacità riflessiva e propositiva che non sempre è compresa e capita subito. Solo da qui nascono ministerialità all’ascolto, al servizio, alla consapevolezza di vivere dentro la dimensione ecclesiale, allo stile di vita che vorrò fare mio in futuro; all’accettazione di una vita affettivo/celibataria non meno significativa di quella matrimoniale (avremo anche il coraggio di demitizzare una visione pansessualista della realtà?) e di non far vedere il celibato sempre e solo come rinuncia? Per far questo bisogna costruire esperienze che qui ed ora dicano il vissuto prima espresso. Ma questa è proprio la ricerca che insieme dovremo fare. (don Marino Callegari)

 

 

7. Ministerialità e Parola di Dio

La Parola fa conoscere, la Parola purifica, la Parola consola e conforta: attraverso la Parola Dio raggiunge la nostra storia

Nella fiducia, che conserviamo viva, sappiamo che Dio non manca di chiamare uomini e donne al servizio della comunità, sappiamo altresì che oggi si devono individuare metodi innovativi per far sì che questa voce risuoni nel cuore. Tuttavia ogni vocazione di speciale consacrazione è sempre risposta a una Parola “nuova e efficace”. “Tu, Dio, che conosci il nome mio, fa’ che ascoltando la tua voce io…”. Molte volte questo canto risuona nelle nostre comunità e con immediata semplicità ci rivela il cuore di ogni risposta che nasce dalla libertà con cui Dio desidera dar pienezza di gioia al cuore dell’uomo. Sì, lo dobbiamo riconoscere, oggi l’uomo ha bisogno di far silenzio per sentire la voce di Dio, ma deve pure lasciarsi guidare da qualcuno che quella voce la sappia far ben sentire. Se in altre righe troveremo il riferimento alla direzione e accompagnamento spirituale, qui vorrei proporre una riflessione sul connubio della ministerialità con la Parola. Si è chiamati dalla Parola e della Parola si diviene servi: “Chi vuol essere mio servo mi segua” troviamo scritto nel vangelo di Giovanni. La parola “ministero” e “ministerialità” oggi può sembrare solo legata alla politica, in realtà nel suo significato più vero è realmente diventare servo\servizio: non si diventa sacerdoti per “un di più” personale ma solo per portare Lui alle persone. Nel vangelo di Giovanni che inizia con l’inno stupendo alla Parola\Verbo fatto carne, Giovanni il Battista dice: “L’amico dello sposo gioisce al sentire la voce dello sposo, al quale la sposa appartiene” e ancora “Lui deve crescere e io diminuire”. Non sparire ma decrescere, c’è “un di più” al quale si deve dare spazio. Rispondere a Dio che mi parla nell’intimo dovrebbe diventare metodo per far giungere a ogni uomo il dono della salvezza che si realizza nel dare il Figlio. Ministro della Parola che crea le giuste disposizioni per far spazio al Dio della relazione: la Parola fa conoscere, la Parola purifica, la Parola consola e conforta, attraverso la Parola e gesti semplici (i sacramenti) Dio raggiunge la nostra storia e la rende capace di significato e salvezza. Ministri della Parola, che diventa efficace anche per la testimonianza di uomini e donne che con la loro vita hanno dato numerose vocazioni alla chiesa. I santi vicini e lontani a noi nel tempo sono la certezza che Dio chiama a seguirlo per mezzo di altri uomini che di Lui parlano fino a diventare a sua volta testimoni di Lui. “Sulla tua parola getterò le reti” risponde Pietro a Gesù che lo invitava a dare e fare qualcosa di diverso e nuovo: la parola di Gesù che raggiunge il pescatore di Cafarnao lo fa pescatore di uomini! Ministri della Parola siamo tutti, laici e consacrati, quando offriamo questa voce che può trasformare un semplice pescatore in apostolo coraggioso. (don Nicola Nalin)

 

 

 

8. Laboratori educativi

Oratori tra memoria e profezia

“Intrigato”. Così si sente chi bazzica salette, centri parrocchiali e oratori da una vita, ed è pure capace di andare oltre l’allergia da “documentite” per affrontare l’agile testo “Il laboratorio dei talenti”. Preparato dalle commissioni della Conferenza Episcopale Italiana per la cultura e le comunicazioni sociali, per la famiglia e la vita, è stato pure allietato subito da un sorriso fin dall’inizio, con le note a piè di pagina, che piazzavano, una dietro l’altra, una citazione di Giovanni Paolo II dalla prima Giornata Mondiale della Gioventù del 1985 (quando si era pure noi giovani e presi dentro…) e la citazione di un brano degli ultimi Orientamenti Pastorali dei Vescovi per il decennio in corso “Educare alla vita buona del Vangelo”, tante volte studiato e spiegato.

Ecco appunto. Tra memoria e profezia. La realtà degli oratori nella quale «con poco si fa tanto» e dove i giovani possono trovare «ricreazione e formazione», dove ciascuno mette in gioco se stesso, quel che è, quel che ha, quel che sa fare, in uno stare insieme, perché «gli oratori sostengono e favoriscono il pieno sviluppo di tutte le dimensioni della persona, intellettive, affettive, relazionali e spirituali».

Le radici storiche dell’oratorio sono presenti in quasi tutta Italia: Roma e san Filippo Neri; la tradizione milanese con in ogni paese la chiesa e dirimpetto l’oratorio; l’esperienza avviata da don Bosco in Piemonte e poi confluita nel fiume della tradizione salesiana. Nelle diverse accentuazioni, gli oratori sono sempre stati colti come «ponti tra la Chiesa e la strada» o ancora come «un variegato e permanente laboratorio di interazione tra fede e vita».

Luoghi, tempi, linguaggi, figure educative, dentro un chiaro progetto nella coltivazione di «relazioni personali autentiche e significative». In questo laboratorio che produce anche “cultura” nel senso più largo, la comunità ecclesiale è chiamata ad «un impegno e ad una responsabilità, anche in riferimento a sfide vecchie e nuove al tempo stesso: quella di sempre, l’emarginazione. Quella – inedita dalle nostre parti – dell’interculturalità, da far interagire in modo creativo con una chiara identità cristiana».

Davvero una chance per le comunità cristiane, prete incluso, di averli e di scegliere di investire ancora oggi su questi spazi umani, per l’educazione delle giovani generazioni. (don Antonio Chiereghin)

 

 

9. Siamo IO e TE e RIO

La prossima GMG interdiocesana a Sottomarina

Papa Francesco seguendo le orme di papa Benedetto ci invita a raccolta a Rio de Janeiro, in Brasile, il prossimo luglio, per celebrare insieme a milioni di giovani la gioia della fede. Poveri coloro che non potranno esserci sia per l’importante impegno economico, sia per il corposo periodo che serve a vivere questa esperienza in un momento dell’anno nel quale si intersecano offerte di lavoro ed esami universitari da dare. Ecco che la nostra povertà si fa ricchezza: la GMG la facciamo lo stesso, a km di distanza, con i giovani di tante diocesi vicine a Chioggia e con i vescovi che non saranno a Rio, primi tra tutti il nostro vescovo Adriano Tessarollo e il patriarca di Venezia Francesco Moraglia che presiederà l’eucaristia della domenica 28 luglio. La gioia della fede colpisce ancora: Chioggia e Sottomarina invase da migliaia di giovani che vogliono dire la loro fede in Gesù e l’entusiasmo di praticarla nella Chiesa e nel mondo. Sarà un evento che cambierà il volto della nostra diocesi, perché i Giovani saranno catalizzatori di fede e speranza in un tempo e in un territorio profondamente segnato dalla crisi economica e spirituale che ormai interessa tutto il nord est dell’Italia. E saranno le gioie e le speranza del nord est a darsi appuntamento a casa nostra. Lasceranno sicuramente il segno. Abbiamo infatti bisogno di segni, segni della presenza di Dio, segni del Regno che già c’è, segni di eternità: la spinta missionaria della GMG sarà anche spinta vocazionale. La chiesa che abita una terra genera figli di Dio che annunciano a loro volta e generano alla fede rendendo sempre più visibile il volto di Dio rivelato in Gesù: chi nel servizio della parola e dell’eucaristia nel ministero ordinato, chi nella maternità feconda nel sacramento del matrimonio e chi ancora nella verginità per il Regno nella consacrazione ecclesiale. Io Te e Rio sarà incubatrice di nuove risposte alle già esistenti vocazioni che aspettano solo segni concreti per decidersi o in un percorso o in una scelta definitiva. È questa la scommessa dell’evento: non è fine a se stesso, dura qualche ora e poi termina la sua missione perché lascia il posto ai percorsi e alle scelte che i giovani faranno. Noi intanto una scelta l’abbiamo fatta: mettere in campo uno staff di giovani che con passione ha comunicato al mondo che Cristo è risorto e che i prossimi 27/28 luglio sarà a Sottomarina ad incontrare migliaia di giovani. Abbiamo dato la nostra risposta di fede. Ora corriamo di parrocchia in parrocchia perché anche altri facciano lo stesso. (don Damiano Vianello)

 

 

10. Crazy Mandy.

Mercoledì 1 maggio tutti i cresimati/cresimandi a Rosolina con il vescovo

Nel prossimo fine settimana Papa Francesco incontrerà cresimandi e cresimati provenienti da tutto il mondo. È una delle iniziative dell’Anno della Fede che stiamo vivendo, dopo che Benedetto XVI lo ha solennemente aperto lo scorso ottobre. Il tema proposto è “Sarete miei testimoni”. Quale tema migliore in questo tempo pasquale?

Anche noi come diocesi vogliamo stringerci attorno al nostro vescovo, successore degli apostoli, per chiedere di confermarci e guidarci nel cammino della fede. È il vescovo, infatti, il ministro ordinario del sacramento della Confermazione. Vogliamo sentire la sua parola autorevole per realizzare in pieno il nostro compito di discepoli del Signore. Ma lo vogliamo fare in maniera moderna, stando assieme. Tutti i giovani cresimandi e cresimati della Diocesi, accompagnati dai loro parroci, vicari parrocchiali e catechisti, si ritroveranno mercoledì 1 maggio dalle 15 alle 17 nel palazzetto dello sport di Rosolina per cantare e lodare il Signore per il dono che hanno ricevuto o che riceveranno.

Sì, come unica grande famiglia vogliamo crescere assieme; di fronte ad una società che non vuole riconoscere il mistero e la Forza dello Spirito, Papa Francesco dice ai giovani, con quella voce calda e coinvolgente che lo caratterizza: “Voi siete testimoni di Gesù; portate avanti il testimone che Gesù è vivo e questo darà speranza a questo mondo invecchiato per le guerre, per il peccato. Avanti, giovani!”.

Noi ci crediamo, crediamo che Gesù è davvero risorto, e solo seguendo il cammino tracciato da Lui potremo realizzare un mondo migliore.

Ecco che eventi come Crazy-mandy, o l’appuntamento dell’estate “Io, Te e Rio”, costituiscono l’opportunità di ritrovarci assieme come giovani, come coloro che sono il futuro, la speranza, l’attesa del mondo, per dire: “Sì, ho incontrato il Signore e desidero cantarlo con la mia vita”. Eventi come questi sono piccole oasi di ristoro per ricaricarsi, e poter così vivere nell’ordinarietà, nella quotidianità il proprio essere cristiani, e dare l’opportunità alla nostra fede di crescere e maturare.

Ma è anche capire che fare catechismo non è solo la “lezione” (termine che da decenni vorremmo eliminare) una volta a settimana. Ma è fare esperienza di gioco, di divertimento, di preghiera, di riflessione, di vita assieme, fede vissuta. Da anni sentiamo parlare di “catechesi esperienziale”; forse questa è una modalità per declinare questa formula. Poter capire che dove due o tre sono riuniti nel Suo nome, lì è presente Gesù.

Vi aspettiamo allora numerosi, carichi di entusiasmo, di gioia travolgente, di euforia per cantare assieme ” Il Signore è veramente risorto, alleluia!”. (don Yacopo Tugnolo)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 17 del 28 aprile 2013