Entrambi ebbero un “periodo veneziano”

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Mons. Vittore Bellemo e don Lorenzo Perosi

Entrambi ebbero un “periodo veneziano”

Se al nostro mons. Vittore Bellemo (1879-1953, foto a destra) bene si adatta la definizione di “prete che fece pregare cantando”, altrettanto calzante è quella con cui solitamente viene definito don Lorenzo Perosi (1872-1956, foto a sinistra)e cioè prete che “trasformò il Vangelo in musica”.

Non si è certi della conoscenza reciproca fra i due. Se è avvenuta non può essere stato che nel breve periodo in cui il sacerdote di Tortona dirigeva la Cappella della basilica di San Marco a Venezia (1896-98) ed il nostro concittadino, non ancora ventenne, si poneva in luce per alcune sue giovanili composizioni positivamente segnalate dal foglietto locale “La Gioventù” in quanto evidenziavano “che nell’autore v’è ingegno, buona volontà e quello che noi chiameremmo buon gusto religioso-musicale”. Si trattava di un Miserere a 3 voci eseguito in Cattedrale durante la Settimana santa, di un Benedictus a 3 voci pari, di due mottetti – O quam suavis e Bone pastor, quest’ultimo per voce di basso e di tenore -, di un Requiem e

di un De profundis entrambi a 3 voci pari.

Intermediario fra i due fu senz’altro il cardinale Giuseppe Sarto, allora patriarca (poi salito al soglio pontificio con il nome di Pio X), che successivamente, quando Vittore dovette prestare il servizio militare di leva, benevolmente l’ospitò in una stanza del vescovado dove il giovane seminarista poteva attendere in tranquillità ai suoi studi di armonia e di contrappunto.

A don Vittore fu sempre caro il ricordo di quel periodo veneziano. Un giorno al nipote mons. Monaro confidò che il patriarca passava spesso attraverso la sala ove egli studiava e non lesinava di rivolgergli parole di incoraggiamento.

Vedendolo assai impegnato, durante un giorno di carnevale gli disse, scherzosamente: “Caro soldà, resta qua, aspetta che adesso te mandarò un piatto de frittole”.

La stessa nostalgia di quel periodo veneziano era pure presente in Perosi. Anche in vecchiaia ripeteva la frase: “Venezia mi è necessaria come l’aria che respiro…” e riviveva nitido in lui il ricordo della vita tranquilla nel patriarcato, del silenzio della laguna, delle gite con i pueri cantores sul vaporetto da Venezia a Chioggia ove, confessò, compose un Kyrie e un Gloria mentre stava serenamente adagiato sottoprua.

Quando il papa Leone XIII lo nominò direttore della Cappella Sistina a Roma, don Lorenzo manifestò al pontefice il suo disappunto nel doversi distaccare da Venezia e soprattutto dal cardinale Sarto, suo maestro di vita e di spiritualità. Ma il papa lo rassicurò: “Lo servirete ancora a Roma come mio successore”. E fu buon profeta.

Entrambi, don Vittore e don Lorenzo, considerarono la musica come un veicolo sicuro per portare le anime a Dio, l’uno facendo cantare e pregare, l’altro traducendo il testo evangelico in suoni ed armonie. (Paolo Padoan)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 11 del 17 marzo 2013