Speciale Incontra Catechesi (febbraio)

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Speciale Incontra Catechesi (febbraio)

L’iniziazione cristiana a servizio della nuova evangelizzazione

Echi dai lavori di gruppo

Convegno dei catechisti del Triveneto

 

 

 

L’iniziazione cristiana a servizio della nuova evangelizzazione

Si è svolto a Zelarino domenica 27 gennaio l’annuale incontro delle équpes catechistiche del Triveneto. Erano presenti un’ottantina di catechisti insieme a molti Direttori degli Uffici Catechistici Diocesani. Presiedeva il vescovo di Adria-Rovigo, mons. Lucio Soravito, e coordinava il Direttore dell’UCD di Chioggia, don Danilo Marin.

Il confronto è avvenuto a partire dalla relazione di Fr. Enzo Biemmi, che ha partecipato in qualità di esperto al 13° Sinodo dei Vescovi, incentrato sulla nuova evangelizzazione.

Troviamo utile riportare la parte finale del suo intervento, che analizza la questione dello stile della nuova evangelizzazione, con osservazioni utili per il rinnovamento dell’Iniziazione Cristiana.

Ma c’è un altro punto che mi pare importante: quello dello stile con il quale si evangelizza, perché conta il modo e non solo il contenuto. Potremmo dire che non basta evangelizzare, ma bisogna evangelizzare in modo evangelico. La fede cristiana ha un suo stile dal quale non deve abdicare neppure per essere più efficace. Questo appello è venuto in modo esplicito da alcuni Padri. Lo stile è una questione di spiritualità e abbiamo più che mai bisogno in questo momento di una spiritualità dell’ evangelizza zione. Segnalo tre tratti dello stile che vanno salvaguardati nel compito dell’evangelizzazione

a) Vedere Dio in tutte le cose

L’espressione è di Sant’Ignazio di Loyola. Vedere Dio in tutte le cose significa vedere che egli agisce in tutti i cuori. I cristiani hanno occhi per vedere dove Dio agisce al di là di tutti i circuiti ecclesiali. Il tema del Sinodo (“nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede”) è stato a buon diritto considerato inadeguato da alcuni Padri sinodali. Noi non trasmettiamo la fede, hanno detto. Solo il Signore Gesù la comunica e il suo Spirito è l’unico evangelizzatore competente. Noi ci mettiamo a disposizione di un processo che non ci appartiene, sul quale non abbiamo il controllo. L’icona biblica di Filippo e l’eunuco, evocata nel Sinodo, è quanto mai istruttiva. Quando Filippo sale sul carro scopre che è già stato preceduto dallo stesso Spirito che lo ha mandato e che egli, Filippo, incontra nell’inquietudine di quell’uomo e nel testo della Scrittura dal quale l’eunuco è stato attirato. Lo Spirito ha una falcata di vantaggio sulla Chiesa, come gli Atti degli Apostoli inequivocabilmente documentano. È sempre più in là. È bello dunque interpretare l’evangelizzazione come una azione di riconoscimento, di rivelazione e di svelamento. L’evangelizzatore “riconosce” Dio già presente. Il destinatario dell’annuncio si scopre abitato e custodito da una Presenza (“svelamento”), grazie alla testimonianza dell’evangelizzatore e al dono delle Scritture (“rivelazione”). In questo gioco di riconoscimento – rivelazione – svelamento avviene il miracolo di una evangelizzazione vicendevole. In fondo si tratta di far scoprire che il dono di Dio è già nel cuore di queste persone, in modo che possano, come Giacobbe, svegliarsi dal sonno e dire: «Il Signore era qui e io non lo sapevo!» (Gen 28,16).

Come cristiani siamo chiamati, mentre annunciamo il Vangelo (ai ragazzi, ai giovani di oggi, agli adulti non vicini alle nostre comunità) a lasciarci stupire dall’azione che lo Spirito Santo riesce a fare nei cuori. Solo se vediamo la sua presenza nelle persone saremo in grado di annunciare loro il Vangelo, di dare nome, cioè, a questa presenza che li ama e li guida.

b) Amare basta

La parola decisiva del Vangelo, la più convincente, è la carità. È anche l’obiettivo ultimo della Chiesa: inserirsi nella corrente dell’amore di Dio per l’umanità. Il terreno dell’amore è la parola ultima del Vangelo.

In genere pensiamo che la carità sia il passo preliminare per preparare il terreno dell’annuncio, sia una specie di preevangelizzazione. Essa è anche e soprattutto l’obiettivo ultimo dell’evangelizzazione, il suo esito finale. La carità basta, perché la carità è Dio.

c) Fare dell’annuncio del Vangelo il più grande atto di amore

Perché allora annunciare il Vangelo? Proprio perché è il più grande atto di amore che possiamo fare. È nota l’affermazione di Paolo VI nell’Evangelii Nuntiandi, richiamata dall’Instrumentum Laboris.

«Non sarà inutile che ciascun cristiano e ciascun evangelizzatore approfondisca nella preghiera questo pensiero: gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunziamo loro il Vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna – ciò che s. Paolo chiamava “arrossire del Vangelo” – o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo?» (EN 80). Una buona interpretazione di questo testo è la seguente: Dio può salvare e salva al di là del nostro annuncio; ma se noi non annunciamo, potremo essere salvi? Non nel senso che non evangelizzando manchiamo a un dovere, ma nel senso che il nostro non evangelizzare manifesta che per noi il Signore Gesù non è il bene più prezioso. E allora è legittima la domanda sulla nostra salvezza. L’amore è dare agli altri la cosa più preziosa. È un’altra prospettiva dell’evangelizzazione, davvero nuova: né per necessità (Dio è generoso, sa come salvare tutti), né per dovere, ma per eccesso di gioia e di gratitudine per quello che siamo per grazia diventati. Ciò che motiva l’evangelizzazione e la rende nuova, in fin dei conti, è il suo scaturire non dalla necessità di salvare, né dal dovere di farlo, ma da un’intrinseca “necessità”: la gioia di donare quanto abbiamo di più prezioso. La vita cristiana si è sempre posta su questo crinale, dell’annuncio implicito e inequivocabile dell’amore che basta a se stesso; dell’annuncio esplicito come atto massimo di carità, come condivisione di ciò che abbiamo di più prezioso, perché la nostra gioia sia piena (1Gv 1,1-4). La carità come Parola a tutti comprensibile; la Parola come massimo della carità. Lo ricordava la Novo millennio ineunte, 50: «La carità delle opere assicura una forza inequivocabile alla carità delle parole».   (Fratel Enzo Biemmi)

 

 

Echi dai lavori di gruppo

Le parrocchie del Triveneto si stanno muovendo nel tentativo di rinnovare i percorsi dell’ Iniziazione Cristiana. Questo è emerso dai lavori di gruppo svoltisi dopo la relazione di Enzo Biemmi. Si tenta di ripartire con linguaggi nuovi, superando il modello scolastico, creando occasioni in cui il vangelo si presenti come esperienza da fare e non come teoria da trasmettere.

Si lavora anche per colmare un vuoto di proposte alle famiglie che hanno i figli da 0 a 6 anni: i parroci operano insieme a catechisti laici, spesso coppie di sposi, che accompagnano altre coppie più giovani, soprattutto nel percorso prima e dopo il battesimo dei figli. Si è sperimentato che la logica catecumenale può funzionare perché si presenta come un percorso strutturato a tappe che ha per fondamento la libertà della scelta. Ci sono anche inevitabilmente delle difficoltà: i parroci che non riescono a seguire sempre i percorsi per la molteplicità di impegni in cui sono coinvolti e perché cominciano ad essere pochi, la resistenza di molte famiglie ad un cambiamento che non viene avvertito come urgente, catechisti che faticano a mutare la mentalità di approccio. A volte mancano catechisti degli adulti formati. Eppure: vale la pena tentare, superando paure e resistenze, puntando su un effetto sorpresa che presenti una comunità credente viva, simpatica, accogliente ad adulti che, pur battezzati, condizionati dal pregiudizio, quando ricevono la proposta della parrocchia, si aspettano la solita cosa moralistica che non c’entra con la loro vita concreta. Si riconosce che si tratta di avviare un cammino di conversione individuale e comunitaria a tutto campo. Qualcuno ha parlato dello stile delle tre “A”: Affascinare, Approfondire, Assimilare, mettendo al centro sempre la vita. Convertita la mentalità, allora si può parlare di metodi, sussidi, stili di gestione di un incontro… Tutto questo viene dopo come conseguenza. Insomma: si va avanti, con coraggio, consci dei nostri limiti e delle nostre povertà, ma coscienti e convinti che è lo Spirito che ci precede e ci guida. (Fabio Marangon)

 

 

Convegno dei catechisti del Triveneto

Cosa vogliono i nostri catechisti?

Sono trascorsi ormai più di 8 mesi dal Convegno dei Catechisti del Triveneto che si è tenuto a Padova il 9 giugno. Erano presenti circa 500 catechisti provenienti da tutte le 15 diocesi trivenete. Il titolo del convegno, “Come pietre vive. Rinnovare l’iniziazione cristiana nelle chiese del Nordest. Passi compiuti, prospettive intuite. L’attenzione al centro dell’appuntamento di giugno era la formazione dei catechisti nel contesto di cambiamento che tutta la pastorale, e in particolare la catechesi, sta vivendo in Italia. Con l’aiuto di suor Eliana Zanoletti, dell’equipe catechistica della diocesi di Brescia, e di suor Giancarla Barbon, catecheta e direttrice della rivista Evangelizzare, i catechisti presenti sono stati invitati a individuare, attraverso una scheda, quali fossero i bisogni e le esigenze di prioritaria importanza, alla luce del servizio che gli stessi stanno compiendo e delle proposte rinnovate di iniziazione cristiana che si stanno avviando e realizzando nelle varie diocesi.

Ne è scaturito un quadro interessante da cui emerge una chiara omogeneità nella fisionomia dei catechisti, anche se provenienti da luoghi diversi, ma soprattutto il comune desiderio di condividere momenti formativi di qualità tra le diocesi del Nordest. Ormai – sembrano dire i catechisti – non è più il tempo per rinchiudersi nel proprio orticello diocesano, ma è quanto mai necessario mettere insieme energie, risorse e acquisizioni raggiunte per incamminarsi su strade comuni, come aveva ampiamente sottolineato il convegno regionale di Aquileia 2. A distanza di qualche mese ci pare opportuno riportare alcuni dei risultati emersi perché ogni comunità cristiana possa tenerne conto a tutti i livelli (diocesano, vicariale e parrocchiale) al fine di sostenere i catechisti nel loro cammino di formazione.

*Tra i bisogni che i catechisti sentono più forti di altri figura, in primis, quello di una maggior formazione teologica e pedagogica, nonché quello di una maggior conoscenza della parola di Dio per poterla annunciare e spiegare in modo più efficace. Avvertono anche il bisogno di una conoscenza più ampia della liturgia, soprattutto del significato dei segni e dei riti.

*Sottolineano in maniera decisa l’importanza di una maggior collaborazione con il parroco, che dovrebbe essere meno autoreferenziale, più collaborativo e capace di accompagnarli e sostenerli nella loro formazione, soprattutto in questo tempo di grandi cambiamenti. Chiedono che il parroco sia più fiducioso verso i cambiamenti in atto, capace non solo di educare, ma anche di lasciarsi educare dai laici e dalla vita.

*Chiedono anche che ci sia una maggior collaborazione tra i catechisti della parrocchia e dell’intero vicariato, perché c’è sempre più necessità di lavorare, progettare e pregare insieme. Intuiscono che la figura del catechista solitario non avrà futuro e che è essenziale, quindi, procedere urgentemente alla costituzione di un’équipe tra catechisti, estesa anche ad altri operatori pastorali coinvolti nell’educazione presenti in parrocchia.

*Molti catechisti hanno evidenziato la necessità di sentire che anche gli altri settori pastorali diocesani stanno lavorando nella stessa direzione, evitando così che il peso del cambiamento poggi sulle loro esclusive spalle. Da ciò la richiesta di un maggiore coinvolgimento della pastorale familiare e giovanile.

*Un bisogno espresso in maniera chiara è, inoltre, quello di coinvolgere maggiormente tutta la comunità parrocchiale attraverso i consigli pastorali affinché conoscano e sostengano l’iniziazione cristiana dei fanciulli e ragazzi.

*Nel corso dell’incontro è poi emerso l’ulteriore bisogno, per i catechisti, di acquisire la capacità di saper incontrare i genitori, che sono i primi accompagnatori nel cammino di fede dei ragazzi. È importante assumere una “grammatica” dell’umano per incontrare gli altri e quindi un linguaggio, una modalità, delle competenze e delle abilità per l’accompagnamento degli adulti e conoscere soprattutto la loro storia, il loro cammino umano e di fede.

*I catechisti hanno poi espresso il desiderio di formazione sull’utilizzo di strumenti e mezzi tecnologici per coinvolgere i ragazzi, di conoscere alcune tecniche di animazione e di racconto per tenere alta l’attenzione e la partecipazione durante il percorso catechistico. Ma c’è anche il bisogno di avere un luogo idoneo per l’incontro di catechesi, una stanza che sia sana e pulita!

*C’è anche una richiesta che coinvolge direttamente chi ha la prima responsabilità in ambito diocesano della catechesi: il vescovo. I catechisti ritengono che sia importante ottenere dai vescovi, con estrema urgenza, chiare indicazioni sui cammini di iniziazione cristiana, tenendo presenti non solo i documenti ufficiali della chiesa, ma anche i passi compiuti e le acquisizioni avvenute nel corso di questi anni nel Triveneto. Ai vescovi i catechisti chiedono una maggior collaborazione tra diocesi, soprattutto quando queste sono limitrofe.

*Un ultimo bisogno, sottolineato a più voci, è quello di avere tanta pazienza, buon umore, ottimismo, entusiasmo e capacità di trasmettere la gioia, il bello e l’amore che scaturiscono nell’incontro con Gesù. (Commissione regionale della catechesi)

 

 

da NUOVA SCINTILLA 8 del 24 febbraio 2013