IL RUOLO DEL VOLONTARIATO NELLA CRISI DEL WELFARE

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IL RUOLO DEL VOLONTARIATO NELLA CRISI DEL WELFARE

(Intervento di don Marino Callegari al Convegno regionale Auser a nome delle Caritas del Veneto; mercoledì 30 gennaio, Padova, centro culturale S. Gaetano, Via Altinate, 71)

Chi ha parlato prima di me, ha illustrato con molta competenza, la condizione odierna  di quello che chiamiamo welfare state, cioè quella serie di protezioni alle persone, che, attraverso processi sociali e culturali si sono affermate nella nostra società italiana. La ‘destrutturazione’ di questo sistema di servizi sembra essere inevitabile ed è sotto gli occhi di tutti.

 

 

 

 

 

 

Paradossalmente quello che è stato il suo momento culturalmente e legislativamente più alto, dell’idea di un sistema di protezioni,  cioè la legge 328/2000 che riformava il sistema dei servizi sociali nel nostro Paese, dove il mondo  del Volontariato (generalmente un po’ autoreferenziale) e più in generale del sociale, scopriva che c’era un  modo di pensare i servizi alle persone, fatto di alleanze, interconnessioni, progettualità territoriali, questo modo di pensare il sociale, iniziò anche  a declinare. 

L’impatto della legge fu poi indebolito dallo stesso governo di centrosinistra (che l’aveva approvata), perché con la riforma del Titolo V° della Costituzione, la competenza del Welfare passò alle regioni  e ai Comuni, che diedero di quella legge attuazioni diverse  – a volte profondamente diverse – da territorio a territorio.

Il mondo dei servizi e degli interventi sociali – ce lo siamo ricordati nella manifestazione di sabato SiAmo il sociale – è oggetto non più di attenzioni, ma di tagli. Le cifre del 2012 e le prospettive  per il 2013 fanno impressione:

E’ la manovra correttiva del luglio 2011 che prevede una riduzione del Fondo Sanitario Nazionale tra il 2013 e il 2014 pari a 7950 milioni  con un calo in percentuale dei trasferimenti del 2,3% nel 2013  e del 2,6% nel 2014. Inoltre mettiamo l’effettiva difficoltà di fronte a questi tagli di poter definire i L.E.A. Livelli Essenziali di Assistenza.

 

 

2007

2011

2012

2013

Fondo Nazionale per le Politiche Sociali

 

1.000

218

70

45

Fondo per l’Infanzia e l’Adolescenza

 

100

39

40

40

Fondo non Autosufficienza

 

100

0

0

0

Fondo inclusione Sociale Immigrati

 

50

0

0

0

Fondo Politiche Giovanili

 

130

13

13

11

Fondo Politiche per la Famiglia

 

220

51

53

31

Fondo Pari Opportunità

 

50

17

17

17

 

Cito ora un tratto di David Cameron Primo Ministro Inglese che dà l’idea di quale strada abbiamo davanti  a noi: “ Il Governo deve promuovere una nuova cultura del Volontariato, della filantropia, dell’azione sociale. Dobbiamo liberarci di una burocrazia centralizzata che spreca soldi e fiacco lo spirito pubblico e aprire il servizio pubblico a operatori come fondazioni, imprese sociali, aziende private.” Così potremo anche leggere le ‘suggestioni’ (chiamiamole così), del Libro Bianco per il Futuro del Welfare, scritto dal Governo B. con Sacconi Ministro che chiude significativamente il testo  con una invocazione alla carità, al dono, per risolvere i problemi delle persone. Misure come la social card , il bonus bebè, il credito per i nuovi nati, la una tantum per i precari licenziati evidenziano l’idea residuale che chi ci governa ha del welfare.   Paolo VI° che non era un pericoloso statalista diceva “Non sia dato alle persone per carità, ciò che dovrebbero avere per diritto”.

……….e il Volontariato??

Io mi fermerei qui solo per l’analisi, perché solo una disincantata zoomata sul sociale/welfare può aiutarci a dire anche qualcosa sul Volontariato, perché su questo mondo il Volontariato svolge la sua opera, quindi sul suo ruolo, sulla sua funzione ‘profetica’, dove profetica non vuol dire – come spesso erroneamente si crede di prevedere il futuro – ma di saper interpretare il presente.

Molti sono oggi i rischi dell’abbandono: di persone e di territori. Intere porzioni di persone e di città non riescono a reggere l’urto della crisi e rischiano di essere espulsi da una dimensione di cittadinanza. Molti sono anche gli uomini e le donne che tessono fili, ricuciono strappi dentro gli spazi  e i rischi dell’abbandono. Persone che mettono a disposizione il proprio tempo, le proprie competenze per costruire legami di senso  e di prossimità dentro situazioni di disagio sociale. Penso al lavoro che tanti volontari Caritas fanno nei Centri Ascolto e di accompagnamento delle persone che intercettiamo nel quotidiano lavoro di prossimità nei nostri paesi, nei nostri quartieri, nelle nostre parrocchie.  Siamo abituati a definire queste esperienze ‘volontariato’ è un termine di cui oggi dobbiamo ritrovare tutta la densità culturale e il significato di cittadinanza; anche il volontariato infatti non può non riconsiderare il proprio modo di operare alla luce della crisi in atto. Un crisi che è drammatica perché si è abbattuta su un tessuto sociale reso già fragile dai processi di precarizzazione lavorativa. Per questo chi, come i volontari hanno a cuore la dignità delle persone e il futuro di una società che possa continuare a dirsi ‘civile’, oggi è chiamato a capire come, attraverso il proprio impegno, può contribuire a questo obiettivo.

 

  1. Dare un volto alle storie della città.

Che storie incontra chi oggi svolge una funzione di aiuto nella città? Per comprendere il senso e il valore delle esperienze  dei volontari bisogna che i volontari imparino a narrare le storie che incrociano. E’ importante questa rilettura di ciò che sentiamo  e di ciò che ascoltiamo; questo ci educa al senso della biografia altrui perché la nostra storia è definibile come mai senza l’altro (Michel De Certeau). Così nel raccontare ancora, facciamo nostro il duplice volto della povertà che è quella di sempre – quelle storie di disagio che si tramandano di generazione in generazione – e le povertà di oggi che intercettano persone fino a ieri ‘normali’ , oggi colpite dagli effetti della crisi (disoccupazione, cassa integrazione, precarietà lavorativa …..). Raccontare permette di visibilizzare le storie che s’incontrano , di renderle storie di cui tutta la comunità si possa far carico. Se non aiutiamo la società a conoscere le storie di disagio, finiamo paradossalmente per contribuire alla loro invisibilità. Le storie di marginalità non diventeranno mai oggetto di discussione politica e sociale (questo non vuol dire “finire sui giornali!” raccontare è altra cosa dall’approccio emozionale). Questo non è facile nemmeno per il volontario, perché il volontario il più delle volte si percepisce “uomo/donna del fare”. Non è immediato ritagliarsi momenti di sosta, isolandosi dall’urgenza dell’intervenire, dalla pressione dei problemi che chiedono risposta immediata. Inoltre l’esperienza del volontario è molto legata alla propria storia personale e non è sempre facile metterla in parola. Non da ultimo vi è un profondo rispetto per le persone che si aiutano : si ha timore di tradire un ‘patto di fiducia’ nel raccontare le loro fatiche.

 

  1. La sfida dell’attivare ‘reti’ attorno a situazioni di difficoltà.

Oggi questa sfida è cruciale. Attivare reti permette di potenziare l’aiuto che ciascuno da solo esprime. In questo senso tessere reti rende l’aiuto più efficace e più sostenibile , a fronte della gravità dei problemi. Il percorso che situazioni di povertà e di fragilità che i volontari incontrano (storie di famiglia che non reggono più la malattia di un figlio, un reddito minimo che non c’è per sostenere la  famiglia, curare se stessi e i propri familiari …) stanno assumendo una consistenza tale che è impensabile farvi fronte da soli. Il disagio sociale richiede una messa in comune dei saperi, delle risorse, delle diverse competenze. Occorre connettersi con gli altri soggetti del welfare territoriale. Sempre più, a fronte delle poche risorse a disposizione per il sociale, è importante che tutti i soggetti del welfare locale  si coordino in modo da evitare i rischi della frammentazione ovvero la dispersione delle già scarse risorse esistenti; la sovrapposizione degli interventi; l’abbandono di situazioni non considerate da nessuno perché giudicate di impossibile ‘recupero’. Scambiarsi conoscenze, saperi, mettere insieme comprensioni diverse della vita quotidiana di un territorio è generativo di modalità inusuali  e alternative/innovativeper far fronte alle fatiche delle storie di vita che intercettiamo. Più vado avanti nella conoscenza delle esperienze delle Caritas nelle città, nei paesi del nostro Veneto, più mi accorgo che forse solo il volontariato – meno legato a vincoli economici e quindi anche il volontariato ‘informale’ – può avere l’autorevolezza di mettere insieme e creare sinergie tra vari soggetti del mondo del non profit o del Terzo Settore.  “Nessun uomo è un’isola” diceva il monaco Thomas Merton; nessun uomo oggi può affrontare le sfide del vivere senza una rete di sostegno. Ognuno di noi riesce a dar senso alla sua  quotidianità se esperimenta microinclusioni in un territorio.  E’ in questo senso di appartenere a qualcosa che ci rende capaci di affrontare la vita. Lo stesso sussidio economico acquista più valore se la persona è collocata dentro reti relazionali . Le reti rappresentano una sorta di ‘reddito nascosto’ che da valore al reddito visibile costituito da contributo economico. 

 

  1. Allargare la partecipazione locale

 

Una domanda legittima, data l’attuale situazione di scarsità di risorse. Perché spendere soldi per un percorso di riflessione di formazione? Non sarebbe meglio darli ai poveri?.  La risposta è forse racchiusa nella sfida più ambiziosa e più necessaria oggi: creare cultura sui problemi per allargare responsabilità. Da questo punto di vista, pensare il proprio aiuto in un’ottica di territorio non ‘io da solo’ ma ‘io con gli altri attori del quartiere’, appare la strada per socializzare i problemi delle persone e delle famiglie. Oggi di fronte all’estendersi delle povertà non si può pensare che l’azione di contrasto  e supporto alle famiglie in crisi sia delegata agli operatori professionisti del sociale e ai volontari.  Diventa prioritario attivare e moltiplicare una cultura della responsabilità. Tutta la società per potersi dire ‘civile’ è chiamata ad interrogarsi su come tutelare i diritti fondamentali di cittadinanza delle persone e prima di tutto il diritto di poter condurre una vita dignitosa.

 

Oggi il volontariato, come il lavoro sociale e professionale è alle prese con un compito non rinviabile: creare le condizioni per proseguire la propria storia. Il volontariato che si è diffuso in tempi di vivaci fermenti culturali, risente del clima odierno  di ritiro delle persone dalle dimensioni sociali. Il momento storico di grande incertezza, rafforza atteggiamenti di protezione di se, piuttosto che di solidarietà reciproca. Nelle nostre associazioni l’età media è piuttosto alta e manca il ricambio generazionale, inoltre con  l’abrogazione del servizio civile  le nuove generazioni non hanno più l’opportunità di fare un’esperienza di cittadinanza significativa, precludendo nel contempo da  parte alle associazioni il contatto con il mondo dei giovani, alcuni dei quali poi proseguivano la collaborazione.  Dobbiamo si ripensare alla nostre esperienze, ma anche capire come renderle comunicabili, pena la lieve impercettibile decadenza. Per questo oggi è importante che il volontariato – al pari del lavoro sociale professionale – provi a ragionare sul proprio fare, ossia a ritrovarne le ragioni (questo è ancor più valido anche per la Caritas). Questa operazione di ripresa della propria storia è importante farla in gruppo, per valorizzare le diverse visioni e sensibilità presenti oggi nelle associazioni , ma anche per costruire qualche significato condiviso e ri-tracciare insieme la rotta. Oggi il mondo in cui le attuali generazioni di volontari riusciranno a far appassionare a questa esperienza di cittadinanza altri uomini  e donne è la sfida attraverso cui passa il futuro del volontariato e dei diritti del nostro Paese.

 

  1. La partecipazione alla definizione delle Politiche

 

In alcuni territori le Associazioni di Volontariato sono invitate alla partecipazione dei Piani di Zona. Questo è il livello più politico dell’azione del volontario che partecipa ai Tavoli di Programmazione Territoriale portando il suo patrimonio di conoscenze, ma anche e  forse di più la sua idea di persona di uomo e di democrazia. Una democrazia  e una società civile non può mai teorizzare l’abbandono delle persone al loro destino, perché il nostro vivere insieme si basa sulla dignità inalienabile di ogni essere umano. Questo è importante in un momento in cui iniziano a sorgere a livello di prassi  e a livello politico ragionamenti meritocratici del tipo “Se la persona se lo merita lo aiutiamo”. In realtà nessuno può essere abbandonato  nelle nostre città che sempre più si scoprono luoghi di povertà “incolpevole” perché derivanti o aggravate dalla crisi economica o da scelte erronee e superficiali delle persone. E’ questo che il volontariato deve comunicare a livello “politico”.

Chiudo questo mio intervento con una frase che don Lorenzo Milani pronunciava spesso con i suoi ragazzi in quella che è nota come la scuola di Barbiana “Trovare insieme la risposta è politica, da soli è egoismo”. Forse è già abbastanza.

 

(Don Marino Callegari, direttore della Caritas diocesana di Chioggia)