Dal decreto “Ad gentes” alla “Redemptoris missio”

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Ottobre missionario

Dal decreto “Ad gentes” alla “Redemptoris missio”

La quinta settimana conclude l’Ottobre Missionario proponendo il tema del Ringraziamento, doveroso al termine di qualsiasi percorso di vita. Per concludere questo nostro cammino vogliamo riflettere su un articolo di Padre Piero Gheddo apparso in questi giorni su Asianews. Vi proponiamo qui di seguito una sintesi.

Giovanni Paolo II, il Papa della Missione ad gentes

Nel 1990, venticinque anni dopo l’approvazione del Decreto conciliare Ad Gentes nel 1965, Giovanni Paolo II pubblica l’enciclica “Redemptoris Missio”, contestata da non pochi nella Curia vaticana prima che uscisse. Dicevano: “L’enciclica è troppo solenne, può bastare una “lettera apostolica”, come per l’anniversario di altri testi conciliari”. Invece il Papa ha voluto un’enciclica per colmare una lacuna e confermare autorevolmente l’Ad gentes. La lacuna era questa: l’Ad Gentes, considerato secondario nel quadro del Vaticano II, non aveva avuto il tempo di essere discusso e di rispondere a tutte le richieste dei padri conciliari dalle missioni: è un testo molto bello, ma affrettato, incompleto.

 

Rimettere al centro la Missione ad gentes

Giovanni Paolo II all’inizio dell’enciclica “Redemptoris Missio” (1990) afferma di voler rilanciare la missione alle genti, pur rilevando gli effetti positivi del Concilio sull’attività missionaria (n. 2): “Molti sono stati i frutti missionari del Concilio: si sono moltiplicate le Chiese locali fornite di propri vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo inserimento delle comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra le Chiese porta ad un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l’impegno evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le Chiese particolari si aprono all’incontro, al dialogo e alla collaborazione con i membri di altre Chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali”. Ma poi il Papa continua rilevando quello che molti missionari sul campo lamentano, spesso con acuta sofferenza (n. 2): “Tuttavia, in questa “nuova primavera” del cristianesimo, non si può nascondere una tendenza negativa che questo documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del Concilio e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo slancio missionario della Chiesa verso i non cristiani ed è un fatto, questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della Chiesa infatti, la spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione segno di una crisi di fede”.

Crisi di fede

Quali le “difficoltà interne ed esterne” che hanno rallentato lo slancio missionario della Chiesa? Molte e di vario tipo: chiusura di vari Paesi ai missionari stranieri; rafforzamento di nazionalismi, religioni e culture non cristiane; guerre, guerriglie e persecuzioni anti-cristiane; approfondimento del solco (o abisso) fra popoli cristiani e non cristiani (Nord e Sud del mondo); non facile integrazione fra vescovi, sacerdoti locali e missionari stranieri; nuove priorità che hanno sostituito il primo annunzio: promozione umana dei popoli, dialogo interreligioso, ecc. In Italia, secondo la mia esperienza, la decadenza dell’ideale missionario è dovuta, oltre alla crisi della fede e della vita cristiana, alla perdita d’identità della “missione alle genti”.

Si oscura l’orizzonte della missione

Nella Redemptoris Missio si legge (n. 79): «La promozione delle vocazioni missionarie è il cuore della cooperazione alle missioni: l’annunzio del Vangelo richiede annunziatori, la messe ha bisogno di operai: la missione si fa anzitutto con uomini e donne consacrati a vita al Vangelo, disposti ad andare in tutto il mondo per portare la salvezza».

Per avere più vocazioni missionarie occorre affascinare i giovani al Vangelo e alla vita missionaria, fare in modo che si innamorino di Gesù Cristo, l’unica ricchezza che abbiamo. Tutto il resto viene di conseguenza. In Italia, l’orizzonte propriamente religioso della missione sta oscurandosi, a favore di un orizzonte sociale, culturale e politico. È laarola di Dio che salva, non i nostri «progetti» umani, non le nostre ideologie, non il denaro o la protesta contro le ingiustizie o qualsiasi progetto politico di «rivoluzione» per portare la pace e la giustizia. Non basta cambiare le leggi (bisogna farlo, ma non basta!), occorre cambiare il cuore dell’uomo, rendendolo da egoista altruista: questo il progetto cristiano di liberazione: creare l’«uomo nuovo» secondo il modello di Gesù. La Conferenza dei vescovi latino-americani a Puebla (1979) dice: «Il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». Questa è anche l’esperienza dei missionari sul campo e delle giovani Chiese. Il missionario, gli istituti e i vari enti e gruppi missionari hanno dalla Chiesa il mandato di annunciare Cristo, convertire i cuori con la grazia di Dio, portare la «rivoluzione del Vangelo» che sviluppa l’uomo e la società umana. Quando più si mantengono fedeli al loro carisma, tanto più sono credibili ed evangelizzano; quando più si allontanano da questo orizzonte di salvezza soprannaturale, sposando ideologie e progetti umani, tanto più diventano spiritualmente sterili.

 

 

da NUOVA SCINTILLA 40 del 28 ottobre 2012