I Santi martiri, testimoni di un amore più grande

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Messa pontificale Santi Patroni Felice e Fortunato
11-06-2022
  1. Poche sobrie notizie ci parlano di Felice e Fortunato. Secondo la tradizione, erano due fratelli originari di Vicenza – probabilmente commercianti che proprio ad Aquileia esercitavano la loro professione e avevano abbracciato la fede cristiana. Sorpresi a pregare e accusati per questo, non vollero rinnegare la propria fede; furono, perciò, torturati con vari supplizi, per piegare la loro volontà e poi decapitati fuori dal centro abitato, sulle sponde del fiume Natisone, nel 303.

Raccontano gli storici che «Lo slancio di fede e di amore patrio con il quale il popolo clodiense accolse le reliquie dei Santi Martiri fu così ardente che ben presto furono proclamati Patroni principali della città e diocesi».

La processione che abbiamo appena vissuto ci riporta alla fede dei nostri padri, al loro entusiasmo cristiano, alle radici della storia cristiana di questa città e diocesi. Per me è una gioia e un onore unirmi a voi e da oggi sentirmi ancora più parte di questa storia che vogliamo continui a generare vita e speranza. Da oggi Felice e Fortunato diventano santi importanti anche per la mia vita, compagni di viaggio: anche a loro affido i tanti sogni che porto nel cuore per questa Chiesa.

  1. Martiri, ossia testimoni della fede fino al dono della vita. Scrive Pietro nella sua lettera: «Non meravigliatevi della persecuzione come se vi accadesse qualcosa di strano. Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo rallegratevi». E ancora: «Beati voi se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito di Dio riposa su di voi».

La persecuzione e il martirio non sono esperienze di un lontano passato. Oggi vogliamo ricordare i 50 cristiani uccisi in Nigeria domenica scorsa, solennità di Pentecoste. E con loro i 6000 cristiani uccisi da gennaio a marzo 2022 e i 45.000 cristiani uccisi negli ultimi 10 anni.

«Non meravigliatevi della persecuzione come se vi accadesse qualcosa di strano». Il lungo elenco dei cristiani uccisi in luoghi dove andare a Messa vuol dire esporsi al rischio di essere uccisi ci provoca e ci interroga. Troppo spesso noi siamo tiepidi e troppo spesso la vita cristiana è l’ultima delle nostre priorità.

  1. 3. A Pietro Gesù – dopo avergli risposto “tu non pensi secondo Dio ma secondo gli uomini” – dice quella frase che tutti conosciamo, ma che può essere letta in tanti modi: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Proviamo a entrare in questa parola.

“Se qualcuno vuole venire dietro a me”: Gesù non impone, propone; non costringe, vuole attrarre. Gesù vuole mostrare che una vita quale egli ci propone è una vita non solo buona e giusta ma anche bella e realizzata. Geremia usa un verbo intenso per dire una relazione particolare con Dio: «Mi hai sedotto, Signore».

Ma Gesù detta le condizioni per seguirlo. La prima: rinnegare se stesso. Parole pericolose, se capite male. Gesù non vuole dei frustrati al suo seguito, ma gente dalla vita piena, riuscita, compiuta, realizzata. Rinnegare se stessi non significa mortificare la propria persona, buttare via talenti e capacità. Significa piuttosto capire che il mondo non ruota attorno a me; è un invito a uscire dal proprio io, per sconfinare oltre se stessi. Non mortificazione, allora, ma liberazione.

Cosa sarebbe un’amicizia se io non uscissi da me stesso per incontrare l’altro? Cosa sarebbe un matrimonio se ciascuno vedesse l’altro in funzione di sé? E che cos’è purtroppo il nostro mondo se non un universo di tanti io pronunciati contro l’altro, gli altri, i diversi?

La vita vera non è quella che cerca di conservare a ogni costo se stessa, seguendo l’impulso a vivere anche senza e contro gli altri, in una logica di autoconservazione. La vita vera è quella che si apre agli altri e al dono di sé.

Seconda condizione: “Prenda la sua croce e mi segua. Che cos’è la croce? È il riassunto dell’intera vita di Gesù. Prendi la croce significa: “Prendi su di te una vita che assomigli alla sua”. La vocazione del discepolo non è subire il martirio, ma abbracciare una vita come l’ha vissuta Gesù.

La croce nel Vangelo indica la follia di Dio, la sua lucida follia d’amore. Il sogno di Gesù non è uno sterminato corteo di uomini, donne, bambini, anziani, tutti con la loro croce addosso, in una perenne Via Crucis, ma l’immensa migrazione dell’umanità che cammina verso il dono di sé, verso Dio e verso i fratelli con lo stile dell’amore.

Sostituiamo croce con amore. Ed ecco le parole di Gesù interpretate in modo corretto: «Se qualcuno vuole venire con me, prenda su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui è capace, e mi segua. Ciascuno con l’amore addosso, che però ha il suo prezzo perché là dove metti il tuo cuore, là troverai anche le tue spine e le tue ferite».

All’orizzonte delle parole di Gesù c’è Gerusalemme e i giorni supremi. Gesù li affronta scegliendo di non assomigliare ai potenti del mondo. Potere vero per lui è servire, è venuto a portare la supremazia della tenerezza, e i poteri del mondo saranno impotenti contro di essa: il terzo giorno risorgerà.

Infine le parole centrali del brano: chi perderà la propria vita così, la troverà. Ci hanno insegnato a mettere l’accento sul perdere la vita. Ma se l’ascoltiamo bene, sentiamo che l’accento non è sul perdere, ma sul trovare. L’esito finale è “trovare vita”, quella che tutti gli uomini cercano, in tutti gli angoli della terra, in tutti i giorni che è dato loro di gustare. Tutti cercano la fioritura della vita. Perdere per trovare. È la logica dell’amore: se dai ti arricchisci, se trattieni ti impoverisci. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo donato; e Gesù ci insegna che il dono più grande è quello della vita.

  1. Affidiamo ai nostri patroni, Felice e Fortunato, il desiderio di vita che c’è nei giovani, che tante volte sfocia nella ricerca dei surrogati della vita, primo fra tutti la droga che c’è in abbondanza anche nella nostra città, oppure forme di trasgressione senza senso.

Affidiamo ai nostri patroni la nostra Diocesi, le vocazioni, le famiglie, gli anziani e i malati, il mondo della pesca provato in questi mesi di guerra, i profughi ucraini che ospitiamo.

Affidiamo ai patroni le nostre città e i nostri paesi, con le loro istituzioni civili, le forze dell’ordine, i servizi sociali, il mondo del volontariato, tutti coloro che cercano di rendere più belle e vivibili le nostre terre.

Non abbiamo bisogno di martiri, ma di testimoni credibili sì abbiamo tanto bisogno. Affidiamo ai nostri patroni i cristiani perché siano sale della terra e luce del mondo, libero da gelosie, invidie, divisioni, discordie e lotte.

Così sia per l’intercessione dei santi martiri Felice e Fortunato.

+ Giampaolo vescovo