ASSEMBLEA DIOCESANA DEGLI OPERATORI PASTORALI


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ASSEMBLEA DIOCESANA DEGLI OPERATORI PASTORALI
(20.11.2011)



Ricezione delle testimonianze delle Diocesi

1° Ambito


Una “Nuova Evangelizzazione” del Nordest

INTRODUZIONE


Il prossimo Convegno di Aquileia 2, come orami sappiamo intende  stimolare le nostre Chiese della Regione conciliare Triveneta a svolgere, in modo particolare, la loro missione fondamentale: annunciare Gesù Cristo  all’uomo di oggi. Il terzo millennio  si è aperto con grandi attese e con scenari nuovi, che hanno cambiato non solo il sistema di comunicare e le dinamiche relazionali, ma anche l’uomo stesso e il suo modo di vivere e testimoniare la sua vita di fede. 
Ciò sollecita le nostre Comunità cristiane a impostare, anche nel campo dell’annuncio cristiano, in maniera nuova il rapporto con l’uomo d’oggi. 
E allora come aiutare l’uomo d’oggi a ritrovare il senso di Dio, in questa società che sembra averlo smarrito?
Le Chiese del Triveneto si sono proposte di testimoniare, attraverso la narrazione, il loro vissuto nel ventennio trascorso, riconoscendovi la presenza e l’azione dello Spirito. 
Il Convegno che ci apprestiamo a celebrare fra qualche mese ci aiuterà a condividere le esperienze ecclesiali e pastorali in atto, testimoniate dal lavoro delle 15 diocesi e dalle Parole del Papa nella sua visita ad Aquileia e a Venezia nel maggio scorso per un arricchimento reciproco. Ci aiuterà, inoltre, a individuare insieme ciò che lo Spirito dice alle Chiese attraverso le sfide, le difficoltà, le domande, i cambiamenti socio-culturali, i nuovi

atteggiamenti religiosi e le espressioni di appartenenza ecclesiale delle nostre diocesi oggi. Infine a progettare le modalità e le iniziative pastorali da attivare e le collaborazioni da stabilire tra noi, per rinnovare l’annuncio di Cristo, la comunicazione del Vangelo, l’educazione della fede.
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Il mio compito, oggi, sarà quello soprattutto di individuare ciò che emerge dall’insieme delle testimonianze per quanto riguarda il primo ambito di riflessione e cioè, la “nuova evangelizzazione” del Nordest. Il Papa ad Aquileia ci ha invitati ad impegnarci, in un mondo radicalmente cambiato, per una nuova evangelizzazione del nostro territorio e per consegnare alle generazioni future l’eredità preziosa della fede cristiana.
Premetto che l’attuale contesto culturale secolarizzato – che tende a rimuovere il senso della presenza di Dio – mette in crisi la nostra vita cristiana e ci obbliga a motivare la nostra fede e a renderla adulta. Oggi non si può essere cristiani per tradizione, ma solo per convinzione personale. Stiamo passando sempre più, come di ce qualcuno, da un «cristianesimo di tradizione» a un «cristianesimo di elezione», da un contesto cristiano diffuso a un contesto secolarizzato, in cui la fede appare come una tra le varie opzioni e, molte volte, quella più ardua.
 Il primato dell’evangelizzazione nella vita della Chiesa e del cristiano è l’orientamento pastorale che è emerso al Concilio Vaticano II e che da allora continua a costituire non un problema, ma il problema della Chiesa.

Dalla lettura delle testimonianze di tutte le diocesi mi sono trovato di fronte ad una diffusa pratica religiosa, anche se si sottolineava, da più parti, l’esigenza di una fede più viva ed una missionarietà più dinamica e gioiosa. Mi veniva da chiedere come scrive Franco Garelli nel suo ultimo saggio, Religione all’italiana. L’anima del paese messa a nudo: “Come mai, nonostante il trend di secolarizzazione sia ancora in atto (con la crisi delle vocazioni, la diminuzione dei praticanti, il minor seguito della chiesa in campo etico, l’attenuarsi della religiosità popolare, una scarsità di clero ecc.), l’Italia – noi diciamo il nostro Triveneto – si segnala ancor oggi come uno dei paesi occidentali  – una delle regioni – in cui il sentimento religioso è più diffuso ed ancora una consistente richiesta di sacramenti? 

Cerco allora di raccogliere, a mo’ di flash, in tre punti quanto abbondantemente espresso nelle 15 Testimonianze in riferimento alla nuova evangelizzazione del Nordest: 


 

1.    Quale realtà pastorale ci sta di fronte?

Ci sono alcune sfide, emerge dalla lettura delle testimonianze, che non possono non interrogarci.
Una è più generale che è quella che anche nel nostro territorio crescono sempre più la secolarizzazione, l’individualismo, il consumismo, il materialismo ecc… L’eclissi di Dio di cui parla Benedetto XVI colpisce anche i nostri cattolici che, in una certa percentuale, vivono un ateismo pratico.
Un’altra sfida ruota intorno alla vita. L’uomo cerca il senso della sua vita: si va sempre più verso una perdita di speranza e verso una cultura di morte.
Anche nel nostro territorio, inoltre, ci sono problemi legati all’immigrazione. Tra gli immigrati ci sono persone anche di altre religioni che, a mio parere, cominciano a costituire una sfida per la nuova evangelizzazione.
Viviamo, in definitiva, in un’epoca dove emerge una significativa crisi di valori sia culturali che morali. 
Tuttavia è radicata nel nostro territorio una forte tradizione cristiana, dove però una fede vissuta in modo maturo e coerente è sempre più una “scelta di minoranza”. Una pratica religiosa sostenuta solo dalla tradizione va di fatto implodendo.
In particolare uno sguardo attento alla realtà pastorale mette in luce come, ad esempio, la richiesta dei sacramenti, pressoché totale, da parte delle famiglie ma non è accompagnata da un’altrettanta disponibilità a mettere in discussione la propria esperienza di fede. 
Questo anche perché la nostra società presenta un indebolimento sostanziale del tessuto familiare e la conseguente perdita di senso dell’istituto della famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna. 
Inoltre si assiste ad una evidente incapacità e difficoltà oggettiva di declinare in modo coerente i principali ambiti e tempi di vita: gli affetti e il lavoro, il riposo e la festa…. La difficoltà e manifesta fragilità nel mantenere sempre stretto e vivo il nesso tra fede e cultura, tra fede e vita con la conseguente debolezza in tutti i campi di un’autentica proposta cristianamente ispirata e perciò “conveniente” e “convincente” per tanti.
La nuova evangelizzazione si trova a dover affrontare il cambiamento della società, la nuova cultura che emerge, la secolarizzazione crescente in cui la religione, il cristianesimo non hanno più posto. Si assiste, a detta di qualcuno, ad una sorta di “disboscamento della memoria cristiana”. 
Le nostre Comunità, infine, sembrano abitate da una sorta di stanchezza, di pesantezza e di rassegnazione, che prende in modo particolare i presbiteri. Oberati da impegni sempre più numerosi ed impellenti, responsabili di comunità sempre più ampie (vedi le Unità pastorali che stanno prendendo sempre più piede, ormai…) per cui tutte le loro energie sono assorbite dalle incombenze richieste dal mantenimento della vita ordinaria delle comunità. Fedeli, inoltre, sempre meno numerosi e più esigenti assorbono la quasi totalità delle loro energie, rendendo quasi impossibile quella passione per l’annuncio del vangelo che essi percepiscono come la loro prima missione.


 

2.    Quale risposta le nostre Comunità hanno cercato di dare?

Di fronte a questo quadro certamente non possiamo lasciarci prendere dal pessimismo o dallo scoraggiamento: alla luce della Parola di Dio, qualcuno lo ha sottolineato, è possibile cogliere, nel cuore di un tempo appesantito e denso di sfide su accennate, un nuovo Kairòs: l’ora della prova e della difficoltà può trasformarsi in una nuova stagione di ricerca pastorale e di crescita ecclesiale.
Anzi è proprio in un contesto simile che le nostre Comunità sentono il bisogno di rinnovare l’evangelizzazione, a motivo della ridotta incisività, nel mondo di oggi, dei messaggi, simboli ed eventi cristiani.
Molti attendono e chiedono che la Chiesa sappia trovare forme nuove di presenza e di trasmissione della fede, tenendo conto delle fatiche che vivono i credenti, sul fronte della solitudine sociale e culturale, di cammini coniugali e familiari assai difficili, di impegni educativi presto frustranti (pensiamo ai nostri incontri di catechesi dove i ragazzi ci sono e sono mandati dai genitori… ma perché? Alle nostre proposte di catechesi per adolescenti, giovani e adulti… che molto spesso cadono nel vuoto perché purtroppo i destinatari non ci sono…).
Occorre una testimonianza cristiana forte e coraggiosa e, quindi, si sente la necessità di formare cristiani che siano testimoni visibili e significativi.
Da dove partire?
Tutte le diocesi hanno sottolineato che sono le famiglie che prima di tutto devono diventare, per così dire, il cuore dell’evangelizzazione. Con una attenzione per le giovani coppie e le famiglie giovani. Partire almeno dalle famiglie che hanno i figli nel cammino di Iniziazione Cristiana.
Accanto alle famiglie, partire dai giovani. Sarà il caso di valorizzare e sostenere i vari gruppi parrocchiali (per noi ad esempio tra più parrocchie o addirittura in vicariato…) le Associazioni o i Movimenti come “spazi” in cui i giovani, soprattutto, sentono più forte il senso di appartenenza e dove è più facile che si creino relazioni significative.
Partire da un rinnovamento della Iniziazione Cristiana. Ormai tutte le diocesi si muovono nella direzione di un serio rinnovamento della Iniziazione Cristiana che non potrà mai avvenire senza il coinvolgimento attivo dei genitori perché non deleghino il cammino di iniziazione dei loro figli senza mai mettersi in gioco (se non solo al momento della festa).


 

3.    In quale maniera questa risposta si è concretizzata?

-  Con il tentativo, purtroppo, ancora timido della formazione permanente degli adulti: la catechesi degli adulti non può non decollare in tutte le parrocchie o tra parrocchie vicine.
- Con il coraggioso investimento di energie per la formazione dei laici. Ed ecco il consolidarsi in tutte le diocesi delle scuole di formazione teologica, corsi di formazione per catechisti, incontri di formazione degli operatori della Caritas, corsi o percorsi di preparazione al matrimonio cristiano o incontri cosiddetti culturali che abbracciano non solo i vicini ma anche coloro dai quali come chiesa ci siamo allontanati, ecc.
- Con il formare in modo particolare i formatori: l’ “emergenza educativa” e il problema della trasmissione della fede alle giovani generazioni vanno affrontati presentando modelli, esperienze e ambienti di vita credibili e coerenti.
- Con una rinnovata vita ecclesiale legata alla costituzione delle Unità pastorali, con lo scopo di portare preti e fedeli a superare una visione forse ancora troppo conservativa ed autoreferenziale delle singole comunità. 
- Con il rendere i laici ad essere maggiormente corresponsabili nelle scelte di vita pastorale. In particolare anche a prendersi cura, in prima persona, dell’evangelizzazione e della formazione, promuovendo nuovi stili di vita cristiana sviluppando l’aspetto gioioso e vitale del vangelo, evitando di chiuderlo nell’alveo devozionistico della semplice pratica religiosa.
- Con il prendere coscienza del proprio dovere missionario che va nella direzione della presenza e del dialogo. Cristiani e chiesa, quindi, che non solo aspettano le persone, ma vanno a cercarle, annunciando il vangelo, la sua bellezza, nella ferialità, dentro e attraverso le relazioni e la vita di ogni giorno (famiglia, lavoro, scuola, tempo libero… pensiamo a i famosi ambiti del convegno di Verona del 2006). Qualcuno suggerisce lo slogan: “Non respingere, ma accompagnare”.
In definitiva, si può dire, che l’evangelizzazione non può essere più considerata solo un “affare” dei preti, delle suore e di alcuni laici più impegnati nella vita ecclesiale, ma è compito urgente di tutti, di fronte al quale non possiamo tirarci indietro o delegare altri.

                        (a cura di don Danilo Marin)







 

2° Ambito


In dialogo con la cultura del nostro tempo



Uno sguardo alla realtà socio culturale del nostro tempo
La cultura del nostro tempo. Con questa espressione ci si riferisce alle condizioni sociali, al modo di pensare, agli stili di vita, alle situazioni umane che caratterizzano questo nostro tempo. La realtà entro la quale ci muoviamo è stata descritta dalle diocesi del Triveneto con accentuazioni diverse ma in modo convergente.
Nel nostro territorio si evidenziano alcuni processi “critici” quali: il pluralismo sociale, culturale e religioso, la distinzione sempre più marcata tra Chiesa e società, la secolarizzazione, la crisi economica e di valori, la denatalità, il fenomeno migratorio. 
Una traccia di tali processi è chiaramente visibile anche in un mutamento profondo della mentalità sempre più chiusa su se stessa, individualistica, culturalmente impoverita. 
Ci si trova in una zona economicamente ricca, anche se non più opulenta, che gradatamente ha modificato gli stili di vita, con profondi mutamenti antropologici e sociali, riferibili al modello di famiglia  e al modo di comunicare ed entrare in relazione.
Altro fenomeno sempre più rilevante è quello dell’immigrazione. È una realtà mutata rispetto a venti anni fa: le seconde generazioni sono più integrate, è aumentata la presenza di donne e di famiglie, oltre un quinto dei neonati sono di genitori stranieri. Il fenomeno è diventato strutturale. Di fronte a tale cambiamento, però, la nostra società tende a chiudersi su se stessa, con atteggiamenti di diffidenza e paura, in qualche caso rancore, spesso chiusura o ripiegamento sulla tradizione, con riscoperta ambigua della nostra storia, tradizioni, religiosità.  
Tra gli stranieri numerosi sono cattolici, molti altri cristiani di altra confessione, altri sono di religioni diverse. Non è ancora presente una riflessione ecclesiale approfondita sul cambiamento di mentalità che questo segno dei tempi richiede.
Nella nostra terra, poi, si possono osservare ancora atteggiamenti di divisione e di concorrenza, che rendono ancor più difficoltoso il dialogo soprattutto tra le diverse culture presenti e tra le generazioni.
Le nuove culture sono parte integrante anche delle Congregazioni religiose per cui la Vita Consacrata si trova a vivere la sfida dell’interculturalità come esercizio quotidiano di saper riconoscerci fratelli/sorelle in Cristo al di là della lingua, cultura, tradizioni, modi di celebrare la stessa fede, con accoglienza  reciproca.
Una delle difficoltà più marcate – vissute spesso con molta ansia e quasi smarrimento – è quella di riuscire a restare al passo con problemi sociali, economici, culturali e religiosi sempre più complessi e velocemente cangianti. In proposito si percepisce la mancanza di un “forum” di riflessione alta e permanente, che coinvolga le forze più acute sia presbiterali che laicali, sia ecclesiali che sociali/culturali.
È il territorio culturale a non essere intercettato e compreso dalla e nella prassi pastorale. I motivi di questo stacco sono molteplici e di non facile approccio. Di fatto spesso i nostri orari, linguaggi, conoscenza delle dinamiche sociali e culturali in atto non sono all’altezza della complessità e rispondenti alla situazione reale.
La comunità cristiana di fronte alle emergenze sociali ha sì fornito risposte operative ed immediate, ma non ha sviluppato una riflessione sul senso di questo “segno dei tempi”, sia a livello personale, sia riguardo al futuro delle nostre comunità civili ed ecclesiali.
Le nostre comunità sembrano aver perso la capacità di comunicare: faticano a porsi in ascolto di quanto attraversa la vita degli uomini, usano un linguaggio che sembra più rivolto a confermare quanti già fanno parte della comunità che ad interrogare quanti sono in ricerca, preoccupate più della «ordinaria amministrazione» che della «missione».
Nel rapporto con il territorio e con le sue esigenze (mondo del lavoro, immigrazione ecc.), i cattolici sembrano un po’ “chiusi” nelle loro cose, e quindi sono poco lievito negli ambienti di vita, poco propositivi a livello di elaborazione culturale. 
Si avverte una fatica anche da parte del mondo a capire la Chiesa: sembra che manchino categorie comuni di linguaggio e di senso. L’espressione più evidente sono i sacramenti, sempre meno colti e vissuti come “segni efficaci” dell’agire di Dio nella nostra vita personale e comunitaria. 
La timida risposta in atto nelle nostre comunità cristiane
Si è notato un progressivo coinvolgimento della comunità cristiana nell’ambito culturale con la proposta di alcune iniziative e con la partecipazione ad iniziative condivise con altri enti e associazioni extraecclesiali. La tessitura delle relazioni e il mantenimento di una Chiesa “casa e scuola di comunione” sono aspetti positivi del recente vissuto. 
La grande partecipazione nel volontariato ai più diversi livelli testimonia delle profonde energie presenti. Ne sono un esempio le realtà giovanili relativamente all’ambito scolastico, di animazione del tempo libero e della formazione ad una crescita integrale. Molti movimenti e associazioni si sono dedicati con maggior intensità e costanza nello sviluppo del proprio carisma particolare organizzando iniziative, rivolte alla collettività ed in particolare ai giovani. 
Il complesso fenomeno dell’immigrazione ha cambiato strutturalmente alcune nostre chiese, provocate a creare nuove condizioni di accoglienza e condivisione. Sono nate parecchie comunità etniche con una pastorale specifica. 
Accanto a queste si sono moltiplicati i momenti di ascolto e di confronto, anche pubblici, nel tentativo di favorire la mutua conoscenza e lo scambio delle ricchezze provenienti da altre culture e religioni, a vantaggio di un laicato più consapevole e impegnato.
La diocesi di Vicenza ritiene che la ricca esperienza del “Festival biblico”, giunta alla sua ottava edizione, sia una singolare esperienza di dialogo con l’uomo contemporaneo; fatta sulle strade e nelle piazze di paesi e città, costituisce un tentativo di seminare la Parola  servendosi della ricchezza dei linguaggi degli uomini, come l’arte, il cinema, il teatro, la musica, il dibattito pubblico, l’ascolto di testimoni.
C’è poi la straordinarietà del lavoro silenzioso di tante persone, vicine agli ultimi, testimoni umili e semplici che nelle nostre comunità civili ed ecclesiali, operano a servizio dei fratelli, senza protagonismi o primogeniture, trasmettendo un bene contagioso e incisivo.
Prospettive di impegno comune
Nell’odierno contesto, plurale e pluralista, lo Spirito chiede alla Chiesa di affrontare con coraggio la sfida culturale che le sta di fronte: si tratterà di un dialogo emozionante con la società, ricco di sorprese e capace di valorizzare culture anche lontane. In ciò non si dovrà trascurare il servizio profetico che ogni credente riceve con il battesimo. Ciò che si prospetta è in sintesi l’esigenza di vivere il messaggio evangelico calandolo nella vita reale. Annunciare e vivere il Vangelo, infatti, non sono solo un fare ma un essere: l’annuncio, così inteso, valorizza ogni dimensione dell’umano, anche le più quotidiane, facendo della capacità di relazione il suo punto di forza. Si sente in tal senso la necessità di sviluppare una “cultura dell’accoglienza” all’interno della società. In questo campo la chiesa locale si impegna a diventare sempre più un credibile punto di riferimento: non si può contare sui numeri, sul fare ad ogni costo, sull’attendere la gente in parrocchia. La missione ci è entrata in casa: impariamo ad andare incontro alle persone nei luoghi della vita e a comprendere più approfonditamente il movimento di culture del nostro tempo.
Il cammino che le nostre Chiese hanno davanti richiede in primo luogo comunità  rinnovate, meno preoccupate dell’efficienza, che sappiano investire e “perdere tempo” per le persone, che diano maggiore attenzione al mondo della sofferenza  e della malattia e che portino al centro i poveri. Siamo chiamati a riconoscerci come risorsa di vita comunitaria in un tempo di frammentazione. Dobbiamo re-imparare a fare discernimento, a trovare spazi per confrontarci ed assumere decisioni in comune che siano orientate dal Vangelo, guardando con simpatia agli uomini del nostro tempo. 
È necessario superare la convinzione che ci si formi alla fede solo nella comunità cristiana e la vita sia solo il luogo della testimonianza: si sente l’esigenza di un maggiore interscambio tra pastorale ordinaria e vita quotidiana delle persone. La sfida del mondo che cambia, della terra da abitare, della multiculturalità, pur nel timore e nell’esitazione, ci provoca a cercare nuove forme di rapporto con tutti gli ambiti di vita, riconoscendo anche in essi la profezia.
In una prospettiva di nuova evangelizzazione è decisivo “esserci” ed essere protagonisti nella società e nella cultura contemporanea, in tutti i luoghi in cui l’umanità si incontra (impegno civico e politico in primis, mondo del lavoro e dell’economia, cultura, università, scuola, internet e media ecc.), attraverso però una presenza cordiale, contraddistinta dal dialogo e dalla “simpatia” verso tutti, ma senza mai rinunciare – con delicatezza e rispetto, con coraggio e fierezza – a quei “valori non negoziabili”, ai criteri e ai principi del Vangelo che è reale fermento della vita economica, civile e sociale.
Lo stile missionario di Chiesa ci domanda di sviluppare alcuni atteggiamenti e di assumere alcune scelte di vita che portano a “stare” nella realtà in modo evangelico. L’orizzonte in cui siamo chiamati a collocarci è quello di una capacità di testimoniare il Vangelo come felice sorpresa e forza critica. Si tratta non solo di annunciare il Vangelo, ma anche di agire evangelicamente; non solo di rendere disponibile il tesoro della fede, ma anche di scoprire e di ricevere i segni dello Spirito presenti nella storia delle persone e dei popoli; non solo di custodire e trasmettere la ricchezza della tradizione ecclesiale, ma anche di promuovere e allargare lo spazio di inculturazione del Vangelo; si tratta di proporre nuovi stili di vita cristiana alle famiglie, agli anziani, ai giovani ecc.; occorre sviluppare l’aspetto gioioso e vitale del Vangelo.
Urgono voci di profezia, libere da vincoli, poteri, privilegi, seduzioni umane, perché l’unico riferimento rimane il Signore Gesù e la sua Parola e l’unico guadagno sta nel ricercare la verità e la giustizia. È fondamentale non disperdere l’importante capitale di credibilità che la Chiesa ha accresciuto nel tempo sul territorio con interventi concreti e ideali di alto profilo.
Riteniamo che tale contesto di cambiamento sia un modo attraverso il quale lo Spirito ci interpella, indicandoci anche alcuni ambiti d’azione e direzione. Anzitutto, formando ed accompagnando cristiani che sappiano annunciare e testimoniare il vangelo con la loro vita e al tempo stesso dialogare con tutti. Da qui l’importanza della formazione dei preti e dei laici. In particolare, si avverte sempre di più la necessità di valorizzare i laici e ciò che rappresentano per la Chiesa. Tale specifico laicale non è molto presente né molto valorizzato dal punto di vista ecclesiale. Si rischia di “sfruttarne” la buona volontà per impegni intra-ecclesiali più che far rientrare la loro professionalità (cioè l’ambito in cui hanno una competenza specifica) nella pastorale, fino ad un reale scambio reciproco e ad una vera corresponsabilità, oltre la pur necessaria collaborazione.
Sentiamo l’esigenza di una missione e di gesti più intensi, di una Chiesa che non solo aspetti le persone, ma che vada a cercarle, annunciando il vangelo, la sua verità e bellezza, nella ferialità, dentro e attraverso le relazioni e la vita di ogni giorno (famiglia, lavoro, scuola, tempo libero, ecc.), al di fuori degli ambiti parrocchiali ed ecclesiali consueti. Siamo chiamati a recuperare la capacità di amare l’altro così com’è, partendo dalla sua situazione, dalla domanda che ci poniamo insieme. Abbiamo bisogno di rafforzare un autentico stile di ascolto, del saper metterci a fianco, come Gesù con i discepoli di Emmaus, di imparare a cogliere e accettare le provocazioni e le sfide che ci vengono dall’altro e che ci chiedono di cambiare, senza venire meno ai contenuti essenziali della nostra fede.
È la sfida di un rinnovato annuncio del Vangelo. Un vangelo che raggiunga il cuore degli uomini d’oggi, che sappia rispondere alle domande profonde che essi si pongono, anche se non sempre riescono ad esprimerle. 
Strumenti
Questo nostro tempo interroga in modo molto forte i carismi che trovano concreta espressione dei valori cristiani nelle azioni e nelle realizzazioni dei movimenti e associazioni.  Queste aggregazioni sono infatti molto attive e meglio sanno rispondere con la loro creatività alle dinamiche sociali e culturali. Solo a titolo esemplificativo possiamo ricordare tutte le iniziative che si rifanno al principio della sussidiarietà, specialmente in campo educativo, familiare, assistenziale. 
Dobbiamo valorizzare e sostenere anche i vari gruppi parrocchiali come “spazi” in cui le persone sentono più forte il senso di appartenenza e dove è più facile che si creino relazioni significative. 
Molto importanti sono anche i mezzi di comunicazione sociale che insieme alla scuola e ai centri di formazione culturale formano la mentalità e i costumi anche delle generazioni più giovani.
La risorsa più importante sono però le persone e le qualità delle relazioni che stabiliscono sia nel tessuto sociale che in quello ecclesiale. Tra i soggetti di cui oggi si sente maggiormente l’importanza ci sono le famiglie con la loro missione educativa, le diverse forme di vita religiosa (che si interrogano sul loro futuro e sulla loro missione) e gli operatori pastorali. Questi soggetti stabiliscono relazioni virtuose e necessarie nel tessuto sociale in cui operano. 

(a cura di Mons. Francesco Zenna)





 

3° Ambito 


Impegnati per il “Bene comune”



Voglio dire subito che leggere le “testimonianze” delle 15 diocesi del Triveneto è stata una bella esperienza. Prendere conoscenza del loro come del nostro vissuto, conoscere le mète raggiunte e le sfide ancora aperte, scoprire i numerosi aspetti che ci accomunano nonostante caratteristiche territoriali, geo-politiche e culturali spesso assai diverse da diocesi a diocesi è stato davvero un esercizio che mi permetto di raccomandare.
In particolare, su tre ambiti si sono concentrate le coincidenze di analisi e proposta in questo decisivo tema del “Bene Comune”: il TERRITORIO, le DINAMICHE SOCIO-CULTURALI, le ISTITUZIONI.



1. IL TERRITORIO. 


Ambito tutto da riscoprire, valorizzandone le molteplici risorse, il TERRITORIO – per le nostre Chiese locali – è stato finora quasi completamente delegato: alla politica, alle amministrazioni, ai partiti, al volontariato, mentre la parrocchia, spesso, si è ridotta ad essere solo uno dei tanti “luoghi” dei più svariati incontri, piuttosto che Comunità ecclesiale.
La prospettiva va – invece – capovolta: Parrocchia e Diocesi devono diventare luogo di relazione, tra cristiani, e non solo! Esse devono essere fronti avanzati, riconoscibili ed integrati con il proprio territorio, che devono promuovere ricercando un uso responsabile del Creato, mediante modelli di sviluppo compatibili e con nuovi stili di vita.

2. LE DINAMICHE SOCIO-CULTURALI.


Un dato emerge inequivocabile e trasversale in tutta la regione ecclesiastica del Triveneto (e se è drammatico nel Nordest, figuriamoci in altre regioni italiane!). Possiamo definirlo sinteticamente la GRANDE CRISI. 
Nuove povertà, ampliamento della platea dei soggetti più deboli, crisi del lavoro (soprattutto giovanile), delle imprese e – soprattutto – della famiglia, che spesso deve ricompattare sotto un solo tetto, riunendole, tre intere generazioni per aiutarsi reciprocamente: questo è il panorama di questi tempi.
La Chiesa mette in campo le forze del volontariato (che spesso è invocato in supplenza dei sempre più ridotti interventi pubblici in campo sociale), mentre il cittadino – talvolta per i ritmi asfissianti del lavoro, talvolta per l’angoscia della sua assenza – si ripiega nel privato, nell’indifferenza, nell’individualismo: e i rapporti in famiglia e nella società inaridiscono.
A fronte di un panorama a tinte così fosche, le Diocesi concordano: e se ne esce tutti o non ne esce nessuno! Dalla Caritas alle singole Comunità parrocchiali, occorre mettere in campo le forze vere: quelle dell’ ACCOGLIENZA e della SOLIDARIETÀ evangeliche.
Quanto al “mal sottile” del ripiegamento su se stessa della società contemporanea, si indica nell’EDUCAZIONE il volano per uscire da soggettivismo ed individualismo, nei MEDIA lo strumento che, entrando nel dibattito pubblico, favorisca il dialogo e l’ascolto, e la DOTTRINA SOCIALE della Chiesa il punto di riferimento più autorevole nel dar risposte a questa crisi. Si parla anche di “laici mediatori” tra comunità ecclesiali e territorio, per portare la Chiesa a partecipare come “corpo ecclesiale” alla vita sociale, non dunque chiusa in se stessa, ma sintonizzata e partecipe sui continui cambiamenti.



3. ISTITUZIONI


La stessa GRANDE CRISI che attanaglia la vita socio-economica della società contemporanea sta attraversando la vita delle stesse Istituzioni, che dovrebbero invece guidarla e promuoverla. 
Il parlamento sembra paralizzato, i provvedimenti che ne escono non hanno alcun respiro strategico, i partiti sono chiusi a riccio e lo sport politico più praticato è la DELEGITTIMAZIONE RECIPROCA, con un’acrimonia verbale che neppure i saggi e ripetuti richiami del Presidente della Repubblica e dei Vescovi valgono a smorzare.
Il cittadino, di fronte a questo scenario, si allontana sempre più dalla politica; si cercano tutte le scorciatoie per soddisfare i propri interessi particolari e settoriali; il confronto è visto con fastidio; il Bene Comune una definizione vuota.
Nelle nostre chiese locali non sono mancate esperienze di confronto e collaborazione con le istituzioni pubbliche, né specifiche proposte formative (chi non ricorda le mitiche “scuole di formazione socio-politica”?). Tuttavia, la sensazione – accentuatasi negli ultimi tempi – è  che si preferisca il piccolo cabotaggio, che qualcuno definisce addirittura un “balbettio”, altri denunciano una certa “autoreferenzialità”. E il cristiano, in politica, non incide; anzi, spesso è del tutto assente.
Eppure, ci ricordano quasi in coro le 15 diocesi sorelle del Triveneto, occorre rivitalizzare attraverso il DIALOGO e l’ASCOLTO il rapporto con le Istituzioni civili (Prefetture, Comuni, Province, Regioni, ecc.), culturali, delle attività produttive, del volontariato, sindacali, partitiche.
E poiché la Chiesa è chiamata non a sovrapporsi o sostituirsi alle istituzioni socio-politiche, bensì ad animarne gli intenti e a sostenerne le attività a favore dell’uomo nella sua completezza, ecco che auspica – su tutto – un focus permanente sulla FAMIGLIA (la prima delle istituzioni) e sui GIOVANI (vero termometro del futuro che ci attende). Né deve mai cessare l’incoraggiamento per la salvaguardia dei SERVIZI SOCIALI (sanità, scuola,nuove povertà, ecc.), ultimo baluardo della tenuta istituzionale. 

La conclusione è quasi consequenziale: occorre maggiore disponibilità a spendersi per il BENE COMUNE, in particolare nella politica, con l’ IMPEGNO PERSONALE e, soprattutto, con la FORMAZIONE ispirata al Vangelo che non è legato alle scadenze elettorali, ma a “parole di vita eterna”.



(a cura di Bertaglia Orazio)