sguardo pastorale

È NATO NELL’OBBEDIENZA

Facebooktwitterpinterestmail

“Oggi è nato un salvatore…questo per voi il segno”. Così deflagra l’annuncio degli angeli nella notte dell’umanità. È il tempo maturo per cui le promesse di Dio si compiano e gli storpi, i ciechi, i muti, i sordi, i morti cioè gli scartati dell’umanità ritrovino la speranza e la consolazione nella Vita nuova che nasce nell’incontro con Cristo. Questa è la certezza che ci offre il Natale del Signore Gesù. Ma lui nasce bambino. Ecco cosa ancora sconcerta e può scandalizzare.

“È nato un salvatore” dice il Vangelo: la straordinaria notizia del fatto che è successo ciò che da secoli si aspettava (l’annuncio degli angeli si riferisce alla promessa del Messia), viene indebolita da quell’articolo indeterminato “un” che lascia aperta la porta alla libertà del cuore umano di riconoscere o meno, di accogliere o rifiutare, ciò che ha visto nel bambino nato.

Quell’articolo sembra essere di troppo rispetto alla soddisfazione di trovarsi di fronte ai tempi maturi per una giustizia sociale, politica, economica. È di troppo perché rende indeterminata, cioè incerta, suscettibile di interpretazione, tutto ciò che seguirà. Infatti, sarà proprio così riguardo a Gesù, alle sue parole e alle sue opere. Il Battista è il primo a fare i conti con un Messia che si rivela diverso da come se lo aspettava. Egli dubita ma poi si affida. Sappiamo poi quanto sia rimasta forte negli stessi discepoli l’attesa di un atto di forza del loro Maestro-Messia improntato a stabilire un Regno di Dio: un’aspettativa rimasta delusa.

Il Figlio di Dio sorprende sotto tutti i punti di vista dall’inizio alla fine della sua vita terrena e il disegno di salvezza di Dio continua a svelarsi nella storia degli uomini con tempi e modalità che rimangono misteriosi. C’è però una linea ben definita che Gesù ha tracciato al di qua della quale sceglie di agire e di interpretare la volontà del Padre: egli, Gesù, il Cristo Signore, è nato nell’obbedienza. L’apostolo Paolo nella lettera ai Filippesi, al capitolo 2, così dice: «egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». Obbedienza non è qui sinonimo di remissività, di annichilimento ad una volontà schiacciante; obbedienza è sinonimo di incarnazione, ha il sapore della scelta libera di donarsi con la lungimiranza della profezia e il realismo del discernimento.

In quanti modi avrebbe potuto salvarci? Eppure ha scelto quello che più concretamente lo ha fatto scendere in mezzo a noi.

Nel giorno del Natale siamo giustamente presi dalla gioia che non dobbiamo più attendere (come quando siamo stati ammaliati da una sua Parola che ha conquistato il nostro cuore), per cui possiamo realisticamente sperare che, da questo momento in poi, le cose cambieranno e potranno cambiare per il mondo e l’umanità; ma subito dopo non dobbiamo dimenticare che anche per noi vale la “regola”, se così si può dire, che il germoglio della Vita Nuova continuerà a spuntare non in virtù delle nostre opere buone ma in virtù della nostra obbedienza all’incarnazione di Cristo.

Don Simone Zocca

Delegato della Pastorale