La diaspora ebraica

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Diaspora è un termine greco che significa “dispersione” e viene usato per indicare le comunità ebraiche che vivevano fuori della Palestina. Almeno a partire dall’esilio del VI secolo a.C. gli ebrei avevano cominciato a emigrare nel Medio Oriente e lungo il Mediterraneo orientale, tanto che nel I sec. a.C. se ne contava un milione solo in Egitto. Una buona parte della popolazione di Alessandria d’Egitto era ebrea e la maggior parte delle grandi città registrava la presenza di una colonia ebraica e di una sinagoga (o quantomeno di un luogo per la preghiera, Atti 16,13). Questi erano gli ebrei della dispersione (diaspora), talvolta detti ebrei ellenisti. L’ellenismo – l’ondata della cultura e del pensiero greco, che aveva invaso il mondo mediterraneo e si era spinta molto al di là di esso con le conquiste di Alessandro Magno – era ancora la corrente culturale dominante nell’Impero Romano, e gli ebrei della diaspora, lontani dall’atmosfera più conservatrice della Palestina, si adattarono più facilmente allo stile di vita greco. Essi non abbandonarono la loro religione e la loro cultura, né cessarono di essere ebrei, però si dimostrarono più aperti verso il pensiero greco. Molte delle ultime opere ebraiche, in particolare quelle redatte ad Alessandria (come la Sapienza di Salomone o gli scritti di Filone Alessandrino), sono profondamente influenzate dalla filosofia greca. Apollo, il dotto ebreo alessandrino (At 18,24), apparteneva sicuramente alla scuola della sua città prima di convertirsi gradatamente a Cristo.

Nell’Impero Romano le comunità ebraiche della diaspora godevano di uno statuto speciale. In Oriente erano organizzate in politeuma (pseudo-città) con un’assemblea e dei corpi rappresentativi. Fin dal tempo di Cesare gli ebrei che erano cittadini romani godevano della dispensa dalla chiamata alle armi, nelle città erano autorizzati a costruire sinagoghe, avevano la facoltà di osservare il sabato, di avere dei mercati appositi al fine di rispettare le norme alimentari. In Occidente queste comunità erano regolate dalla legislazione sulle associazioni che prevedeva il diritto di riunione. Gli Atti degli Apostoli e le lettere paoline mostrano come Paolo si sia rivolto preferibilmente agli ebrei della diaspora e, malgrado qualche sconfitta, si può dire che l’espansione del cristianesimo sia in gran parte un fenomeno di diaspora. La caduta di Gerusalemme nel 70 e la distruzione del Tempio segnarono alla fine dei sadducei e degli esseni favorendo il dinamismo del giudaismo della diaspora, in cui predominava l’elemento farisaico.

Gli ebrei sono stati spesso accusati ingiustamente di essere dei rigidi esclusivisti. Invece, soprattutto nella diaspora, erano coscienti della loro missione verso i gentili (= pagani) e cercavano sinceramente di convertirli. Non era facile per un pagano abbracciare l’ebraismo, perché questo comportava la circoncisione, l’impegno di osservare la legge di Mosè, incluse le prescrizioni relative al sabato e ai cibi impuri. Nonostante questo, furono molti coloro che compirono questo passo drastico, erano i cosiddetti proseliti. Più numerosi ancora furono coloro che si sentivano attratti dalla fede monoteistica ebraica e dalla moralità severa del giudaismo, così contrastante con il decadente politeismo di Roma. Essi erano disposti abbracciare la fede e gli ideali ebraici, ma si fermavano prima di impegnarsi definitivamente come proseliti, perché questo comportava la circoncisione. Il Nuovo Testamento designa questi simpatizzanti – molti dei quali erano funzionari influenti – come timorati di Dio (At 13,26.43.50; 17,4).

Gastone Boscolo