Riflettendo sul vangelo - XV Domenica del tempo ordinario - Anno C

“Amare” è inscritto nel nostro DNA

Vangelo di Luca 10, 25-37

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Leggiamo oggi nel Vangelo di Luca che un esperto della legge, volendo mettere alla prova Gesù, chiede: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. 

È una domanda seria, che nasconde, possiamo dire, il problema della retribuzione dopo la morte: che cosa fare adesso per salvarmi? Che cosa devo fare per aver parte alla salvezza?

Gesù, assumendo il ruolo del maestro che interroga, fa in modo che sia il suo stesso interlocutore a rispondere. Domanda: “che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?”. Quel dottore della Legge, rispondendo in una maniera corretta, mette insieme i due comandamenti dell’amore, già presenti nell’Antico Testamento: l’amore a Dio (in Dt 6,5) e l’amore al prossimo (in Lv 19,18). La risposta esprime una sorta di sintesi del Decalogo, e, nello stesso tempo, anche il cuore stesso del Decalogo: l’amore autentico è un’unica grande realtà che abbraccia Dio e il prossimo.

Il problema, però, per l’interlocutore di Gesù non riguarda tanto l’amore a Dio, ogni buon ebreo sapeva benissimo cosa comportava l’amore a Dio, quanto, invece, capire chi è il prossimo. Il prossimo, infatti, per l’antica concezione biblica e giudaica era il connazionale, il membro della comunità credente, colui che osservava la legge. Erano esclusi dal concetto di prossimo gli stranieri di altre religioni, i samaritani, qualche volta il nemico personale, talvolta anche coloro che non erano parte della propria comunità. A Gesù, in un certo senso, vien chiesto di delimitare l’amore, di mettergli delle frontiere. Egli, invece, abolisce ogni restrizione al concetto di prossimo: il prossimo è ogni uomo, ogni uomo al quale ci si fa prossimi e lo fa capire con una parabola che, in qualche maniera, anche stupisce perché colui che si fa prossimo al malcapitato, un uomo picchiato a morte dai briganti: è un samaritano, considerato un eretico, un peccatore odiato, crollano, così, tutti i motivi religiosi o nazionali.

Quel samaritano, il ‘nemico’ religioso per i giudei, colui che è disprezzato da tutti, di fronte a un uomo ferito e lasciato solo nel ciglio della strada, a differenza del sacerdote e del levita, uomini religiosi, che conoscevano bene la Legge, servivano Dio nel tempio, insegnavano a distinguere il bene dal male, ma consideravano la purità legale più importante della vita di un loro simile che erano passati per la stessa strada ma avevano tirato dritto, mette tutto da parte, gli si avvicina prendendosi cura di lui: gli medica le ferite, lo carica sulla sua cavalcatura, lo conduce a una locanda dove dà istruzioni all’albergatore, impegnandosi a pagare le spese del suo soggiorno fino alla guarigione.

“Và e anche tu fa’ così”: dice Gesù all’interlocutore e lo dice, oggi, anche a ciascuno di noi.

Anche se a volte ci sembra impossibile accogliere e mettere in pratica la Parola del Signore, più per scusare il mostro comportamento per non impegnarci, sappiamo, tuttavia, che Dio ci ha messo nel cuore l’amore verso di lui e verso gli altri: amare è iscritto, possiamo dire, nel nostro DNA, il non amare diventa, quindi, una scelta contro natura…

Più che mai percepiamo come la Parola sia attuale e allo stesso tempo scomoda e rivoluzionaria. Dovremmo sentire l’urgenza di metterla in pratica senza sotterfugi né scappatoie. Non ci resta che rimboccarci le maniche e impostare così la nostra vita di cristiani perché l’osservanza ai comandamenti e alle prescrizioni, senza l’amore non serve a nulla.

Se io mi faccio prossimo capisco chi è il mio prossimo: l’amore diventa l’unica ricchezza che si moltiplica donandola e condividendola. Più la spendiamo e più ne siamo ricchi. Più la condividiamo e più i nostri occhi si faranno attenti a scovare nuovi volti da incrociare e nuovi abbracci da riempire (R. Seregni).

Don Danilo Marin