Comprendere la Bibbia -90

Sheol

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Il termine Sheol nell’Antico Testamento designa il luogo dei morti. Contrariamente agli inferi di egizi, greci e babilonesi, lo Sheol è vuoto, non vi abitano né divinità infernali né demoni. La strada per lo Sheol era a senso unico, nessuno poteva far ritorno (Sal 49,20). Tutti gli esseri umani, buoni e malvagi, precipitano nello Sheol. La sorte eccezionale riservata a Enoch ed Elia, e secondo una leggenda tardiva a Mosè, rapiti ancora viventi al cielo, non mette in discussione la norma. Come i babilonesi, gli ebrei delle epoche più antiche non attendevano per i giusti altra ricompensa se non una bella, buona e lunga vita sulla terra (Dt 4,40; 5,16.33), per i malvagi invece sofferenza, sventura nell’esistenza terrena e morte prematura.

Ai tempi dei patriarchi e della monarchia gli israeliti credevano che l’uomo «è polvere» (Gen 2,7; 3,19), che la polvere ritorna alla terra «com’era prima e il soffio vitale torni a Dio, che lo ha dato» (Qo 12,7). Ma sapevano anche che, pur privo del corpo e dello spirito vitale, l’uomo che si è «coricato con i suoi padri» (Gen 47,30) non scompare completamente. Questa duplice convinzione spiega l’idea che si facevano della pallida esistenza delle ombre nel silenzio dello Sheol: senza forza, senza ricordi né informazioni, senza gioie, senza attività fisica e intellettuale, e senza la possibilità di lodare Dio. Il riposo era la sola consolazione offerta dall’aldilà immaginato dai saggi (Sir 30,17).

Lentamente però in questo vuoto comincia a delinearsi qualche immagine. Lo Sheol comincia a riservare una sorte dolorosa a coloro che hanno fatto il male nella vita terrena. Isaia ed Ezechiele lo lasciano intuire descrivendo il primo l’accoglienza che ebbe nel mondo dei morti il re di Babilonia (Is 14,11) e il secondo la discesa «nella regione sotterranea» dei pagani che «seminavano il terrore nella terra dei viventi» (Ez 32,17.32). Essi non «giaceranno al fianco degli eroi caduti da secoli» ma «nella fossa trafitti di spada» (Ez 32,23.27). La prigione evocata da Isaia in cui i re della terra saranno incatenati e puniti con le potenze malvage (Is 24,21-22) annuncia «il baratro infernale» che attende la via dei peccatori «ben lastricata» di cui parla il Siracide (21,10).

Altri testi di Isaia ed Ezechiele suggerirono però ai saggi dei secoli a seguire l’idea della retribuzione dei giusti e della resurrezione a una nuova vita dei morti riconciliati con Dio. Da questi testi in poi, lo Sheol non è più considerato come un luogo di esilio senza alcuna possibilità di comunicazione con il mondo dei vivi, anzi i vivi possono intercedere presso Dio per i peccatori defunti (Dan 12,2-3; 2Mac 12,42-45). Una cinquantina d’anni prima della nostra era il libro della Sapienza ha espresso chiaramente la dottrina della immortalità dell’anima e della giusta remunerazione degli uomini nell’aldilà: i malvagi saranno del tutto rovinati, si troveranno tra dolori e il loro ricordo perirà, mentre i giusti vivranno per sempre, la loro ricompensa sarà presso il Signore e l’Altissimo avrà cura di loro (Sap 2,23; 3,1-10; 4,1-2.7-20; 5,1-17).

L’Ade (Inferi), l’inferno del Nuovo Testamento, è l’espressione usata per indicare un luogo di punizione dove hanno dimora solo i malvagi (Mt 11,23), dove precipiterà il ricco Epulone mentre il povero Lazzaro verrà «portato dagli angeli accanto ad Abramo» (Lc 16,22-23). Il luogo di riposo e di consolazione dei giusti viene ormai ben distinto dal luogo dei tormenti (Lc 16,25).

Gastone Boscolo