Comprendere la Bibbia - 84

Schiavi e stranieri

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In Israele le famiglie più benestanti potevano ingrandirsi acquistando schiavi. La maggior parte di questi erano stati catturati in guerra (Nm 31,26; Dt 21,10) oppure acquistati sul mercato degli schiavi (Lv 25,44). Anche se gli schiavi erano considerati come proprietà (Lv 25,45), erano però protetti da leggi precise. Non potevano essere maltrattati (Dt 23,16-17), avevano il diritto al riposo in giorno di sabato (Es 20,10) e a partecipare alle festività nazionali (Dt 16,10-11). Spesso gli schiavi erano trattati come membri della famiglia. Se erano circoncisi, godevano della maggior parte dei privilegi della società ebraica, però non potevano acquisire proprietà o sposarsi con schiavi stranieri. Il buon trattamento degli schiavi non era solo una caratteristica della società israelita. La schiava della moglie di Naaman il Siro era trattata bene (2Re 5,2-3) e a quanto pare anche Onesimo, sebbene a quei tempi secondo la legge romana la fuga di uno schiavo fosse un reato capitale (Fm 17).

Un ebreo poteva essere ridotto in schiavitù per debiti accumulati o anche perché riteneva di godere maggior sicurezza nella casa di un altro che non nella sua. In tal modo si potevano vendere famiglie e bambini (Es 21,7; 2Re 4,1; Mt 18,25). Lo schiavo ebreo rimaneva tale per sette anni, poi veniva liberato (Dt 15,12-18) a meno che non volesse rimanere come membro della famiglia (v. 16), in questo caso gli veniva forato l’orecchio (v. 17). Ad alcuni schiavi i padroni affidavano grande autorità. Eliézer fu investito da Abramo della responsabilità di trovare una moglie per il figlio Isacco (Gen 24). La figlia del padrone poteva sposare un servo (1Cr 2,34-35), ma se poi questi desiderava lasciare la famiglia, doveva abbandonare moglie e figli (Es 21,4). Gli schiavi ebrei potevano essere liberati in qualsiasi momento se il loro debito veniva pagato da un altro membro della famiglia o anche da loro stessi (Lv 25,48-49); solo le ragazze vendute come schiave rimanevano tali per tutta la vita, perché spesso divenivano le concubine del padrone.

La generosità delle leggi ebraiche nei confronti degli schiavi contrastava chiaramente con le leggi riguardanti gli schiavi in altre zone del Medio Oriente. L’economia degli imperi greco e romano era in larga misura basata sulla schiavitù. Il Nuovo Testamento accettò la schiavitù come un dato di fatto (Ef 6,8; Col 3,22; Fm 16), ma enunciò i fondamenti dottrinali che alla fine avrebbero portato all’abolizione della schiavitù (Gal 3,28).

In Israele era conosciuta anche un’altra forma di schiavitù: il lavoro forzato o lavoro come tassazione. Il reclutamentodurava per un certo numero di mesi e/o settimane allo scopo di costruire opere pubbliche. Questo tipo di lavoro fu imposto sia alla popolazione cananea sopravvissuta alla conquista (1Re 9,21) sia agli Israeliti (1Re 5,27-28).

Oltre agli Israeliti che formavano il popolo del paese c’erano gli stranieri residenti (gherím). Dal punto di vista sociale erano uomini liberi, ma non godevano di tutti i diritti (ad esempio non potevano acquistare terreni). Costretti a lavorare come salariati, gli stranieri erano generalmente poveri; erano assimilati ai poveri, alle vedove e agli orfani, e perciò erano raccomandati alla carità pubblica (Lv 19,10; Dt 24,19-21).

 

Gastone Boscolo