Riflettendo sul vangelo - domenica sesta, tempo ordinario, anno C

La vita nuova delle beatitudini

Vangelo di Luca 6,17. 20-26

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Domenica scorsa avevamo lasciato Pietro, Andrea e gli altri, lungo le rive del lago di Tiberiade, che lasciato tutto, avevano seguito il Maestro, invitati ad essere pescatori di umanità.

Gesù, avendo ormai alcuni discepoli che lo seguono e stanno con lui nel suo peregrinare sulle strade della Galilea per annunciare la venuta del Regno, opera una scelta, un discernimento. Sale sul monte, come un tempo aveva fatto Mosè, e in quel luogo solitario ma propizio all’ascolto del Padre, prega. Da questa intensa esperienza di ascolto egli matura la decisione di chiamare a sé e dunque di scegliere tra i suoi seguaci alcuni uomini che saranno da lui inviati e avranno come compito la missione di annunciare, assieme a lui, il regno di Dio.

Gesù scende dal monte con la sua piccola Comunità e annuncia alla “gran moltitudine di gente” il segreto della felicità, rivolgendosi dapprima a coloro che avevano deciso di seguirlo e di conseguenza anche a noi oggi. Tutti cerchiamo e sogniamo di essere felici, tutti siamo ‘mendicanti di felicità’. Il mondo ci ricorda, ad ogni piè sospinto, che per essere felici, bisogna essere in salute, ricchi, meglio se famosi e stimati. Gesù, invece, indica un’altra strada, dettando alcune condizioni di vita felice e appagata: è una logica completamente opposta a quella del mondo che considera assurde le parole di Gesù.

Il vangelo di questa domenica) non è un invito alla rassegnazione rivolto ai poveri, non è l’invito a lasciare il campo libero alla prepotenza e alla violenza. Il cristianesimo non è la religione dei nullatenenti, dei rassegnati e dei deboli. Con Gesù nasce, invece, un mondo nuovo, che esige atteggiamenti nuovi, coraggiosi e audaci.

Se leggiamo bene questa pagina, vediamo che Gesù non dice “Beato chi ha fame, chi piange, chi è odiato”, ma “beati voi”: Gesù sta parlando, sì a tutte le persone che lo stavano ad ascoltare ma, soprattutto, ai suoi discepoli, a coloro, cioè, che avevano deciso di lasciare tutto e seguirlo.

Le beatitudini non sono esortazioni morali, quasi dicessero ciò che dobbiamo fare, ma sono rivelazione, sono annuncio da accogliere o rigettare, esprimono la logica e la dinamica del regno di Dio. Quel Regno che dobbiamo cercare nella consapevolezza che Gesù è la buona notizia, il Vangelo di Dio per noi.

Le beatitudini ribadiscono cosa fa Dio e come agisce Dio nella storia degli uomini. Essere beati vuol dire essere vicini a Dio, accoglierlo senza se e senza ma, farlo parlare nella propria storia, dargli spazio e tempo. Il discepolo di Cristo è l’uomo che confida in Dio, è colui che si affida a Cristo ed è per questo che è beato, è ricco interiormente, una ricchezza che lo mette sulla strada per cercare e trovare il Regno.

Al contrario, l’uomo che confida in se stesso non trova altro che guai. Il vero guaio, la vera disgrazia è portare avanti una vita che non ha il sapore di Dio. Nel Vangelo di Luca, infatti, alle “beatitudini” seguono i “guai”, grida di avvertimento per quanti si sentono autosufficienti. Non si tratta di maledizione, ma di constatazione e lamento: chi è ricco, sazio e gaudente non capisce, non comprende, non sa di andare verso la rovina e la morte, una morte che vive già nel rapporto con i propri fratelli e le proprie sorelle, nelle relazioni quotidiane. Questi “guai” sono un richiamo a mutare strada, a cambiare mentalità e comportamenti, sono un invito alla vita autentica e piena.

Il cristiano fedele e conforme a Cristo non deve attendersi che gli vengano tolti i sassi che intralciano il cammino. Al contrario, facilmente gli verranno scagliati addosso: se è “giusto”, sarà odiato e non si sopporterà neppure la sua vista: “Guai, quando tutti diranno bene di voi”. Come Gesù è stato “segno di contraddizione”, così lo siamo noi nella vita di tutti i giorni, se siamo conformi a Lui.

Don Danilo Marin