Comprendere la Bibbia - 66

L’esilio a Babilonia: Ezechiele e il Deutero-Isaia

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Degli israeliti deportati dagli Assiri alla caduta di Samaria (722) si sono perse le tracce. Le cose andarono in modo diverso nella deportazione babilonese. A Babilonia i deportati non vivevano come schiavi, ma in colonie, era loro permesso riunirsi, costruirsi casa, coltivare campi e formarsi una famiglia. Gli esiliati con il passare del tempo adottarono la lingua aramaica e il calendario babilonese. Nonostante l’esilio si sviluppò un intenso risveglio religioso. Il fatto di trovarsi in un paese straniero esposti al pericolo di assumerne usi e costumi, portò gli esuli a rafforzare i legami interni. L’esilio è il periodo in cui la circoncisione, l’osservanza del sabato, le leggi di purità diventano il segno distintivo di appartenenza al popolo di Israele. Con la lettura della Scrittura e la preghiera dei salmi prese forma il culto sinagogale, sconosciuto fino a quel momento.

Negli anni dell’esilio, tra il 593 ed il 571 a.C., si colloca l’opera del profeta Ezechiele. Arrivato con la prima ondata di deportati (597), Ezechiele aiuta gli israeliti a comprendere che le pratiche idolatriche e sincretistiche sono state causa della rovina nazionale. Inizialmente la sua azione fu volta a disilludere gli israeliti circa un loro prossimo ritorno. Dopo la caduta di Gerusalemme, la distruzione del tempio e l’arrivo della seconda ondata di deportati (587) si fece portavoce di un messaggio di speranza. Ezechiele invita a conversione, esprime con fermezza le esigenze della responsabilità personale, annuncia che Dio ridarà vita alle ossa inaridite del popolo di Israele (Ez 37) e apre le prospettive di una nuova alleanza nello Spirito: Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne (Ez 36,26). Annuncia che il popolo tornerà in una nuova Gerusalemme fedele a Dio, e il suo nome sarà – e sono le ultime parole del libro – “Jhwh è là!”.

Sempre durante l’esilio, un anonimo profeta, comunemente chiamato Deutero-Isaia (Is 40-55), annuncia ai compagni l’imminente liberazione e il ritorno in patria. Per il Deutero-Isaia la caduta del regno e la distruzione di Gerusalemme non dimostravano affatto l’inferiorità di Jhwh rispetto alle divinità babilonesi, al contrario mostravano che Jhwh era il Signore della storia, e che si era servito delle grandi potenze per attuare quanto aveva minacciato. Israele aveva a che fare con il suo Dio anche e proprio nel momento della sconfitta. Altro tema importante toccato da questo profeta è quello dell’unicità di Dio. Il Deutero-Isaia si impegna su questo tema come nessun altro prima di lui. È lui a formulare teoricamente il monoteismo: Così dice il Signore, il re d’Israele, il suo redentore, il Signore degli eserciti: “Io sono il primo e io l’ultimo; fuori di me non vi sono dèi” (Is 44,6).

Nel dare risposta agli interrogativi che la caduta di Gerusalemme e del Tempio avevano posto, gli israeliti trovarono un aiuto nei profeti pre-esilici. Il loro messaggio divenne motivo di speranza: Osea aveva parlato dell’amore inesauribile di Jhwh per il suo popolo (Os 2,21-22). Amos e il Proto-Isaia avevano annunciato che Jhwh sarebbe stato clemente con il “resto” che si fosse convertito (Am 5,15; Is 7,16; 10,20-27). Geremia aveva annunciato una “nuova alleanza” (Ger 31,31). L’opera storica del deuteronomista (Giosuè, Giudici, 1-2 Samuele, 1-2 Re), completata proprio in epoca esilica, rilegge la storia di Israele come la storia della fedeltà di Dio e dell’infedeltà del popolo. Anche durante l’esilio il popolo deve continuare a sperare, Jhwh non ha mai abbandonato il suo popolo, anzi lo ha sempre aiutato a uscire dalle situazioni difficili (cfr. il libro dei Giudici).

Gastone Boscolo