Comprendere la Bibbia - 56

Esodo dall’Egitto. Storicamente cosa è avvenuto?

Passaggio del Mar Rosso
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Il racconto dell’uscita dall’Egitto inizia con la descrizione delle piaghe (Es 7,14 -11,10). In questo lungo racconto emergono tre diverse tradizioni, che discordano tra loro sul numero e successione delle piaghe. Il racconto segue uno schema letterario nel quale, più che il fatto storico si tende a mettere in risalto il suo valore di segno. Nella stessa introduzione al racconto (Es 7,1-5), le piaghe sono presentate come segni e prodigi mediante i quali gli egizi vedranno la potenza del Dio degli ebrei, Jhwh. Dietro il ricordo di fatti che non è più possibile precisare, si evidenzia lo scopo del redattore: mostrare attraverso questi eventi la presenza di Dio in mezzo al suo popolo: il vero Signore è Jhwh, non il faraone. Per quanto riguarda l’attraversamento del mare (Es 12‑14) va tenuto presente che la traduzione Mar Rosso (Es 13,18) dipende dalla LXX (ripresa poi dalla Volgata: Mare Rubrum), ma l’ebraico parla di Iam Suf che significa mare dei giunchi (quindi: giuncaia, canneto), quindi l’attraversamento sarebbe avvenuto negli odierni Laghi amari, a nord di Suez.

Il conflitto tra clan ebraici e autorità egizie costituisce il punto di partenza dell’esodo. La ragione del conflitto è chiaramente presentata dai testi: gli egizi costringono gli ebrei a condizioni di lavoro insopportabili, vengono obbligati a lavorare alla costruzione di opere pubbliche (Es 1,11-14; 2,23; 3,7). Il dato, sebbene non possa essere storicamente provato, ha risvolti oggettivi, spesso infatti nell’antico Egitto le autorità reclutavano, più o meno con la forza, le tribù seminomadi che girovagavano nel delta orientale del Nilo e le utilizzavano per la costruzione di opere pubbliche. Possediamo documenti su papiro risalenti alla XIX dinastia (1250 a.C. ca.) relativi all’impiego di schiavi, prigionieri di guerra e stranieri, dei quali si fissa la razione giornaliera di cibo. Questo lavoro forzato era difficile da tollerare per gente nomade, abituata alla libertà. È quindi probabile che venisse tentata la fuga. I testi dell’Esodo dicono inoltre che gli ebrei chiesero al sovrano di lasciarli andare nel deserto per celebrarvi una festa (cfr. Es 5,1). Si tratta del sacrificio pasquale di primavera. La risposta negativa delle autorità spinse gli israeliti alla fuga.

Le componenti alla base dell’Esodo sarebbero quindi due: la schiavitù e il culto. I clan ebraici poiché l’autorità egizia non li lasciava liberi di praticare i riti ancestrali, e stanchi delle dure condizioni di lavoro, decisero di fuggire nel deserto. Gli egizi non potevano restare indifferenti di fronte alla scomparsa di questa manodopera a buon mercato e li inseguirono (Es 14,5-8). Gli ebrei, vedendosi perduti, gridarono verso Mosè (Es 14,10). Ciò che accadde in quel momento non si saprà mai. Certo è che i fuggitivi fecero esperienza di una liberazione insperata, che diede avvio a una nuova fase della loro esistenza. Questo è lo schema che sta alla base delle amplificazioni leggendarie e cultuali che, col passare dei secoli, arricchirono la narrazione primitiva di quella esperienza. Va anche detto che i gruppi ebraici erano importanti ma non al punto da far uscire alla loro ricerca l’intero esercito del faraone. Che alcuni distaccamenti di frontiera si lanciassero all’inseguimento è probabile, ma niente di più. Le dimensioni dell’avvenimento furono senza dubbio modeste, ma per chi visse questo evento si trattò di una liberazione straordinaria.

Dopo il passaggio del mare, Israele entrò nel deserto e si diresse verso il monte Sinai. Questo monte è indicato con nomi diversi nelle tre principali fonti del Pentateuco: la tradizione più antica, la Jahwista, lo chiama Sinai, invece la Elohista e la Deuteronomista lo chiama Horeb. È certo, sulla base di un confronto delle fonti del Pentateuco, che Sinai e Horeb si identificano.

Gastone Boscolo