Domenica XII del tempo ordinario

Toccare il Signore che ci incontra

Vangelo di Marco 5, 21-43

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Due miracoli compongono il lungo racconto del Vangelo e che l’evangelista Marco mette assieme con un procedimento possiamo dire a incastro. Qualcuno ha definito il vangelo di oggi una marcia trionfale verso la vita. Due miracoli che avvengono dopo due incontri: il primo con una donna che soffre una penosa malattia rivelatasi inguaribile e il secondo con Giairo, il capo della Sinagoga. Due scene forti e drammatiche.

Il tema attorno al quale ruota il duplice incontro è la fede.

Nella prima scena Marco racconta che mentre il Maestro cammina in direzione della casa di Giairo, una donna “che da dodici anni era affetta da emorragia” (vv. 25-26) ha l’audacia di avvicinarsi al Signore, e di toccarlo, sfidando le proibizioni dovute alla sua impurità rituale e sociale. La donna non solo si scopre finalmente guarita, ma anche salvata: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” (v. 34).

Il secondo episodio mette in luce la fede del capo della Sinagoga, che dapprima chiede al Maestro, gettandosi ai suoi piedi, che sua figlia venga salvata e poi, nonostante gli venga riferito che sua figlia è morta, continua, sulla Parola di Gesù, a credere e a fidarsi di Lui.

Le due vicende non riguardano esclusivamente una guarigione fisica, bensì la certezza che non si è mai soli nel viaggio della vita, soprattutto quando si è messi davanti alla propria impotenza e debolezza. La richiesta incessante della donna di potersi avvicinare a Gesù e di toccargli almeno il lembo del mantello; la preghiera disperata e, nello stesso tempo, fiduciosa di Giairo e dei suoi familiari per la figlia gravemente ammalata, spingono a cercare Dio per sentirlo vicino nella sofferenza e negli istanti bui dell’esistenza.

Quanto è vero anche per noi tutto questo: qualsiasi sofferenza, ansia, non va mai vissuta da soli, ma va condivisa con il Signore e redenta dalla sua storia. In Dio infatti ogni pena, nostra o di altri, può essere trasformata in un nuovo sentiero di gioia e pace.

Noi Dio non lo possiamo toccare. E’ Lui che ci tocca continuamente e ci prende per mano: la fede fa incontrare e guarisce, salva e vince anche la morte.

Il vangelo di oggi ci dice che la fede vera nel Signore non si ferma ai miracoli, ma ci porta a toccare Gesù e ad essere da lui presi per mano riconoscendolo Risorto e Signore che dà la vita. Per essere fede autentica e non solo un effimero slancio del cuore, non può essere un fatto di breve durata, ma adesione salda e perseverante, soprattutto di fronte alle contraddizioni più gravi della vita. Sostenuti da questa fede non possiamo temere nulla: purchè, con cuore sincero, desideriamo e cerchiamo il contatto e la relazione, il rapporto con Lui per venire purificati, guariti e santificati.

Le guarigioni che Gesù compie diventano segni che significano che Dio è il Dio dei viventi e non dei morti, è il Dio che fa trionfare la vita e che preserva l’esistenza delle sue creature. Mi piace pensare, attraverso questi episodi narrati da Marco, a quanto il Signore Gesù ami la vita, Lui che accetta di essere segno e tramite dell’amore del Padre che va oltre la malattia e la morte!

“Non temere, soltanto abbi fede!” Il Signore lo ripete anche a noi. E’ un chiaro invito a non scoraggiarci, a non lasciar perdere quando tutto sembra finito. La volontà di Dio è che abbiamo la vita, quella vera. La fede vera non detta mai le condizioni a Dio, soltanto si affida a Lui con un cammino, spesse volte faticoso, che comporta il passaggio dall’incredulità alla fede.

Due miracoli compongono il lungo racconto del Vangelo e che l’evangelista Marco mette assieme con un procedimento possiamo dire a incastro. Qualcuno ha definito il vangelo di oggi una marcia trionfale verso la vita. Due miracoli che avvengono dopo due incontri: il primo con una donna che soffre una penosa malattia rivelatasi inguaribile e il secondo con Giairo, il capo della Sinagoga. Vengono presentate a Gesù due scene forti e drammatiche.

Diciamo subito che il tema attorno al quale ruota il duplice incontro è la fede.

Nella prima scena Marco racconta che mentre il Maestro cammina in direzione della casa di Giairo, una donna “che da dodici anni era affetta da emorragia” (vv. 25-26) ha l’audacia di avvicinarsi al Signore, e di toccarlo, sfidando le proibizioni dovute alla sua impurità rituale e sociale. E la donna non solo si scopre finalmente guarita, ma anche salvata: “Figlia, la tua fede ti ha salvata” (v. 34).

Il secondo episodio mette in luce la fede del capo della Sinagoga, che dapprima chiede al Maestro, gettandosi ai suoi piedi, che sua figlia venga salvata e poi, nonostante gli venga riferito che sua figlia è morta, continua, sulla Parola di Gesù, a credere e a fidarsi di Lui. Le due vicende non riguardano esclusivamente una guarigione fisica, bensì la certezza, la fede ce lo dice, che non si è mai soli nel viaggio della vita soprattutto quando si è messi davanti alla propria impotenza e debolezza. Infatti l’agire e la richiesta incessante della donna di potersi avvicinare a Gesù e di toccargli almeno il lembo del mantello, la preghiera disperata e, nello stesso tempo, fiduciosa di Giairo e dei suoi familiari per la figlia gravemente ammalata, spingono fortemente a cercare Dio per sentirlo vicino nella sofferenza e negli istanti bui dell’esistenza.

Quanto è vero anche per noi tutto questo: qualsiasi sofferenza, ansia, non può mai essere divisa, solamente, con se stessi, ma condivisa, con il Signore e redenta dalla sua storia. In Dio infatti ogni pena, nostra o di altri, può essere trasformata in un nuovo sentiero di gioia e pace.

Noi Dio non lo possiamo toccare. E’ Lui, invece, che ci tocca continuamente e ci prende per mano: la fede fa incontrare e guarisce, salva e vince anche la morte.

Il vangelo di oggi ci dice, inoltre, che la fede vera nel Signore non può rimanere ferma ai miracoli, essa ci porta a toccareGesù e ad essere da lui presi per mano riconoscendolo Risorto e Signore che dà la vita. Essa, per essere fede autentica e non solo un effimero slancio del cuore, non può essere un fatto di breve durata, ma adesione salda e perseverante, soprattutto di fronte alle contraddizioni più gravi della vita. Sostenuti da questa fede non possiamo temere nulla: è sufficiente che, con cuore sincero, desideriamo e cerchiamo il contatto e la relazione, il rapporto con Lui per essere davvero purificati, guariti e santificati.

Le guarigioni che Gesù compie non sono fine a se stesse ma segni che significano che Dio è il Dio dei viventi e non dei morti, è il Dio che fa trionfare la vita e che preserva l’esistenza delle sue creature. Mi piace pensare, attraverso anche questi episodi narrati da Marco, a quanto il Signore Gesù ami la vita, se accetta di essere il segno e il tramite dell’amore del Padre che va oltre la malattia e la morte!

“Non temere, soltanto abbi fede!” Il Signore lo ripete anche a noi. E’ un chiaro invito a non scoraggiarci, a non lasciar perdere quando tutto sembra finito perché la volontà di Dio è che abbiamo la vita, quella vera. La fede vera non detta mai le condizioni a Dio, soltanto si affida a Lui con un cammino, spesse volte faticoso, che comporta il passare dall’incredulità alla fede.

Don Danilo Marin