Comprendere la Bibbia - 48

Israele, una società multilingue

Facebooktwitterpinterestmail

Prima della deportazione a Babilonia la lingua parlata dai discendenti di Abramo era l’ebraico. Giunti in Babilonia, gli esiliati della Giudea dovettero imparare la lingua locale che era l’aramaico, una lingua semita simile all’ebraico. Quando i primi esiliati fecero ritorno in patria (538 a.C.) erano pochi quelli che parlavano ancora l’ebraico, anche se questa rimaneva la lingua usata per la preghiera e la lettura delle Scritture. L’aramaico nell’antico Vicino Oriente divenne la lingua franca utilizzata nei commerci. Quattrocento anni dopo era ancora una lingua molto comune nella parte del mondo dove viveva Gesù.

All’epoca di Gesù i dominatori del mondo mediterraneo erano i Romani, ma la lingua internazionale era divenuta il greco, perché le conquiste di Alessandro Magno, avvenute tre secoli prima, avevano esteso la cultura greca in tutto quello che era stato il suo impero. Normalmente si tende ad associare ai Romani la lingua latina e quasi certamente i Romani, tra di loro, parlavano una forma di latino colloquiale che – a detta dei linguisti – era molto più semplice del latino classico che ha fatto sudare generazioni di studenti. Tuttavia, anche Roma aveva bisogno del greco per amministrare le province che formavano il suo impero. Era l’unica lingua capita da tutti ed è questa la ragione per la quale il Nuovo Testamento fu scritto in greco. Pilato compose l’iscrizione che poi fu appesa alla croce di Gesù in latino, greco ed ebraico (foto). Probabilmente durante il processo di Gesù parlò in greco.

Si può dare per assodato che Gesù e i suoi compatrioti parlassero aramaico in pubblico e abbastanza spesso, tra di loro, in ebraico. Con gli stranieri parlavano greco, quelle rare volte che i Giudei accettavano di parlare a non Giudei. Indubbiamente conoscevano il latino più di quanto non fossero disposti ad ammettere di fronte agli odiati romani, e probabilmente ci prendevano gusto a far finta di non capire.

La linguistica è importante per capire e approfondire il messaggio della Bibbia. Nessuna traduzione, per quanto ben fatta, rende giustizia all’originale. Il detto traduttore = traditore è profondamente vero. Essere in grado di capire l’ebraico e il greco permette di migliorare la comprensione della Bibbia. Le parole ebraiche sono generalmente formate da una radice verbale di tre lettere che esprimono un’idea base. Questa radice di tre lettere può essere usata per costruire molte altre parole in qualche modo collegate con il significato base della radice (ad esempio: essere grande, grandezza, torre). La lingua ebraica non è particolarmente ricca ed è soprattutto povera di aggettivi e sinonimi. Una stessa parola può corrispondere a due o tre parole greche o italiane. Il greco invece possiede un vocabolario ricchissimo e tutta una serie di preposizioni, prefissi, tempi verbali che indicano sottili distinzioni di significato per una stessa parola o forma verbale, e che consentono una grande precisione di espressione.

Va notata un’ultima cosa, nella società politeistica in cui vivevano coloro che scrissero la LXX (Bibbia alessandrina) e il Nuovo Testamento non c’era alcuna difficoltà a trovare termini greci per esprimere i concetti religiosi ebraici. L’unico problema era che il termine greco poteva essere associato al sistema idolatrico da cui aveva avuto origine. Magari si trattava di un termine perfettamente adeguato, ma allo stesso tempo era facile che perdesse una qualche sottile sfumatura propria del sistema monoteistico ebraico che rappresentava.

Gastone Boscolo