RIFLETTENDO SUL VANGELO - DOMENICA DELLE PALME - ANNO B

Davvero quest’uomo è Figlio di Dio

LETTURE:  Is 50,4-7; Sal 21; Fil 2,6-11;   Mc 14,1-15,47

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Con la domenica delle palme entriamo nella Settimana Santa. L’unica di tutto l’anno liturgico che gode del privilegio di essere chiamata “santa”. La Chiesa si ferma stupita a meditare sulla misura dell’amore di Dio facendoci vivere in tempo reale gli ultimi giorni della vita di Gesù: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3, 16).

Era prassi iniziare questa Settimana con la benedizione dei rami d’ulivo e con una processione, per far memoria dell’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Quest’anno, a causa della pandemia, purtroppo non sarà possibile la processione con i rami d’ulivo segno di gioia e di festa, perché il popolo aveva trovato in Gesù il suo re e messia. Tuttavia porteremo un ramoscello benedetto nelle nostre case, come ricordo di Cristo vincitore della morte e come segno manifesto della volontà di rimanere uniti a Lui. Portare a casa l’ulivo benedetto non è gesto di magia, ma espressione di fede che riconosce Gesù come nostro Salvatore. La liturgia della Parola di questa domenica è dominata dal racconto della Passione del Signore. La narrazione è affidata, quest’anno, all’evangelista Marco (14, 1-15,47). In questo racconto sfilano come in una sofferta rassegna tanti personaggi di questo dramma. E’ una sequenza triste che, in fondo, ci rappresenta.

Ecco perché la lettura del racconto della Passione dobbiamo cercare di viverla non soltanto come un ricordo di un fatto storico che risale a duemila e più anni fa, ma come un evento di oggi che avviene per noi e in cui siamo personalmente e profondamente coinvolti.

Gesù entra nella Città santa per affrontare l’ora della sua Passione: sarà “consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà” (Mc 9, 31). Allora vale la pena domandarci: cosa ci insegna la Croce?

Ascoltando il racconto della passione, non è necessario fare tante riflessioni o spendere troppe parole. Penso risulti più utile contemplare ciò che si racconta, cercando di cogliere il grande amore che ha spinto quell’Uomo ad abbassarsi cosi tanto e lasciarsi crocifiggere.

In questa contemplazione mi viene rivelata la potenza di Gesù che si manifesta nella sua impotenza. Essa mi dice che la sua regalità non si manifesta nel dominio o nella forza, ma nell’amore, e, ancor più, in un amore comunicato e donato. Il Figlio appeso alla Croce svela veramente il volto d’amore del Padre. Morire così, morire d’amore, è cosa da Dio: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 13).

Il racconto della Passione ci chiede non solo di ricordare, ma soprattutto di partecipare. Sarebbe troppo facile commuoverci davanti al Crocifisso senza che poi nulla cambi nella nostra vita personale.

Possiamo chiederci: io che tipo di sguardo ho nei confronti di quell’Uomo? Forse sono anche io uno dei tanti passanti che scuotono il capo, si battono il petto e poi… se ne tornano alla loro banale vita? Il centurione e il ladrone del racconto della Passione ci danno tante lezioni sulla capacità di vedere, incontrare Dio davanti al Crocifisso. Volgiamo, allora, lo sguardo a Colui che è morto in Croce per noi, dichiariamoci vinti dal suo amore e ricambiamolo vivendo ogni giorno il suo messaggio di amore, di perdono e di servizio.

Solo quando il silenzio di Gesù è giunto al culmine, solo quando diventa il silenzio della morte, solo quando Gesù resta sulla croce fino a morirvi, solo quando spira, rimettendo, in un atto di suprema obbedienza e di suprema fiducia, il suo spirito al Padre: solo in quel momento qualcosa cambia nel nostro cuore, solo allora la nostra voce, le nostre labbra acquistano la capacità di confessare, di credere, di riconoscere in quest’uomo torturato, ucciso, inerme, impotente e di affermare come il Centurione: “Davvero quest’uomo era Figlio di Dio” (15, 39).

don Danilo Marin