sguardo pastorale

Della gioia e della croce

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Mi chiedo cosa mi stia donando questa quaresima. Se mi ascolto dentro sento che devo vincere alcuni timori e una certa sfiducia che come tutti provo in questo nuovo tempo di restrizioni. A distanza di un anno la sensazione è che siano pochi i passi che abbiamo fatto per uscire insieme da questa pandemia. Non mi scoraggia essere ancora in mezzo al guado perché la situazione sanitaria non si presentava facile da gestire e da superare sin dall’inizio, sebbene volessi credere ad una soluzione più rapida. Mi scoraggia, invece, toccare con mano ancora un forte individualismo che continua a compromettere la salute e la libertà di tutti, mentre è palese che come siamo tutti sulla stessa barca solo insieme supereremo questa prova.

Allora mi è più chiaro, in questa quaresima, che il compito, in modo più assoluto necessario, e che non possiamo tralasciare o abbandonare è quello di essere seminatori di speranza. E questa è una grande responsabilità che il Vangelo ci affida. Non siamo estranei a niente in questo mondo, dalle fatiche ai dolori alle sofferenze, dalla ricchezza alla povertà, dalla gioia per una meta raggiunta al sorriso per una frivolezza, dall’amore all’indifferenza, dalla sapienza alla stoltezza, dalla rettitudine alla scorrettezza. Ma continuiamo a non essere estranei nemmeno dal continuo sguardo amorevole di Dio che per noi vive di un amore fedele. Non siamo estranei dalla sorpresa che questo provoca nella nostra vita. Così la vergogna che proviamo per i nostri sbagli è sanata dalla gioia che nasce di fronte a questa sorpresa. Tradire il compito di seminare speranza nel mondo, perché travalica da un cuore che ha conosciuto la debolezza della fragilità ma anche la forza di una fiducia che non viene meno, significa tradire la ragione della nostra fede.

Dalla croce, che è segno di un amore fedele fino all’ultimo, nasce la gioia per una vita nuova e scaturisce la speranza che porta luce nei cuori, nella vita, nella storia. Se chiudiamo la bocca alla speranza, soffochiamo la gioia e rinneghiamo la croce, cioè voltiamo la faccia a Colui che ci ha amato. Quante volte questo è già capitato ad ognuno di noi quando abbiamo dato per scontato questo amore, quando abbiamo avuto più fiducia di noi stessi che della gratuità di questo dono, quando ci siamo consumati per progetti superflui e abbiamo rinnegato la responsabilità che viene dalla nostra libertà.

In settimana celebreremo la Giornata dei Missionari Martiri che quest’anno ha come slogan “Vite intrecciate”. La croce di Cristo che ci salva, e ci libera, ci chiede di prenderci la responsabilità di questa libertà assumendo atteggiamenti e comportamenti che non chiudano la porta alla speranza che viene da Lui per tutti. La scelta di essere uomini e donne di speranza avrà il suo peso e il nostro martirio “bianco” oggi, la nostra testimonianza di Cristo, è sentirci intrecciati agli altri. Come la croce ha le braccia aperte sull’umanità, così quell’amore sorprendente ci educa ad incrociare sguardi, a sostenerci gli uni gli altri, a consolare i cuori.

don Simone Zocca