RIFLETTENDO SUL VANGELO - XXiX DOMENICA T. O. - ANNO A

Il primato di Dio e il rispetto per l’uomo

LETTURE: Is 45, 1. 4-6; Sal.95; 1 Ts 1, 1-5; Mt 22, 15-21

Mt22_15-21
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Nel Vangelo di oggi (Mt 22, 15-21), continua la disputa con i farisei ed i dottori della legge che vogliono togliere di mezzo l’ostacolo che Gesù rappresenta con la sua sola esistenza. Nel vangelo troviamo l’ennesimo tranello teso a Gesù, uomo molto scomodo a quel tempo, che con pacatezza non le manda di certo a dire a sacerdoti, farisei e dottori della legge. Viene messo alla prova con una questione di denaro, cioè il tributo all’imperatore Cesare. Sembrano voler ridurre la questione della fedeltà a Dio a una questione di tasse, come se pagare o meno il tributo all’occupazione romana misurasse la fedeltà a Dio. Gesù è apparentemente in un angolo perché se risponde che bisogna pagare ciò significa che appoggia l’occupazione romana che per i farisei rende impuri verso Dio; se invece dice di non pagare allora rischia davvero di essere arrestato come sovversivo.

I farisei avevano capito molto bene che la parabola dei vignaioli omicidi (vangelo di domenica scorsa) era rivolta a loro e si alleano addirittura con gli erodiani, che la pensavano diametralmente all’opposto per tendere un tremendo tranello a Gesù. I farisei erano scrupolosi osservanti della legge e consideravano l’occupante romano un usurpatore dei loro diritti. Invece gli erodiani erano naturalmente favorevoli a Erode e vedevano di buon occhio l’occupazione romana. Come queste due categorie in netto contrasto tra di loro, si accordassero perfettamente per tendere quel tranello a Gesù è davvero incomprensibile al solo scopo di intrappolare Gesù.

Con la risposta che Gesù dà, dopo essersi fatto portare una moneta, “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (v.21), espone, in maniera lapidaria e brillante, il principio fondamentale della relazione del cristiano nei confronti dell’autorità civile. Gesù, certamente, non ha voluto separare Cesare e Dio, l’impegno civile da quello religioso, lo Stato dalla Chiesa. Gesù vuole sì distinguere Cesare e Dio, ma non vuole metterli su due piani paralleli. L’aggiunta di Gesù di rendere a Dio ciò che è di Dio, dice che la fede cristiana non dispensa dall’obbedienza nei confronti dell’autorità civile in tutta la sfera delle relazioni politiche e sociali e riconosce la legittima autonomia di queste ultime.

Va ricordato che Gesù non si colloca su un livello politico, ma sposta il problema dalla polemica ideologica al livello religioso, dove ogni persona è impegnata a prendere le sue decisioni davanti a Dio e alla propria coscienza. In sostanza Gesù ci dice che c’è in ciascuno di noi un qualche cosa di grande di cui nessuno può disporre all’infuori di Dio.

Con la risposta di Gesù non viene offerta ai credenti una ricetta pronta per l’uso, come forse speravano coloro che lo avevano messo alla prova con la loro domanda, neppure Gesù ci dispensa dal rischio delle scelte difficili, ci ricorda, piuttosto, un criterio che deve regolare tutta l’attività politica e sociale: il primato di Dio, della verità, della coscienza e, nello stesso tempo il rispetto per l’uomo che Dio vuole misura di tutte le cose.

E’ interessante notare che Gesù non dice di dare a Cesare e a Dio, ma di rendere, cioè di restituire. All’epoca di Gesù, infatti, si pensava che la moneta era di proprietà dell’imperatore e colui che la faceva circolare l’aveva solo in prestito, così è, per così dire, della nostra vita – aggiunge Gesù – essa è di Dio e noi non ne siamo i padroni ma solo gli affittuari.

“L’autorità di Cesare è incisa sulla circonferenza della moneta, perché lì è la sua immagine. Il primato di Dio, invece, è inciso sul cuore dell’uomo, perché lui è la sua immagine. Il tesoro di Cesare sono le sue monete. Il tesoro del Dio vivente è il nostro cuore” (Seregni R.).

Non si può, per obbedire a Cesare, aggredire e offuscare quell’immagine e iscrizione di Dio che è impressa nell’uomo e segna tutta la sua vita.

In questa domenica celebriamo anche la Giornata Missionaria mondiale. Mi domando, alla luce del vangelo meditato, qual è per noi cristiani la testimonianza prima da dare al mondo di oggi?

Penso sia soprattutto questa: che noi non siamo i proprietari della nostra vita, ma che l’abbiamo ricevuta da Dio e dobbiamo restituirgliela un giorno, arricchita dall’amore e dalla giustizia che avremo saputo esprimere.

Don Danilo Marin