RIFLETTENDO SUL VANGELO - XXV DOMENICA T. O. - ANNO A

Una giustizia più grande

LETTURE: Is 55,6-9; Sal 144;  Fil 1,20c-27a;  Mt 20,1-16a

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La prima reazione, penso, dopo la lettura del brano del vangelo di questa domenica (Mt 20, 1-16), è quella di dire: non è giusto il modo di agire di “quel padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna” (v. 1). Faccio fatica, lo confesso, e, penso di essere in buona compagnia, ad accettare una parabola così disarmante. Mi sento anch’io di esprimere il mio disappunto se, come l’operaio della prima ora che aveva faticato sotto il sole per una giornata intera, mi trovassi ad essere trattato economicamente come quello che ha lavorato un’ora soltanto. Da che mondo è mondo, la giustizia umana è molto chiara: chi arriva prima e lavora di più, riceve di più; chi arriva per ultimo e lavora di meno, riceve di meno. Questo modo di pensare non è sbagliato. E’ anche vero, però, che questo principio elementare di equità non è rinnegato, nella parabola, dal padrone di casa. Egli, infatti, aveva pattuito con gli operai della prima ora la somma di un denaro ed è stato fedele alla sua parola. Semplicemente, ha deciso di elargire anche agli operai dell’ultima ora tanto quanto aveva dato a quelli della prima. Non è stato ingiusto verso gli operai della prima ora, ma è stato generoso verso quelli dell’ultima, proprio come afferma lui stesso, ai primi che si lamentavano: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?” (vv. 13-15).

Al di là della prima reazione molto umana, il brano del vangelo di questa domenica mi ha fatto riflettere, non poco. Nella mia vita di prete, infatti, mi sto convincendo sempre più che il vero problema non è quello di suscitare la fede o convincere qualcuno dell’esistenza di Dio, il vero problema è invece quello di scoprire e comprendere il vero volto del Padre che Gesù ci ha rivelato e continua a rivelarci con il suo insegnamento.

Gesù con questa parabola ci manifesta l’assoluta gratuità e libertà di Dio: libertà nel giudizio e nella valutazione, e gratuità nel dispensare i suoi beni.

Il vero problema, invece, è che corriamo il rischio di costruire con Dio un rapporto di tipo sindacale, dove la mia retribuzione è stabilita in base ad un merito. Questo lo era ai tempi di Gesù e lo è anche ora quando pensiamo che la salvezza si debba meritare, e che la fede sia una sorta di contratto fra dare e avere. Dobbiamo confessarlo che anche noi, spesso, ragioniamo in questa maniera. Dio, invece, ci invita a superare la giustizia e ad entrare nella sua logica che è ben più ampia. È un’altra la giustizia di cui parla Gesù, va più a fondo, supera la proporzionalità, porta gli ultimi al livello dei primi. Seguendo questa logica anche noi cristiani possiamo capire qualcosa di più di Dio e anche di noi stessi. Sì, certo, la giustizia è importante, ma seguendo la logica di Dio siamo chiamati ad andare oltre. Dio non ci ama se e quando lo meritiamo, Dio ci ama perché Lui è amore. Poveri noi se non fosse così! Certo che dobbiamo anche meritarlo, ma Lui ci ama per primo perché non può non amare. Gesù è morto in croce per noi infinitamente prima che noi nascessimo, quindi ci ha amati molto prima che noi fossimo in grado di meritare qualcosa. Dio ci ama perché è Padre e noi siamo il tesoro più prezioso che possiede. Noi possiamo anche allontanarci, ma Lui rimane sempre Padre e continuerà ad amarci e ad aspettarci. Il nostro Dio, dunque, è differente, non è un padrone che fa di conto e dà a ciascuno il suo, ma un signore che dà a ciascuno il meglio, che estende a tutti il migliore dei contratti. Un Dio la cui prima legge è che l’uomo viva. Non è ingiusto verso i primi, è generoso verso gli ultimi. Dio non paga, dona. (E. R.)

La logica di Dio  – per fortuna –  non è come la nostra. Il profeta Isaia ce lo ricorda: “… i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostra vie non sono le mie vie” (Is 55,8). E’ bello, allora, continuare a rivolgerci a Lui, con le parole che il celebrante pronuncia nella preghiera iniziale della Messa di questa domenica: “O Padre, giusto e grande nel dare all’ultimo operaio come al primo, le tue vie distano dalle nostre vie quanto il cielo dalla terra; apri il nostro cuore all’intelligenza delle parole del tuo Figlio, perché comprendiamo l’impagabile onore di lavorare nella tua vigna fin dal mattino”.

don Danilo Marin