2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88;  Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42

Seguire Gesù, sempre

RIFLETTENDO SUL VANGELO - XIII domenica del tempo ordinario - ANNO A

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Oggi, nel Vangelo, leggiamo i versetti conclusivi (10, 37-42) del discorso di Gesù, chiamato ‘missionario’ o ‘apostolico’ e che occupa tutto il capitolo decimo del vangelo di Matteo.

Per comprendere le scelte che il Maestro domanda ai suoi penso sia molto utile rileggere tutte le espressioni che Gesù rivolge ai Dodici che da qualche tempo aveva chiamato e che condividevano la vita con Lui, prima di inviarli in missione. Gesù si mostra molto esigente nell’indicare le condizioni necessarie per compiere con frutto la loro missione: essi devono amare Lui più delle persone care (il padre, la madre, i figli); devono essere disposti a seguirlo sul cammino della croce, cioè del sacrificio della propria vita; essere capaci di mettere la propria vita al secondo posto rispetto a Gesù e considerare Lui e il suo Regno più importanti di se stessi.

Prima di tutto Gesù domanda un’adesione totale e indivisibile alla sua persona e chiede perfino di non porre nulla al di sopra di Lui, neppure gli affetti più cari. Con questo non voleva certamente squalificare o deprezzare le relazioni all’interno della famiglia per privilegiare la relazione con Dio, tutt’altro; Gesù fa capire, invece, che la relazione dei suoi discepoli tra loro e con Lui deve essere più intensa e più forte anche di quella che si sperimenta in famiglia.

Un’ ulteriore condizione è quella di accettare la croce e di portarla dietro a Lui. Anche qui, Gesù non chiede semplicemente di ammirarlo in questa scelta, ma propriamente di seguirlo. Non è un invito a cercare le sofferenze ma ad accettare la croce, come Lui l’ha accettata, perché questo aiuta a cogliere il senso dei momenti difficili, delle piccole o grandi croci di ogni giorno disseminate sul nostro cammino insegnandoci a vivere anche i momenti più difficili con fede e amore. Inoltre l’accettare e portare la croce, oltre che dare un significato alle croci di ogni giorno, ci sprona anche a far morire tutte quelle scelte e quegli atteggiamenti dettati dall’egoismo e dall’individualismo che certamente non sono fecondi di vita e che non giovano né a noi né agli altri.

Infine la terza condizione dettata dal Maestro è espressa con queste parole: “chi avrà trovato la sua vita, la perderà; e chi avrà perduto la sua vita a causa mia, la troverà” (v. 39).  La vita cristiana – ci ricorda Papa Francesco – non è una vita autoreferenziale: è, invece, una vita che esce da se stessa per darsi agli altri. È un dono, è amore, e l’amore non torna su se stesso, non è egoista: si dà. In questo vangelo Gesù disegna, così, il profilo dell’apostolo, del missionario e lo stile che lo deve caratterizzare. Egli è una persona mandata in gratuità e povertà, soprattutto capace di portare la croce e di offrire la propria vita per trovarla piena. Solo così un apostolo incarna, per così dire, il volto del Maestro e diventa credibile: “chi accoglie voi accoglie me e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato” (v. 40).  In altre parole Gesù si fida così tanto di un cristiano da renderlo capace di rappresentarlo per far intravvedere anche agli altri la strada per la comunione con Dio.

Il sentirci chiamati e inviati è il modo concreto per ciascuno di noi di essere discepoli e seguaci di Gesù. Essere cristiani e quindi missionari significa, in fondo, testimoniare con la vita che abbiamo incontrato Gesù, che il suo modo di vivere ci ha entusiasmati, convinti e che vogliamo vivere come Lui. Questo lo viviamo ogni giorno (in famiglia, sul posto di lavoro, con gli amici): sempre siamo chiamati a fare scelte che vanno nella direzione di decidere se fidarci di Dio o solo di noi stessi, se sacrificarci per gli altri o no. Se ci venisse chiesto all’improvviso: chi è il cristiano? la nostra risposta dovrebbe essere immediata: è uno che si è lasciato sedurre da Gesù ed è disposto a seguirlo sempre e comunque.

don Danilo Marin