Sguardo Pastorale

Cristiani senza gambe

zanardi
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Mentre scrivo queste righe il campione paraolimpico Alex Zanardi sta ancora lottando tra la vita e la morte in una sala di rianimazione dell’ospedale senese nel quale è stato ricoverato dopo il grave incidente durante la staffetta di handbike. Ed è proprio la sua vicenda e lo spirito con il quale Alex ha saputo risollevarsi dal primo grave incidente (che lo ha reso un uomo senza gambe) a portarmi a fare una riflessione – in altro ambito e anzi per opposto – su come siamo cristiani senza gambe e uomini a metà perché alla fin fine sappiamo vivere di recriminazioni e non di soddisfazione.

Chiediamo a Dio perché sia successo questo o quello, gli chiediamo come mai ci sia qualcuno che debba soffrire più di altri e ora lo facciamo pensando a quest’uomo segnato già da una tragedia personale che la maggior parte di noi non avrebbe superato con la stessa capacità. Riteniamo Dio sempre il responsabile ultimo a cui dover chiedere spiegazioni. Come ricordano alcuni articoli scritti su di lui, Zanardi ha riscoperto la sua fede proprio sul letto del dolore, dopo l’incidente automobilistico che lo ha menomato, e ce lo immaginiamo anche adesso in dialogo con Dio a fargli chissà quante domande, in coma, nel suo letto di ospedale. Perché Zanardi, pur senza le gambe, non si è mai sentito un uomo a metà ma sempre una persona completa, unica, intera e felice.

Quante volte, invece, noi ci chiediamo il motivo di quello che ci accade non rendendoci conto che spesso sono sottigliezze e ci sentiamo così infelici. Quante volte pur essendo interi ci sentiamo frantumati in mille pezzi? Quanto spesso ci sentiamo sperduti e senza una direzione verso cui camminare? Abbiamo le gambe eppure rimaniamo immobili ad annegare tra i nostri “perché” e le nostre paure. Questo ci deve far riflettere su quante volte capiti di dimenticarci di riaccendere il cuore e riprendere tra le mani la nostra vita ringraziando per gli istanti che ci sono donati ed affidarci a Dio unico vero collante che tiene insieme i nostri pezzi. Proprio domenica mattina, alla messa, Gesù ci ricordava che non dobbiamo temere di abbandonarci a Lui perché è questo Padre ai cui occhi siamo unici.

«Non aver paura di Dio» significa non aver paura di servirlo, di ascoltarlo, di capirlo, di rispondergli. Abbandonarsi a Lui significa credere in ciò che lo Spirito Santo può fare in noi e con noi. Perciò diventare suoi apostoli significherà essere persone che avranno trovato la gioia di annunciare il vangelo nella condizione in cui si trovano. Ma tra il dirlo e il farlo c’è di mezzo quella metà di noi di cui ci sentiamo sempre defraudati dal ladro di turno, che continuiamo ad additare in chi ci è a fianco o ci sta davanti, ma non ci rendiamo conto che è solo un meccanismo di difesa per nasconderci alle nostre fragilità e alla nostra inerzia. Siamo noi ladri di noi stessi, perché preferiamo puntare il dito e lamentarci piuttosto che scommettere su quella felicità che potremmo trovare abbandonandoci veramente alla nostra vita dove Dio ci attende da sempre. Si può essere cristiani senza gambe, cioè discepoli di Cristo che riconoscono di non poter far niente senza le ali dello Spirito Santo, ma non possiamo permetterci di sentirci uomini a metà perché significherebbe non credere che Lui può farci sentire interi e felici nonostante le nostre infermità.

don Simone Zocca