sguardo pastorale

Sindrome della capanna o anche del divano?

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A poco più di un mese dalla ripresa delle celebrazioni in presenza di popolo e di una certa programmazione pastorale in vista dell’estate con l’intento di recuperare le fila delle nostre comunità parrocchiali a partire dai più piccoli e dalle famiglie, non si nota questa corsa al ritorno della normalità. Ricordo la preoccupazione di molti di noi, preti e laici, di trovarci nella situazione di lasciare qualcuno fuori dalla chiesa per insufficienza di posti disponibili e allora ci siamo ritrovati con il metro in mano e la piantina dell’edificio per spuntarla il più possibile sulla capienza che avremmo potuto garantire nel rispetto delle norme. Ma questo gran ritorno non è avvenuto, come lo sognavamo, complice anche il fatto che ormai siamo in estate. Mi chiedo però se si tratta solo di questo, cioè di quello svuotamento della chiesa che si registrava sempre con il termine dell’anno scolastico o se ci sia altro. Gli esperti parlano della sindrome della capanna che determina in chi ha vissuto un prolungato e forzato isolamento il timore di uscire e tornare ad abitare i luoghi della socialità. Devo dire che è una sindrome reale perché è reale anche in me una certa diffidenza a ritornare a frequentare luoghi affollati. Ma ho il sospetto che ci sia ben dell’altro e credo di essere in buona compagnia.

Papa Francesco, in tempi non sospetti, nel discorso pronunciato ai giovani durante la veglia per la giornata mondiale della Gioventù a Cracovia nel 2016 dice: “Ma nella vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la felicità con un divano. Sì, credere che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa senza affaticarci né preoccuparci. La “divano-felicità” è probabilmente la paralisi silenziosa che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù”.

Aggiungo che la sindrome del divano colpisce chiunque e a tutte le età e spesso, quando si manifesta, non rivela altro che le convinzioni di fondo della persona. Per cui ora che possiamo darci da fare per una ripresa qualcuno non vede più la strada e non freme nel tornare ad abitare gli spazi di prima. Non voglio trascurare o giudicare superficialmente il peso del timore avvertito da alcuni ma non voglio nemmeno far finta di non vedere che è emerso nella sua chiarezza un problema che caratterizza da molto tempo le nostre parrocchie: nel complesso non sono comunità capaci di lanciarsi a vivere la realtà dei segni che costituiscono l’esperienza religiosa. Manchiamo, cioè, di quell’entusiasmo che dovrebbe, ora, portarci a “rompere tutti gli specchi” di casa, per usare una recente espressione del Papa, e farci uscire per vivere dell’annuncio gioioso del Vangelo. Lasciamoci guidare con fiducia da Colui che ci ha condotti fino a qui, non temiamo di riconoscere le nostre fragilità e vedremo chiaramente che abbiamo la nuova possibilità di rimetterci in gioco con sentimenti e desideri più autentici.

don Simone Zocca