COMPRENDERE LA BIBBIA / 2

Eva

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Eva – in ebraico Hawwa – è il nome dato alla prima donna da Adamo (Gen 3,20). Il termine deriva probabilmente dall’ebraico Hay (= vivente), di qui la traduzione suggerita dall’autore sacro: madre di tutti i viventi. Il nome riportato nel racconto che sigla l’inizio del libro della Genesi valorizza il suo ruolo di aiuto perfettamente confacente al suo compagno: La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tratta (Gen 2,23). La giustificazione con il “perché” si spiega per il fatto che in ebraico donna deriva dal termine uomo con l’aggiunta del suffisso femminile: ish = uomo, issha = donna. L’assonanza ed equivalenza dei termini presuppone l’equivalenza degli esseri che i termini designano.

Dato che la Bibbia ha uno scopo religioso e non scientifico, la figura di Eva non rappresenta la progenitrice unica del genere umano in senso scientifico (paleontologico), così come Adamo non ne rappresenta il progenitore. I racconti biblici relativi alla creazione dell’uomo e della donna forniscono però altre indicazioni molto profonde circa il rapporto uomo-donna. Il racconto che apre il libro della Genesi (racconto sacerdotale, VI sec. a.C.) narra che Dio creò l’uomo (âdâm = l’umanità) maschio e femmina, li benedì e affidò loro l’ordine di popolare la terra, di regnare su di essa e su tutte le creature che la abitano (Gen 1,27-28). Nell’atto creatore non viene fatta nessuna distinzione fra maschio e femmina, viene così sottolineata la parità dei sessi. Il linguaggio più immaginoso del secondo racconto (racconto jahwista, IX sec. a.C.), dove il Creatore viene presentato nell’atto di trarre la donna da una costola dell’uomo (Gen 2,21), conferma l’uguaglianza delle loro nature e sottolinea l’unità e complementarità della coppia umana. Un passo del Talmud (= commentario rabbinico della Bibbia) sottolinea molto bene questo aspetto: Dio non ha creato la donna dalla testa dell’uomo perché lo comandasse, né dai suoi piedi perché ne fosse la schiava, ma dal fianco di lui per essere uguale, un po’ più in basso del braccio per essere protetta, e dal lato del cuore per essere amata. Il rapporto uomo-donna non è di subordinazione, ma un rapporto di amore e collaborazione reciproca.

Il racconto del peccato originale non attribuisce certo una parte lusinghiera alla donna che vie-ne presentata come intermediaria del tentatore, ma nemmeno il ruolo dell’uomo è edificante perché, colpevole tanto quanto la compagna, cerca di scusarsi accusandola di averlo spinto alla disobbedienza (una sorta di scarica barile). Dopo l’espulsione dal giardino di Eden e la perdita dei privilegi che Dio aveva concesso all’umanità, Eva, come Adamo, viene condannata a subi-re le conseguenze della caduta: la morte, le difficoltà della vita, e fra queste all’indirizzo della donna vengono sottolineate le gravidanze, i dolori del parto, il richiamo dei sensi e il dominio dell’uomo. Tuttavia, la condanna emessa da Dio contro il serpente rende la donna il tramite della salvezza. Nella lotta che contrapporrà l’umanità al male, il trionfo finale viene promesso alla stirpe di lei: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno (Gen 3,15). L’esegesi, a partire dai Padri della Chiesa, ha interpretato questa affermazione come il primo annuncio del vangelo. Maria, madre di Cristo nuovo Adamo, nella prospettiva cristiana diventa la nuova Eva che genera il vincitore di questo combattimento.

L’autore dell’Apocalisse scorge un’Eva simbolica nella donna coronata di stelle in lotta con il drago – evocazione chiara del serpente della Genesi – (Ap 12): come l’Eva peccatrice ha le doglie e il travaglio del parto, ma come l’Eva nuova dà alla luce il Messia. L’immagine di Eva traluce quindi dal primo all’ultimo libro della Bibbia.

(2. segue)

Gastone Boscolo

(Nella foto: particolare dalla Cappella Sistina)