sguardo pastorale

Le parole della vocazione

Vocazione
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Il messaggio del Papa per questa 57ª  Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni riprende le quattro parole su cui il Pontefice si era soffermato l’anno scorso nella sua Lettera ai sacerdoti: gratitudine, coraggio, fatica (anziché dolore) e lode. Colgo lo spunto per proporre una mia riflessione su queste quattro parole che potremmo cogliere, nella loro descrizione, come le quattro colonne della vita di qualsiasi battezzato che si lascia modellare dal Vangelo. La gratitudine, innanzitutto, per un incontro: quello con il Risorto. È il sentimento che un cristiano non può reprimere o misconoscere perché nasce dall’esperienza centrale della sua fede e rappresenta la spinta interiore di una prima forma di risposta alla vocazione alla vita cristiana. La gratitudine, infatti, è la spinta della generosità che si apre alla relazione con Dio. L’incontro con Cristo Risorto che viene ad illuminare il buio dei dubbi e delle nostre paure, indicando la rotta sicura della nostra vita, è l’incontro con Dio che non abbandona mai i suoi. All’inizio dell’avventura cristiana c’è l’incontro con Lui, ma il primo passo è un sentimento che sgorga inarrestabile dal cuore umano. I vangeli di queste prime domeniche di Pasqua ci pungolano proprio sull’autenticità che possiamo attribuire alla nostra fede: di quali segni abbiamo ancora bisogno? Vogliamo vedere e toccare, ma il nostro cuore è disposto ad abbandonarsi? I nostri riti dicono la gioia della risurrezione, ma il nostro cuore è sgombero dalle delusioni che continuano ad incupirci? Il coraggio, allora, di affrontare quelli che sono i nostri fantasmi ci renderà liberi di camminare, crescere e scegliere la strada che il Signore ha preparato per noi, afferma il Papa nel suo messaggio. Rispondere alla vocazione di una vita cristiana significa mettere in conto lo strappo di lasciare le nostre sicurezze: in fondo è così da Abramo in qua, ma rimane il pericolo di stare paralizzati. Il coraggio di lasciare le sicurezze dietro le quali pariamo le nostre insicurezze e fragilità umane è il primo passo del nostro esodo di liberazione per fondare la grazia di uno stato di vita (celibatario o coniugale) non sulle nostre forze ma sulla misericordia di Dio che sempre ci ama. È il coraggio di mettersi di fronte a se stessi per abbandonare l’idea che c’è un personale progetto da costruire e, piuttosto, riconoscere il “posto” che ci viene chiesto di abitare. La fatica credo stia proprio in questo: fare i conti tra l’ideale e la realtà di come ci siamo sempre pensati e quello che ogni giorno dobbiamo riconoscere di essere; coniugare i nostri progetti e la Sua Parola, sbattendo il naso di fronte al fatto che spesso gli uni non sono armonizzabili con il percorso che Lui ci ha aperto davanti; accettare, come ricorda Papa Francesco, che il più delle volte significa camminare sulle acque tenendoci a mano con Cristo. È la fatica di camminare sulla strada che Lui ha aperto per noi nel deserto del tempo e della storia umana. La lode, poi, non è certo l’azione più facile, perché è il passo della piena accettazione in noi del mistero di Cristo: è l’atteggiamento di Maria, grata per lo sguardo di Dio su di lei, ma è l’atteggiamento della Chiesa grata di riconoscersi popolo scelto per essere piccolo segno e umile strumento. La lode è ciò che ci permette di mantenerci freschi, giovani e generosi all’impegno assunto. È l’atteggiamento da coltivare facendo diventare vita la dimensione celebrativa dell’esperienza ecclesiale.

don Simone Zocca