sguardo pastorale

Preti in questo tempo

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Lo abbiamo già detto che è un tempo, questo, nel quale reinventare la pastorale e il modo di essere vicini alla propria gente usando tutto quello che la tecnologia ci permette di realizzare; la fantasia non manca e spesso anche i giornali riportano notizie sui modi escogitati dai sacerdoti nel tentativo di continuare a proporre una riflessione sul vangelo, la partecipazione ad una messa in diretta Facebook, o ad una catena di preghiera lungo l’arco della giornata, un’attività catechistica per i più piccoli, la distribuzione del cibo ai più poveri, o semplicemente per portare un saluto che esprime vicinanza. Nei luoghi più colpiti dal virus alcuni sacerdoti sono morti per aver cercato di portare consolazione agli ammalati, altri sono ritornati alla professione di medico – che avevano cominciato ad esercitare prima di diventare preti. Così a volte ci si sente tirati tra l’essere prudenti per la propria e altrui salute, tra il desiderio di essere vicini alle persone e il timore di sentirsi comunque inutili. Ognuno di noi sta facendo i conti con la domanda: cosa posso fare io?

Ovviamente non c’è una risposta che valga per tutti e in modo uniforme. Ognuno di noi già interpreta, nella maniera che gli è più congeniale, il ministero che gli è stato affidato per cui non c’è un’unica risposta. La risposta giusta sarà quella che vibrerà nel nostro cuore dopo un silenzioso e umile ascolto di Dio nella preghiera, nella penitenza per il nostro peccato e nel digiuno dal nostro egocentrismo. La risposta giusta sarà quella che renderà splendente il dono che ci è stato fatto. Di fronte a chi guarda alla fruibilità di quello che possiamo offrire, anche a noi sembrerà cosa da poco pensare che possiamo pregare. Ma non serviva un coronavirus per sentirci dire questa obiezione. Eppure, non ho sentito che i nostri fedeli ci chiedano di fare altro. Sì, all’inizio di questa emergenza, quando ci sono state le prime “privazioni” che hanno colpito subito le nostre comunità, molti chiedevano di celebrare lo stesso l’eucaristia magari moltiplicando messe per diradare maggiormente l’affluenza nelle chiese; altri hanno dovuto subire l’amarezza di non poter salutare i propri cari defunti con la celebrazione della messa esequiale; altri ancora avranno sicuramente supplito da sé alla mancanza degli abituali segni della fede. Ma ora, che forse c’è una maggiore consapevolezza di quello che stiamo vivendo, la nostra gente cosa ci chiede veramente? Ci chiede di essere quelli che siamo stati chiamati ad essere e cioè segno del Pastore. Il presbitero è questo: un pastore. Probabilmente è qui che dobbiamo fare chiarezza in noi perché non siamo esenti né dal virus, né dalla paura, né dalle fragilità, per cui: come possiamo guidare se abbiamo bisogno di essere guidati? Ecco che non ci resta che pregare o meglio ancora il nostro compito è proprio quello di pregare. L’esperienza che stiamo vivendo è forse la più dura, non pensavamo di vivere una prova così, ma è la prova che ora ci è chiesto di vivere come tutti. Prima di questo e dopo questo ci sono state e ci saranno altre prove. Rimane sempre per noi il compito della preghiera per trovare in essa quella luce che dobbiamo offrire a chi continua a chiederci una parola di amicizia, conforto e speranza. Il compito della preghiera per vedere che Cristo opera, che la fede sana e salva.

don Simone Zocca