SGUARDO PASTORALE

Avviso di chiamata

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“Avviso di chiamata”, leggo fra i titoletti degli avvisi di un foglietto parrocchiale; i sacerdoti della parrocchia invitano i fedeli più sensibili e preparati a rendersi disponibili per accompagnare il cammino di iniziazione cristiana dei più piccoli. Una chiamata alla responsabilità, insomma. Non mi meraviglia leggere un avviso del genere perché gli appelli in questo senso non sono mai abbastanza e mi ha colpito molto la motivazione di fondo: “La Chiesa è una comunità di fratelli e sorelle che condividono l’avventura della fede in Gesù e si spendono gratuitamente per il bene di tutti”.

Dovremmo ripetercele più spesso queste parole per ricordarci dove stiamo puntando, quali motivazioni ci animano, quali attese coltiviamo da noi stessi e dagli altri, il senso di quello che facciamo. Avrei solo una correzione da apportare, ma con l’unico scopo di rilanciare il pensiero profondo che sostiene la frase citata: “La Chiesa è comunione di comunità di fratelli e sorelle che condividono… e si spendono…”. Spero sia chiara la precisazione intendendo che la parrocchia è comunità di fedeli mentre la Chiesa (diocesana) è comunione di comunità.

È importante che ci soffermiamo su questa sottolineatura non tanto perché cambi qualcosa rispetto all’appello iniziale, cioè della presa in carico di qualche responsabilità nella comunità ecclesiale che viviamo a più livelli, quanto piuttosto per comprendere meglio cosa significa “condividere l’avventura delle fede” e “spendersi gratuitamente per”.

L’idea è che nell’esperienza parrocchiale non si esaurisce l’esperienza di Chiesa, assodato che esperienza di Chiesa significa esperienza di discepolato dietro al Cristo per donare con lui e come lui la vita. Se non fosse così potremmo affermare pure che per vivere l’esperienza cristiana basta vivere un rapporto individuale e personale con Cristo, cioè completamente estraniato da un contesto comunitario. Quest’ultima cosa chiaramente non si può affermare.

L’esperienza cristiana vive dunque il suo momento più alto e più autentico nell’esperienza di comunione di comunità fra di loro attorno al vescovo. Questa idea dà una prospettiva educativa e vocazionale molto più pregnante a quell’ “avviso di chiamata” rispetto al semplice “arruolamento” di forze. Educa, infatti, ogni fedele a dare le giuste proporzioni al cammino personale di fede e alla sua eventuale disponibilità ad un servizio nella propria parrocchia: non potrà mai essere un servizio che si esaurisce in se stesso e nella propria autoreferenzialità; un servizio ecclesiale apre sempre a delle relazioni educanti e convergenti, a partire dalla persona stessa che si mette in gioco. Poi, nessuno si autocandida ma piuttosto riceve una chiamata e un mandato, una missione che non è sua: ecco in cosa si gioca la responsabilità di rendersi disponibili ad un servizio, ad un compito, ad un ministero nella Chiesa.

Questo vale per qualsiasi fedele battezzato, preti compresi. Anche per noi c’è un “avviso di chiamata” all’inizio di ogni anno pastorale, ma più ancora all’inizio e per la durata di ogni compito o ufficio ecclesiastico che ci viene affidato. Perché se è vero che può anche non servire una carta scritta che definisca il nostro ministero in mezzo alla gente, poiché uno – si spera – diventa prete mettendo in gioco tutto il cuore, rimane vero, però, che nelle poche righe scritte, su carta intestata, ci giochiamo il nostro rapporto di responsabilità con la missione di Cristo nella Chiesa. Dietro alla stesura di quelle righe, mi piace pensare, che uno ci possa leggere il proprio rapporto con il ministero ordinato ricevuto e con Cristo Pastore. La stessa cosa la voglio immaginare per il rito di immissione di un nuovo parroco: non è mai una formalità banale ricevere un mandato ecclesiale dal vescovo con l’uso di segni e parole rituali.

Credo che dovremmo renderci più consapevoli della forza delle parole e dei gesti che compiamo, sia per chiamare alla missione sia per realizzarla: in essi c’è sempre una rappresentazione simbolica del Cristo che chiama e che opera.

don Simone Zocca