Sguardo Pastorale

Quando il servizio diventa potere

servizio-diventa-potere
Facebooktwitterpinterestmail

“Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore” (Mc 10,42-43).

Crediamolo o no, ma queste parole di Gesù ai suoi discepoli che, lungo la strada verso Gerusalemme, volevano spartirsi il potere e le competenze nel nuovo regno sono una regola fondamentale che afferma una logica contraria al potere. Il Regno di Dio non ha nessun potere da spartire, anche se è animato da una forza imparagonabile ad altre che è quella dello Spirito Santo, perenne fonte di vita. Il Regno di Dio non ha posti da distribuire, poltrone da assegnare, anche se Gesù dice ai suoi discepoli di aver preparato loro un posto; si tratta infatti di una dimora da abitare, che non è stata costruita da mani d’uomo, quindi si riferisce a quello che di nuovo saremo diventati nel fedele ascolto della sua Parola.

In più modi e fino all’ultimo, cioè fino a quel grembiule con il quale asciuga i piedi ai dodici, Gesù lo ripete: servizio non è potere!

Cos’è che allora, molte volte, provoca un cortocircuito negli ambienti delle nostre comunità cristiane e parrocchiali? Cosa provoca la distorsione di un concetto che per sé suggerirebbe gratuità, umiltà, disponibilità? Mentre cerco una risposta si affastellano nella mia testa motivazioni (egoismo, ipocrisia, tornaconto), aspirazioni (un posto, una posizione, un riconoscimento), cause (mero pragmatismo, calcoli, ideologismi, ripicche). Ma tutto questo lo ritrovo accomunato da un vuoto interiore che deve essere colmato di qualcosa, di tutto ciò che si ha sottomano e a propria disposizione, per cui anche di una responsabilità, di un compito ricevuto, di persone affidate, di ambienti da gestire solo per seguire la smania di sentirsi qualcuno, nascondendosi dietro la maschera più opportuna alle nostre giustificazioni. Sì, il cortocircuito sta in quel vuoto che non sappiamo gestire; un vuoto molte volte scoperto nella complessità delle relazioni (che chiedono ascolto, dialogo, disponibilità, sincerità e fiducia), dalla fatica dell’essere coerenti con se stessi e con gli altri (molte volte nascondiamo le nostre incoerenze o incapacità dietro a scelte rigide), dallo scotto di scoprirsi deboli (non è facile chiedere scusa, come non è immediato accettare delle scuse, tanto meno è scontato che uno accetti la propria debolezza), dalla dipendenza da ciò che possiamo mostrare di noi o dal tentativo di voler rendere gli altri dipendenti da noi…

Agli specialisti della psicologia e psicanalisi lascio il compito di investigare e proporre percorsi che aiutino i singoli a prendere consapevolezza del problema che sussiste molte volte ad un livello molto profondo della personalità.

Pastoralmente ritengo che molte volte, troppe, e a causa di una grave povertà spirituale, lasciamo spazio agli individualismi, crediamo che basti gestire qualcosa e non che invece sia necessario investire cuore e coscienza, ci pensiamo indispensabili e non utili, ci pensiamo “io” e non “noi”, diciamo “mio” e non “nostro”, pensiamo al “posto” e non alla “casa”, a quello che facciamo e non a quello che siamo, al prendere qualcosa e non al sentirci parte di qualcuno.

“Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita” (Mc 10, 45).

don Simone Zocca