Prendersi cura

prendersi-cura
Facebooktwitterpinterestmail

Ad un certo punto è scattato l’allarme dell’antincendio. Mi sono domandato subito se ad azionare questo dispositivo di sicurezza fosse stato davvero il fumo salito abbondante dall’incensazione dell’altare e delle croci poste alle pareti, oppure la commozione del direttore generale, dei medici e dei paramedici, e di tanti altri fedeli presenti sabato 13 luglio al piano terra dell’ospedale civile di Chioggia. Era quasi palpabile. Innescata dalla bellezza del piccolo tempio, è andata via via crescendo per la presenza del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, e per la sua parola puntuale, carica di vangelo e di umanità, ed è culminata con i riti molto suggestivi della dedicazione della chiesa.

Ero arrivato abbastanza presto nella mattinata per condividere con i tecnici e i cerimonieri gli ultimi preparativi. In realtà, mentre sostavo all’ingresso, da dove si vedeva ormai aperta e illuminata la preziosa cappella, sono stato avvicinato da una giovane paziente. Le avevano appena comunicato che doveva prepararsi a combattere il noto male del secolo. Chiedeva una parola di conforto, un incoraggiamento, una benedizione. Capii in quel momento, al di là di tutti i ragionamenti fatti durante il suo allestimento, quanto fosse prezioso quel luogo. Orientato lo sguardo verso la porta d’ingresso abbiamo incrociato quello della dolce immagine di Maria che porge il Bimbo in atteggiamento di dono, di consegna. Questa nuova cappella, dirà il cardinale, non è importante «soltanto come luogo di devozione pubblica e privata e di consolazione per quelle che sono “le tristezze e le angosce di tutti coloro che soffrono”, ma soprattutto come ‘fonte’ inesauribile di quella grazia salvifica capace di sanare l’uomo nella totalità delle sue dimensioni: fisica, psicologica e spirituale. Un fiume di ‘grazia’ che si innesta e si integra con tutte le altre azioni terapeutiche ed assistenziali che si svolgono all’interno dell’ospedale, per un percorso di guarigione che non si conclude con la mera salute del corpo, ma si apre all’orizzonte divino ed eterno di quella pienezza di vita che ci ha donato il Signore Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”». Basta percorrere il breve spazio delle due pareti laterali per comprenderlo. Sulla parete di sinistra sono raffigurate le 7 opere di misericordia corporale, su quella di destra le 7 opere di misericordia spirituale. Esse richiamano la preziosità del servizio degli operatori sanitari, chiamati non soltanto all’applicazione dei protocolli, ma anche a quella relazione umana che riconosce nella persona fragile il volto di un fratello, il volto di Cristo. Sono come due sponde che, a partire dalla statua della Vergine, conducono al crocifisso che troneggia nell’abside per dirci che altare e tabernacolo assicurano la reale presenza di Colui che ha versato tutto il suo sangue per la nostra salvezza. La chiesa, come tutto l’ospedale, è dedicata alla Madonna della Navicella, apparsa nell’estate del 1508 sul lido di Sottomarina con il figlio Gesù senza vita sulle ginocchia. Quanti si trovano ad affrontare situazioni difficili nella vita personale, familiare e sociale, possono ricorrere a pieno titolo a lei, consolatrice degli afflitti e aiuto dei cristiani.

Struggente il ricordo d’infanzia con cui il Segretario di Stato ha concluso la sua omelia, citando il testo di una canzone mariana: «O bella mia speranza, dolce amor mio Maria, tu sei la vita mia, la pace mia sei tu. In questo mar del mondo, tu sei l’amica stella, che puoi la navicella dell’alma mia salvar. Sotto il tuo bel manto, amata mia signora, vivere voglio ancora, spero morire un dì».

Francesco Zenna