Come nani sulle spalle dei giganti

Da Martin Luther King in poi

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Come corre il tempo! Sembra ieri che un tale di nome Martin (in chiesa Michael) Luther King Jr (nella foto) entra nella scena della storia, eppure son trascorsi 90 anni. Da quel 15 gennaio 1929 ad Atlanta fino al giorno della sua morte avvenuta il 4 aprile 1968 il mondo ha visto uno scatenarsi di forze e di tensioni, di speranze e di angosce, tanto da richiedere che tutti i responsabili delle comunità cristiane del mondo si trovassero per parlare di ciò che stava accadendo dando così origine al Concilio Ecumenico Vaticano II. Ma torniamo al nostro autore spirituale, Martin, che nel pieno del vigore dei suoi 30 anni, inizia un cammino di conversione e di lotta non violenta per dire al mondo che la libertà va oltre il colore della pelle, la razza e le religioni. Lui che come pastore battista (guida spirituale di una comunità cristiana della riforma) a 36 anni inizia un movimento di protesta perché in quel Vangelo che aveva letto, studiato e scelto, non trovava discriminazioni di nessun genere, anzi, trovava dei “sogni” da realizzare, da mettere in pratica, custoditi nel tempo e dai popoli che in modi diversi hanno cercato di realizzarli. Cosa significa infatti proclamare l’uguaglianza tra gli uomini? Nel suo discorso a Washington del 28 agosto 1963 disse: “Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il significato vero del suo credo: noi riteniamo queste verità evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali. Ho un sogno, che un giorno sulle rosse montagne della Georgia i figli degli ex schiavi e i figli degli ex padroni di schiavi potranno sedersi insieme alla tavola della fraternità. Ho un sogno, che un giorno perfino lo stato del Mississippi, dove si patisce il caldo afoso dell’ingiustizia, il caldo afoso dell’oppressione, si trasformerà in un’oasi di libertà e di giustizia. Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per l’essenza della loro personalità”. Oggi nella nostra nazione non siamo lontani da questi sogni perché col trascorrere del tempo la forza del “nostro credo” si è indebolita da un inesorabile assopimento delle coscienze che ormai hanno perso il desiderio di parlare, di gridare, di ricercare la verità. Si grida invece a squarciagola per mantenere i propri interessi, le proprie verità e tradizioni anche se queste mandano in frantumi la dignità dell’uomo e fanno cadere la nostra società in una barbarie. Non riusciamo più a piangere per le migliaia di persone che muoiono nel nostro mare, che muoiono nascosti nei rimorchi dei tir, che muoiono vagando nel deserto del nord Africa tra un campo di raccolta e l’altro, che muoiono fuggendo dalla guerra e dalla fame, che muoiono senza un volto a confortarli. Ci trinceriamo dietro i nostri diritti, il nostro benessere, le nostre regole, le nostre tradizioni, addirittura dietro a simboli del credo ormai svuotati di qualsiasi fede, amuleti magici di una visione occulta della storia. Quando queste parole sono diventate troppo dure allora le grandi lobby mondiali hanno attinto dal salvadanaio della paura e hanno condannato il giovane Martin. Oggi non serve più fare questi “investimenti”: è sufficiente lasciare che l’indifferenza corroda ogni possibile presenza di santità. E andiamo avanti anestetizzati per paura che lo spirito che abita in noi ci faccia rinascere a vita nuova.

Damiano Vianello