SGUARDO PASTORALE

Il super parroco

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Una semplice ricerca in internet ci presenta la figura del super parroco identificandola con il prete parroco di più parrocchie per un insieme di abitanti fra le 15 e 20 mila anime o per una estensione territoriale vastissima come lo possono essere un altopiano o una valle. Numeri e spazi davvero considerevoli se si pensa alla conformazione delle parrocchie fino a qualche decennio fa e alla relativa distribuzione del clero. Il super parroco, però, al di là dell’aggettivo che sembrerebbe alludere a capacità personali superiori alla media o addirittura ci farebbe pensare all’immagine statuaria di qualche supereroe, non ha caratteristiche così affascinanti da attrarre giovani vocazioni all’emulazione: cioè, neanche la figura del prete super impegnato sul fronte pastorale sembra essere una figura vocazionalmente fruibile. D’altra parte, gli impegni predicati di questo super parroco farebbero tremare i polsi di chiunque, soprattutto pensandoci dentro un contesto particolare come quello triveneto nel quale il ruolo del parroco si è sempre speso su molti fronti. Ma non è solo questo il super parroco. Queste due parole possono indicare anch’esse una sindrome: quella del “parroco sono io” o “io sono parroco”, nella quale la persona si identifica con un ruolo apicale dal cui esercizio discendono tutte le decisioni e rispetto al quale sono riformulati tutti i rapporti interpersonali (anche quelli tra confratelli). Figura dal carattere egocentrico con forti tratti narcisistici. A ben considerare potremmo anche essere di fronte ad un sintomo che dice nostalgia dei tempi in cui i ruoli, anche ecclesiastici, erano ben definiti e l’autorità era attribuita d’ufficio. In questo caso, l’attore in questione avrebbe una personalità fragile bisognosa di rifugiarsi al riparo di punti fermi prettamente di facciata. Chiedo scusa se anche questa volta mi sono sbilanciato a proporre la descrizione di un profilo psicologico che sostiene una delle immagini che purtroppo trasmettiamo del ministero presbiterale; la psicologia non è una mia competenza, ma volevo evidenziare come anche un ufficio ecclesiastico o lo stesso ministero presbiterale è definito non solo dai compiti e dalla missione di cui è investito, ma – molto – anche dalla personalità dell’individuo che lo assume. Eppure, ciò che dovrebbe essere super non sarebbero un ruolo o un ego ma la cura pastorale delle persone, cioè l’impostazione delle relazioni verso il prossimo ad immagine della relazione di Cristo buon pastore con il suo popolo. Ogni parroco è responsabile di attuare un super ministero di pastore: rimando alla lettura dei cann. 528 §1-2 e 529 §1, che descrivono un ministero rispetto al quale umanamente nessuno potrà mai sentirsi all’altezza o pensare di avere le forze per svolgerlo tutto da solo. Ma ogni parroco non è chiamato a viverlo da solo: «Il parroco riconosca e promuova il ruolo che hanno i fedeli laici nella missione della Chiesa, favorendo le loro associazioni che si propongono finalità religiose. Collabori con il proprio Vescovo e con il presbiterio della diocesi, impegnandosi anche perché i fedeli si prendano cura di favorire la comunione parrocchiale, perché si sentano membri e della diocesi e della Chiesa universale e perché partecipino e sostengano le opere finalizzate a promuovere la comunione» (can. 529 § 2). Collaborazione, unità e comunione sono la super forza di un parroco che si sente veramente “a servizio” della Chiesa e del Vangelo: non ci sono super uomini di nessun tipo!

don Simone Zocca