RIFLETTENDO SUL VANGELO – SOLENNITA’ DELL’ASCENSIONE - C

Nuovo inizio per andare ovunque con gioia

LETTURE:  At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23;  Lc 24,46-53

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In questa domenica si celebra la Solennità dell’Ascensione del Signore al cielo. Contempliamo, cioè, il mistero di Gesù che dopo la vita terrena, culminata con la crocifissione, sale al cielo.

Non si tratta, sappiamo bene, di una pagina di cronaca nel senso moderno (cioè della descrizione realistica di Gesù che si solleva da terra), ma del tentativo di esprimere attraverso i simboli, il mistero di Cristo Risorto. Alla luce della Parola di Dio questa festa diviene, per così dire, l’insediamento di Cristo nella regalità. Questo riconoscimento viene direttamente da Dio. Il libro degli Atti degli Apostoli dice che “Una nube lo sottrasse al loro sguardo” (At 1,9) e nel linguaggio biblico l’immagine della nube è sempre sotto il segno della manifestazione di Dio. Il cielo non è il cielo degli astronomi, è il simbolo della vicinanza di Dio.

Con parole più vicine alla nostra sensibilità, il brano del vangelo di Luca (Lc 24, 46-53) vuole dirci che con la Risurrezione il Signore Gesù inizia una fase nuova, più universale, della sua missione.

Con la sua Ascensione Gesù non appartiene più al piccolo gruppo dei suoi discepoli e delle persone che lo incontravano nella vita terrena e, proprio perché il cielo è di tutti, Egli appartiene a tutti e ogni uomo può trovare in lui il punto di riferimento.

Possiamo veramente dire che l’Ascensione non rappresenta un distacco, ma l’inizio di una presenza nuova. Sia nel Vangelo che negli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca lega strettamente all’Ascensione il tema della testimonianza: “di questo voi siete testimoni” (v. 48). Quel ‘voi’ indica sì, in primo luogo, gli apostoli che scelti da Gesù avevano condiviso del Maestro in modo particolare la sua missione, ma quel ‘voi’ riguarda anche tutti i cristiani, riguarda ciascuno di noi.

E’ diventata famosa una espressione del Papa Paolo VI: “Il mondo ha bisogno di testimoni, più che di maestri”. E’ abbastanza facile essere maestri, è molto più difficile essere testimoni.

Ecco, allora, che a ciascuno di noi è stato dato il dono dello Spirito perché con responsabilità sappiamo costruire il Regno di Dio nella nostra vita familiare, professionale, sociale, politica.

La festa dell’Ascensione, infine, ci ricorda che siamo destinati a condividere nell’aldilà la felicità stessa di Dio. Nel Prefazio della Messa preghiamo così: “Dopo la risurrezione Egli si mostrò visibilmente a tutti i discepoli, e sotto il loro sguardo salì al cielo, perché noi fossimo partecipi della sua vita divina”. Però la ricerca delle cose di lassù non deve diventare un pretesto per evadere dalle cose di quaggiù. Troppo spesso i cristiani sono stati rimproverati di vivere fuori del tempo, preoccupati solo delle cose spirituali.

Al contrario, la fede cristiana ci chiama ad un impegno, qui e ora, a darsi da fare nei vari campi in cui si gioca il destino umano – famiglia, scuola, lavoro, cultura, politica – perché si realizzi veramente il suo regno di giustizia, di pace e di amore.

Il Vangelo non ci narra una reazione di dolore, di smarrimento, di nostalgia da parte dei discepoli nel momento del distacco del loro Maestro, ma – come scrive l’evangelista Luca – “essi si prostrarono davanti a Lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia” (v. 53).

E’ la consegna di Gesù agli apostoli e a tutti noi.

Con l’Ascensione c’è un nuovo inizio e anche noi partendo da ‘Gerusalemme’, dal cuore, cioè, della storia della salvezza, dal centro storico della presenza di Dio tra il suo popolo, con gioia vogliamo andare ovunque arrivando, possibilmente, a tutti diventando dei testimoni che con la vita dicono, con verità, ciò che è importante, ciò che salva, ciò che trasforma. La partenza di Gesù, la sua “lontananza” fisica, il suo esserci, ma non più come prima, apre, quindi, il grande impegno, mio e di tutti, della testimonianza.

don Danilo Marin