SGUARDO PASTORALE

Il caso del parroco cappellano

CAPPELLANO-PARROCO
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Non è il titolo di una storiella di Bruno Ferrero, fervido e brillante autore di narrazioni per fanciulli con intento catechistico, ma piuttosto rischia di essere il titolo incautamente attribuito alla vicenda pastorale di qualche confratello presbitero. Di cappellani ormai non c’è quasi più l’ombra e quando ci sono lo sono per poco tempo perché le esigenze pastorali e la penuria del clero impongono la necessità di avere dei parroci che ricoprano la responsabilità diretta della cura d’anime.

Verrebbe da pensare, quindi, che manchi storicamente la possibilità di replicare ciò che a volte si è visto, poco felicemente, nel passato quando le figure del parroco e del cappellano si distinguevano sulla base di un gioco di potestà concesse al primo e negate al secondo, in forza della differenza degli uffici ecclesiastici ricoperti. Il top della classifica ecclesiastica era raggiunto quando un prete entrava nell’ambita fascia dei parroci perché ciò gli garantiva una buona autonomia in termini di responsabilità personali, presunte o pretese: il don parroco, insomma, era un don arrivato. Il caso del “parroco cappellano”, caso che – ovviamente – non è codificato nella legislazione ecclesiastica, ha però le sue origini in una novità del codice attuale, quella al can. 517 § 1 che prevede la possibilità dei cosiddetti parroci in solido (figura giuridica per affidare a più sacerdoti la cura pastorale di una o più parrocchie contemporaneamente). I parroci in solido stanno entrando anche nel nostro assetto pastorale soprattutto con l’istituzione delle unità pastorali.

Se il caso del “parroco cappellano” a tutti gli effetti non esiste, allora di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando non del reale ma dell’immaginario. Prima di continuare desidero fare delle precisazioni sui due termini usati: “reale”, beninteso, non è solo ciò che è codificato, quindi non affermiamo che esiste solo ciò che abbiamo determinato con una norma ma qui intendiamo un termine di confronto oggettivo che è quello dei parroci in solido; per “immaginario” non intendiamo riferirci a qualcosa di immaginato e quindi irreale ma piuttosto lo riferiamo a un’idea che è fissata nel modo consuetudinario di pensare un ruolo, in questo caso quello del parroco.

Detto questo, è vero che anche se il “parroco cappellano” non esiste sulla carta del codice può esistere nella testa delle persone. Se prima era così ben definita la figura del parroco come della parrocchia, ora non si capisce più bene cosa sia il parroco in solido e le unità pastorali. Ma che sia veramente così? Affermiamo con sicurezza che non è così, fosse solo per il fatto che né le parrocchie sono state abolite dall’ambito dell’organizzazione della Chiesa né la figura del parroco, ufficio e ministero che è uguale per tutti i parroci moderatori e non.

Chi desiderasse approfondire i contenuti teologici del ministero del sacerdote pastore, il rapporto tra presbiteri e tra i presbiteri e il loro vescovo può leggere i nn. 6-9 della Presbyterorum ordinis; chi vuole il conforto anche della norma può concentrarsi semplicemente sul can. 529. Sarà una lettura utile per tutti i fedeli battezzati e che ci piacerebbe approfondire più nel dettaglio in futuro. Il caso del “parroco cappellano”, a parere nostro, è più un sintomo e/o una sindrome. Sintomo, quando l’espressione dice di qualche disagio interiore ad accogliere una responsabilità condivisa fra più persone: questo può essere quello che esprime di sé un presbitero, ma anche un laico nei confronti dei suoi parroci quando vorrebbe nascondersi da uno e ingraziarsi l’altro. Sindrome, quando si tratta di una dinamica psicologico/spirituale che si innesca nella mente per resistere a un cambiamento che chiede il confronto e la corresponsabilità. Crediamo, infine, che anche questo meriti una riflessione personale e un ascolto di se stessi e dell’altro per continuare ad essere come Cristo ci vuole.

don Simone Zocca