RIFLETTENDO SUL VANGELO - QUINTA DOMENICA DI PASQUA – C

L’amore reale si trasforma in servizio

LETTURE: At 14, 21-27;  Sal 144; Ap 21, 1-5;  Gv 13, 31-33. 34-35

ultima-cena AMATEVI COME IO...
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Nel Vangelo di questa 5ª domenica di Pasqua (Gv 13, 31-33a. 34-35) ci troviamo di fronte ad un messaggio, ad una esortazione che implica un modo di essere, senza alternative.

Siamo durante l’ultima Cena, e dopo che Gesù ha fatto il gesto di lavare i piedi ai suoi discepoli, e dopo aver dato l’ultima possibilità a Giuda di essere unito a lui (il boccone dal piatto), quest’ultimo esce, consumando una frattura nell’amicizia con il Maestro. In questo contesto Gesù parla di amore, di amarsi vicendevolmente e parla di un comandamento nuovo:«Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri»(vv. 34-35.

Ma che cosa ha di nuovo il comandamento dell’amore, del resto già presente anche nell’antica legge di Dio, che affermava: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”(Lv 19, 18)? Il nuovo sta nel fatto che Gesù dà la forma, la misura, lo stile di questo amore: “Amatevi come io ho amato voi”. La novità consiste soprattutto nella misura di amare, racchiuso in quell’avverbio: ‘come’. «Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Si tratta di amare l’altro come lo ama Gesù, cioè accogliendolo così com’è, perdonandolo e rimettendogli i peccati, prendendosi fedelmente cura di lui, rendendolo fratello o sorella fino alla morte, fino a dare la vita per lui. C’è nell’amore cristiano una forma, uno stile determinato da Gesù e da lui testimoniato nei vangeli. Se Gesù è maestro, lo è soprattutto, io direi, nell’arte dell’amare. D’altronde si fa presto a parlare di amore o a credere di vivere l’amore, ma viverlo come lo ha vissuto Gesù, a prezzo del dono della vita, è un capolavoro di amore. Così questo amore diventa “segno”, cioè un segnale che dove vi è tale amore, là vi è vita cristiana, vita del discepolo di Gesù. Paradossalmente possiamo dire che il discepolo di Gesù non si distingue perché prega (pregano tutti gli uomini religiosi e anche i non religiosi quando ne sentono il bisogno); non si distingue perché fa miracoli (in tutte le religioni ci sono taumaturghi): no, si distingue perché ama, ama come Gesù!

Nel comandamento dell’amore Gesù non parla con verbi al futuro, non dice “come io vi amerò”. Gesù non sta annunziando la morte, il sacrificio totale che lui farà sulla croce, ma dice “come io vi ho amato”. E com’è che Gesù ha amato? Siamo nel contesto, dicevo, dell’ultima Cena secondo Giovanni, quando Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli. L’amore non è reale se non si trasforma in un servizio che purifica la vita degli altri.

Questo è l’amore che Gesù ci richiede. Il servizio è l’unico distintivo del credente della comunità di Gesù e infatti Gesù conferma: “Da questo”, cioè dall’amore che si fa servizio, “tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”.

Non esiste altra ‘scuola dell’amore’ se non fare esperienza dell’amore di Gesù nei nostri confronti, lasciandosi innanzitutto amare da Lui. Tocca, quindi, a noi lasciarci amare, accettare che Gesù ci ami, quasi malgrado noi stessi, chiunque noi siamo, così come siamo, peccatori come siamo, ma capaci di essere guariti dal suo amore. Si tratta di entrare in una meravigliosa catena di amore, che comincia dal Padre, passa attraverso il Figlio e lo Spirito e giunge ad avvolgere anche noi.

don Danilo Marin